venerdì 31 gennaio 2014

La Laverda in cucina

Tempo fa, in compagnia della Dolce che ne è stata artefice, mi dispongo ad una cena giapponese presso un locale segnalato nei bouquet di Groupon o Groupalia, non ricordo quale delle due, armato del tristo buono sconto.
Questo il preambolo, piuttosto banale, appena appena rivalutato dal fatto che lo scatenarsi di un temporale estivo con tuoni e lampi lo fa più pittoresco, quasi come i cristi tirati sapendo di avere dietro solo un ombrellino di quelli da stadio per ripararsi.
Ma comunque, il ristorante.
La via non mi è proprio nota, ma da qualche parte nel cervelletto rettile s'insinua il sospetto di averne già sentito il nome... ma è in periferia estrema.
Un RistoJappo di livello ai margini della tangenziale mi mette in moderata tensione psicofisica: possibile? Sbaglio io che sono solo un superficiale? Non può un onesto ristoratore lottare con la forza del suo sashimi per uscire dal limo del ghetto degradato?
Boh.
Arriviamo grazie al gps dei barboni, Tuttocittà (edizione 2003), ed è periferia dura.
Il cervelletto aveva ragione.
Mantengo un contegno mentre la Dolce trampola al mio fianco sui suoi taccazzi, protetti dall'infame ombrellino di cui sopra, e facciamo il nostro ingresso nel locale.
Da fuori è quasi invisibile, insegna assente, solo una targhetta sul muro, dentro penombra, ampia sala che si apre su di un gradevolissimo giardino d'inverno oltre i vetri del quale la pioggia cade su uno spazio zen con ponticelli e vasche d'acqua illuminate.
Sei un pirla prevenuto mi dico, guarda qua che gioiellino nascosto.
Improvvisamente mi sento anche molto furbo.
Passerà presto.
Il quadro è sporcato da un dettaglio di non poco conto: non c'è anima viva, mancherebbero solo le sedie sui tavoli per pensare al giorno di chiusura.
Ci guardiamo attorno con sconcerto quando appare il ristoratore orientale, scivolato fuori da quella che ritengo essere la cucina.
Non è orientale.
Né lui né, scoprirò di lì a breve, manco la cucina.
Pare un attempato professore di filosofia, riccioli candidi, panza prominente, un cigarillo inesploso all'angolo della bocca.
Si giustifica dicendo, ovviamente, che di solito è pieno e che, combinazione, questa sera no.
Cazzo, ma non c'è un cane, non è normale...
Magari il temporale, dice.
Vabbè, dura poco, perché dopo cinque minuti lì dentro gli occhi si sono abituati alla semioscurità e si posano su di una moto appoggiata al bancone del bar: é arancione, è bellissima, è una Laverda Sfc.
  

Ed è pure un pregiatissimo prima serie originale, con freni a tamburo e cerchi a raggi.
Sono emotivamente disarmato davanti a ella, un po' perchè quell'antica superbike mi è sempre piaciuta, un po' perchè la mia prima moto è stata proprio una Laverda, questa qui
 


che grippai furiosamente due volte senza peraltro mai cambiarle il pistone.
Ma ero un sedicenne decerebrato e con la velocità nel sangue, e sono vivo per miracolo.
Comprendetemi.
Risulta chiaro che già in quel momento il tipo avrebbe potuto servirmi un sushi di sterco ed io non me ne sarei accorto, ma la commedia di Ionèsco non era ancora nel pieno.
Perchè poco distante ce n'era un'altra di Sfc, stavolta un terza serie, con freni a disco e ruote in lega.
Così, per intenderci




Bella porcattroìa, bellissima.
Tutte e due perfette, mezzi che vengono scambiati in quelle condizioni a non meno di 10.000 euro e per i quali tedeschi e giapponesi potrebbero uccidere la mamma.
E lo stronzo ne ha due, praticamente in casa.
Qualche prurito sospetto inizia a salire dall'ano.
Non gli concedo spazio, e sbaglio; fidatevi sempre del vostro ano.
Lui sa.

