martedì 19 novembre 2013

Poesia, forse.

La gente mi sta sui collioni.
Che volete che vi dica, la faccenda sta in questi termini;  e se qualcuno insistesse per chiamarla  misantropia, gli direi che ha ragione se ciò corrisponde esattamente al fatto che la gente mi sta sui collioni.
Secondo Bruegel sarei così:
(Il Misantropo - 1568)

 Invece si sbaglia perché in mezzo ad una piccola folla non mi si nota neanche, nonostante mi porti dietro tutto questo carico di livore nei confronti dell'umanità.
E non vedo perché non odiarla, l'umanità, dato che, come si può ben vedere, il misantropo qua sopra viene sbeffeggiato da un suo esponente che o gli sta praticando un clistere oppure cerca di fargli il portamonete.
Però c'è la poesia e lì la faccenda si complica non poco.
Già definirla è problematico ed è anche scorretto.

Definire è una mania dell'umanità ed è uno dei mille motivi che me la rendono invisa.
Ci porterebbe solo in una direzione fredda e volgare, buona forse per Wikipedia, sulla metrica e il ritmo e stronzate che niente hanno a che fare davvero con la poesia.
Per quelli che proprio abbisognano di punti di riferimento diciamo che la poesia è come la prosa, solo che ci mette metà del tempo per dire la stessa cosa e di solito lo fa meglio; a meno che lo scrittore della prosa in questione non sia davvero bravo.
Inoltre è assolutamente fatta su misura, come quelle biciclette che l'artigiano ti salda sotto gli occhi proprio per l'altezza del tuo cavallo, la lunghezza della tua coscia, il peso del tuo sedere.
Un'esperienza intima e, per questo, di valore incalcolabile.
Io sono anche apoetico purtroppo, ma ogni tanto qualcosa filtra da ciò che vedo, sento, percepisco arrivare dal mondo e mi emoziono.
Faccio degli esempi, per un paio dei quali sono debitore di un amico, un Fantolino Rorido di Pianto che passa la vita a sprecarsi (però lo sa e, per me, anche questo ha del poetico).

Questa è tanto indicibilmente bella che un bel dì ho deciso di scriverla con un pennello medio e tempera argento sulla porta di casa (dentro, non fuori) per averla sempre sott'occhio:

                              "Se non dovessi tornare sappiate che non sono mai partito.
                              Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua dove non fui mai"
                       
                             (Biglietto lasciato prima di non andare via - Giorgio Caproni)

Vacca boia che bella.
Non m'importa nulla se per te sono solo due frasi.
Per me c'è tutto lì dentro, scritto da dio senza bisogno di una virgola in più o in meno.
Magari è un'altra roba ma credo proprio che per me sia poesia.

Come lo è questa cosa che la Honda ha messo in piedi sul circuito di Suzuka nel luglio scorso.
Un tributo al grande Senna, utilizzando la tecnologia di oggi e di ieri.
Audio e piccole lampade sincronizzate con un giro registrato nella telemetria di Ayrton un giorno dell'89, ci regalano un giro nel tempo insieme al fantasma del brasiliano.
Lacrima, anche se mi rimane il dubbio che la poesia, come spessissimo fa, scaturisca vigliaccamente per caso dalle intenzioni ben più prosaiche dei giap.
Se anche fosse, che me ne frega?

Oppure quest'altro filmato, girato da un tizio che, evidentemente, ne sa: Giorgio Oppici.
Credo che lui ce l'abbia nell'occhio quella roba lì, e grazie a quella può produrre questo:
http://www.giorgiooppici.it/web/dettaglio.asp?id=34
"Si va beh, è un'auto...".
Col cazzo.
È molto di più, è il tempo.
In quella vernice rossa sbriciolata, in quel volante logoro si percepisce ancora il sentore di benzine lontane, vibra ancora la passione e l'essenza di chissà quanti uomini, mani sudate e sporche di grasso ed alla fine è rimasta solo lei a raccontarceli, ripresa con un occhio rispettoso per quel tempo, un occhio delicato, amorevole.
Bella lì Oppici, nonostante 'sto cognome.

Ed infine Shinya Tsukamoto, quello che esordì con quel fantastico incubo che era Tetsuo (il pene a trivella mi insegue da allora), con il bellerrimo VITAL.
Uscì nel 2004, presentato a Venezia, ed è la storiaccia di un tipo, Hiroshi, che in un incidente perde memoria e fidanzata.
Le recupera entrambe allorché, studente di medicina, si dedica all'autopsia di un corpo che scopre essere proprio quello della compagna.
Anziché lasciarsi andare alla depressione più nera sviluppa l'ossessione per la salma e si getta alla ricerca dell'anima della defunta.
Detta così, da cani, come l'ho detta io si potrebbe sentirsi respinti dal tema, ma la morte è  trattata dagli occidentali in modo molto diverso rispetto agli orientali.
Infatti il film è di una profondità ed un lirismo potentissimi, senza pietismi né becere ricerche di commozioni da due euro e 50 come farebbe un regista europeo, e la sequenza finale... spoilero e me ne scuso, anche perché decontestualizzata dal film è come una bomba fatta esplodere sott'acqua, ma la sequenza finale è quello di cui stiamo parlando qui, ora: venti secondi di poesia, pura e abbagliante poesia.
Non c'e altro termine, possiamo farci tutte le metafisiche che desideriamo, ma alla fine quel che ci rimarrà della vita sarà forse il frammento di una giornata qualsiasi quando, magari grattandoci una chiappa ci siamo sentiti, chissà perché, felici. 
Vedetelo, vi rimarrà qualcosa.

 p.s.
Se così non fosse, ditemelo e vi regalo una copia del Nuvola Nove, come da tradizione.





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