Il titolare ci guida al tavolo, nel silenzio, mentre nel giardino si scatenano gli elementi.
Mi siedo e cerco di focalizzare meglio una sagoma che vedo riparata sotto un'elegante tettoia,
ma non ci si vede bene, e poi mi sembra impossibile. Strizzo gli occhi, poi mi alzo fingendo di voler vedere meglio la vasca dei pesci.
Una Rgs 1000, tricilindrica sport touring dell'82 od 83, tale e quale a questa


Per ella sbavavo e non vedendone una da un trentennio torno al tavolo turbato.
L'affabile ristoratore comincia a starmi sulle palle.
Faccio notare alla Dolce che non è mica normale questa situazione, ma lei è più interessata al menù, che infatti è sospetto anche lui.
Perché le portate sono poche, e mica tutte giapponesi: c'è anche roba cinese tipo gli involtini primavera... sarà cucina fusion le dico.
Ad ogni modo facciamo le nostre scelte, per forza di cose limitate, sicuri che se son così poche le portate saranno di qualità.
Siamo forti sul temaki mi aspetto di sentir dire all'uomo, ma niente.
Quello ogni tanto appare con due piatti, poi se ne va.
Il problema è che tutte le portate sono mediocri e con aggiunte decisamente nostrane che più che fusion sono puttanate.
Con la Dolce ci scambiamo occhiate ora preoccupate, ora divertite, perché sembra d'essere su Scherzi a Parte, anche se uno scherzo così lungo non s'è mai visto.
Il dolce invece è proprio italiano, una specie di tortino con zucchero a velo e uno sbroffo di cioccolato per traverso.
Mi punge vaghezza di irrompere in cucina per vedere chi è che commette queste infamate ma non lo faccio, giusto perchè, per riempire i momenti di vuoto tra una portata e l'altra, non essendoci NESSUNO oltre a noi, l'occhio vaga negli anfratti più lontani.
E dall'anfratto emerge pure questa



che prima m'era sfuggita perché mi stava alle spalle, dietro una tenda.
Un inciso per chiarire: le Laverda negli loro anni d'oro, come questa Jota 1000, erano le maxi più ambite, le moto dei veri uomini visto che per tirare la frizione ci voleva una mano da camallo e per tenerle in strada le palle di un toro.
Le giapponesi dell'epoca messe vicine sembravano dei timidi Ciao e un lucido blocco di quel monumentale motore lo vorrei volentieri a centro salotto, se non fossi certo che sfonderebbe il pavimento finendo giù dal vicino.
Schifato dall'immondo pasto prendo l'iniziativa e attacco bottone col filosofo sul tema.
Scopro subito, e ci voleva poco, che questo è presidente del Club Laverda, che oltre a quelle che sono lì ne ha altre cinque o sei in garage vicini, compresa una rarissima RGS Sfc 1000 così


 l'ultimo modello prodotto, a tiratura limitata, prima di chiudere la fabbrica a fine anni '80.
 A quel punto emotivamente io ho questo aspetto:


Mentre il bruciore anale si fa più intenso, cerco di guadagnare credito raccontandogli del mio antico 125 ma quello alza un sopracciglio e mi guarda come fossi una caccola di mosca dall'alto dei suoi 6000 c.c. complessivi.
Allora decido di finirla lì e metto mano al famoso buono sconto.
Quello fa apparire il foglietto con la cifra e io capisco che lo scherzo è arrivato alla fine e sta per uscire la troupe nascosta.
Invece non appare nessuno e rimane lì quella faccia di merda coi suoi riccioli, la sua panza e le sue Laverda e un conto a tre cifre.
Ovviamente l'inchiappettata maxima prevede la scoperta che il buono di Groupalia o Groupon non so non mi ricordo ma pari sono, serve a coprire parzialmente e ce ne andiamo quindi alleggeriti di una somma sufficiente per un altra cena giapponese (vera).

Me ne vado pesto di dentro e di fuori e col culo bruciante ma con una morale preziosissima che ancora porto con me (sperando che nel frattempo i NAS, la N'drangheta o le cavallette abbiano fatto chiudere quel posto): se ti piacciono le Laverda apri un ristorante giapponese e potrai permettertele.
Arigato.

mercoledì 29 gennaio 2014

Colsènter

Ma magari avessero letto Pennac.
Anzichè indottrinarli con quelle formulette cretine che non puoi permetterti di interrompere (infatti nell'attesa che terminino ti scaccoli) tipo "Buongiorno sono Marina Pettoruti del servizio clienti in cosa posso esserle utile?" una scorsa anche rapida ad una qualsiasi delle storie che hanno protagonista Malaussène salverebbe la situazione.
E con essa la Repubblica. 
Perchè il call center, privo del Capro Espiatorio professionista, è l'attuale brodo di coltura della decadenza nazionale.
Quello che nelle intenzioni è un servizio alla collettività in realtà si configura come un ribollente magma di approssimazione, specialità nella quale, se chiamati a competere, siamo da podio.
C'è una logica alla base: se ti chiamo è perché non so qualcosa che tu sai e alla fine, grazie a te, io sono una persona migliore perchè l'essermi levato un problema dai coglioni mi dispone con maggior serenità verso il prossimo.
Lineare e apparentemente semplice MA.
Il fatto che oggi quella posizione professionale sia inseguita da qualsiasi disperato/scappato di casa che necessita di due soldi per alimentarsi perchè non è richiesta competenza alcuna fa sì che la qualità scemi decisamente.
Quando io stavo alle medie, il naturale sbocco dei maschietti più duri di cervello era andare a fare il carrozziere, mentre le femminucce con pari requisiti si ritiravano in attesa di un carrozziere già fatto che le impalmasse.

In questi ex asini delle medie, tutta la gioia per aver scansato il call center.
 
Oggi i maschietti puntano al call center e le femminucce pure, perché la crisi ha messo in ginocchio pure l'automobile e il suo indotto e non resta altro.
Quindi eccoli lì, i nostri operatori e operatrici, dopo un breve corso introduttivo, spero, alle tematiche da affrontare con gli utenti, seduti alla propria "postazione" a pensare "mi pagano un cazzo, perché devo stare a sbattermi?".
Giusto, perché?

Infatti non si sbattono, scaricando tutta la responsabilità sull'altro capo del filo, dove io bestemmio e scalcio l'aria non potendoli raggiungere fisicamente.
Capita che alcuni, quelli più inutili, riattacchino appena voi esponete il problema perchè, immagino, non sappiano minimamente di che cazzo stiate parlando (però la busta paga la leggono fin nei più piccoli codicilli e potrebbero tenerci una lezione sopra).
Capita che alcuni altri ti rispondano una cosa, che tu riattacchi soddisfatto, e che poi verifichi che non hanno risolto nulla e che richiamando ti rispondano l'esatto contrario (stessa domanda, stessa società, stesso problema).
Voci, solo voci.
 Chi è che puoi picchiare se non i tuoi cari in quei momenti?
Sono lì, gli unici a tiro.
Il fenomeno degradante  e dilagante dei call center ha un peso spaventoso e ignorato sul Sistema Sanitario Nazionale: c'è la depressione loro, c'è la nostra, c'è la violenza esercitata su noi stessi per controllarci e sui nostri famigliari quando non ci riusciamo dopo che loro, esasperati quanto te, ti accusano di non saperti spiegare in quei brevi momenti in linea.
Non sono io, c'ho due lauree porcocazzo! Riuscirò a farmi capire se chiedo di chiudere un contratto telefonico o no?*
Fastweb è particolarmente versata in questo tipo di cose: la società con il servizio al pubblico più  merdoso che ci sia in giro (anche se ultimamente i geni delle Poste Italiane cercano disperatamente di colmare il gap con buone prospettive di farcela) e che ti chiede beffardamente, dopo che hai interloquito amabilmente con l'incompetente di turno, se sei soddisfatto del servizio stesso... ma io menerei anche te, vocina registrata!
Eppoi devi stare anche molto attento.
Eh sì, non puoi permetterti di sbroccare, perché sei legato ad un filo.
Quarti d'ora trascorsi ad ascoltare Vivaldi mezzo distorto (oh, sempre la Primavera... ma l'Autunno, o l'Inverno che li ha composti a fare 'sto sfigato?) e riesci ad ottenere udienza da uno che palesemente vorrebbe essere altrove.
E allora speri, speri che A) non riattacchi perché altro Vivaldi non lo reggeresti, che B) se donna non sia mestruata, altrimenti ci litigherai dopo un minuto e quarantacinque o C) che non abbia in mente solo l'equazione va che stipendio da fame che c'ho, ché io di lauree invece ne ho tre e sono qua in "postazione" anziché nel CdA di Finmeccanica.
Ma invariabilmente riattaccano, sono mestruate, sono scazzati.
E giù Vivaldi.
Questa montante orda di canaglie sta rivalutando per contrappasso l'antica casta degli impiegati postali, vecchia macchietta quasi sparita, sostitituita da queste nuove leve inafferrabili, protette dall'anonimato visivo, non rintracciabili nemmeno tentando di richiamare per vendicarsi verbalmente del torto subito e perciò più odiose ancora.
Chiaro non tutti siano così, ci mancherebbe.
Solo che la media matematica tra la merda e la normalità rimane sempre qualcosa di vagamente maleodorante, lo sappiano i virtuosi.
E la grande responsabilità alla fine è delle multinazionali, del marketing, del consumismo.
Un sistema tutto sbilanciato nel rendere agevole, amichevole, pastorizzante l'inglobamento e paurosamente carente (ma con dolo) la fuoriuscita.
Immaginatevi un organismo con una bocca immensa ed un culo strettissimo.
Ti trovi ad aver sottoscritto cose di cui non ti sei nemmeno reso conto e poi non riesci più ad uscirne, se non impazzendo e venendo dichiarato incapace di intendere e volere da un giudice.
Perché ti devi confrontare col Call Center per farlo.
E non hai una possibilità che sia una contro quell'Idra; ne tagli una testa e ne spunta un altra.
Sappiatelo o voi disoccupati, sfruttati, precari di ogni stazza e colore, sappiate che se doveste essere catturati da una di quelle entità diventereste come loro, così:

Nella foto di repertorio, un utente impegnato al telefono con un operatore di call center.

Volete davvero che le vostre tre lauree finiscano in quel modo?
Ma a fare il panettiere noi ci va più nessuno?




*
Non io eh.
Io non ne ho manco una.

lunedì 27 gennaio 2014

Assenza (pdf regalo nr.2)

Il dilemma è quello solito: si nota di più la mia presenza o la mia assenza?
Per quanto riguarda me e questo blog credo nessuna delle due, la gente qui dentro passa, non si pulisce le suole sullo zerbino all'ingresso e se ne esce, insalutata ospite.
Ma là fuori vince chi fugge.
Lo sanno tutti, nessuno meglio di Marco Ferradini ovviamente ( uno dei momenti nei quali ho più sofferto per empatia è stato proprio ad un suo "concerto" di piazza nel quale i quattro gatti lì riuniti gli chiesero TRE volte Teorema).
Chissà poi perché l'assenza ingigantisce così le cose: la voce del deejay appartiene certo all'uomo-donna più desiderabili del circondario, il nick in rete nasconde dietro le sue frasette e faccine occhi sconfinati e saggezza incommensurabile, un grande classico come il "mio amico", insieme al collega "mio cugino", sono invariabilmente protagonisti di avventure a me proibite.
Perché?
Perché siamo andati sulla Luna ma rimaniamo così disperatamente scemi?
Lasciamo che il deejay, il nick o suo cugino non si lavino per un giorno, facciamo due se il ph è particolarmente gentile, poi vediamo chi è meglio di chi.
Il fatto antipatico è che ci riteniamo il vertice della catena alimentare, ma rispetto al più umile dei pesci palla, per dire, non impariamo mai dai nostri errori; come specie facciamo un passo avanti e mezzo indietro autolimitandoci nelle nostre prestazioni ( anche io, che pure abbondo nell'uso del nobile punto e virgola).
Rispetto al resto del regno animale, la soluzione escogitata dagli umani per affrontare questo problema è stata sorprendente: istituire la categoria degli psicoterapeuti.
Che a loro volta però ricadono negli errori e nelle nevrosi dei padri, abbisognando loro stessi di altri psicoterapeuti in un inestricabile gioco che si avvicina all'irrealizzabile moto perpetuo
Escher l'aveva capito, e giustamente ci ha fatto fortuna.



Tutto ciò per dire cosa?
Niente.
Tutto il post inneggia all'assenza, perchè non so di che scrivere, però vedo che il testo si allunga lo stesso.
Quindi sto scrivendo in assenza di idee, la qual cosa però eleva il post per i fatti che ho esposto là sopra; è un casino vero?
Esattamente come "Strada a doppia corsia", un film del 1970 di Monte Hellman che ho visto l'altra sera dopo lungo inseguimento.



E mai modo di dire fu più azzeccato, perchè si tratta di un road movie di quelli classici, con macchinazze che sfrecciano tra motel e tavole calde su e giù per gli States, senza fare molto altro.
Però qui, a differenza di altri illustri esempi del genere, c'è l'assenza.
Non ho capito se per quei casi fortuiti nei quali l'autore fa una cosa che pubblico e critica travisano  facendola meglio di quel che è (con l'autore che si guarda bene dal dire oh, non c'avete capito un cazzo) o con intenzione, ma il film scorre via creando intorno ai due protagonisti il vuoto pneumatico e la cupa disperazione della generazione americana post hippie ma non Vietnam, senza scopi se non quello di muoversi per non pensare all'american dream infranto.
Strano il cast, con James Taylor e Dennis Wilson, il noto cantautore e il batterista dei Beach Boys, che dicono dieci parole in tutto e mai al momento giusto.
Appena finito di vederlo propendevo per l'immane cazzata, poi forse ho travisato anche io e dopo un sonno ristoratore l'ho elevato ad "interessante".
Come interessante mi si rivelò Georges Perèc leggendo "La vita. Istruzioni per l'uso" .
Da premettere che, appartenendo lui al gruppo OuLiPo, acronimo francese di Officina di Letteratura Potenziale, al quale afferivano pure giocolieri della parola scritta come Queneau e Roubaud (che era pure matematico...), qualche indizio già si poteva dedurre sullo stile poco convenzionale dell'opera, dato che questi del gruppo si dilettavano a sperimentare composizioni ottenute da formule matematiche piuttosto che testi ottenuti da vincoli quali, ad esempio, il divieto d'uso di alcune lettere o l'obbligo di quello di soli palindromi.
Masturbazione pura.
Ma comunque, il romanzo.
Un balenottero in cui ci viene presentato un edificio parigino suddiviso geometricamente in 99 stanze che verranno, tutte, minuziosamente (e non scherzo) descritte fin nel più infimo dettaglio, all'inseguimento della storia del miliardario Bartlebooth che organizza cinquant'anni della sua vita nell'implacabile realizzazione di marine ad acquerello, nei primi 25, e loro dissoluzione, nei restanti, allo scopo di tornare all'originale foglio bianco.
Se vi sembra complesso, sappiate che l'ho semplificato.
Anche qui c'è assenza, ma ottenuta per depressione, risucchiando nel vuoto tutto quel che c'è sulla pagina con un'aspiratore che si occupa di catalogare e soppesare ogni più piccolo dettaglio, sia esso la trama di un copriletto o l'intaglio di una cornice appesa al muro.
Baricco lì dentro ci ha trovato più di un'ispirazione per i personaggi del suo "Oceano, Mare", io ci ho trovato svariati bei momenti.
Ve lo consiglio, se vorrete impegnarvi per un po', altrimenti fottesega, io l'ho già letto.
Altrimenti guardatevi Blade Runner, perché nella sequenza in cui Deckard indaga su una foto muovendosi al suo interno con un attrezzo di cui non ricordo il nome fa la stessa cosa di Perec nel romanzo. 
Solo che una è finzione cinematografica, l'altra realtà letteraria.
Adesso che davvero non so più che cosa scrivere, piazzo, come buona regola di ogni lunedì, il secondo Pdf regalo di Nuvola Nove e buon pro vi faccia.



martedì 21 gennaio 2014

Basette Rapide

Oh, mi sono così ingorillito nel mettere dentro il blog alcuni disegni che ho qui in giro, che mi punge vaghezza di istituire una bacheca votiva dedicata a santificare alcune basette rapide del decennio aureo della F.1.
Scusate la monodimensionalità tematica che manifesto ultimamente, se volete lamentarvi aprite un blog vostro e fatelo là, qui comando io e faccio quel che mi va.
Basette perché si tratta come sempre dei seventies, decennio nel quale questi sette signori che vado a proporvi, dopo una notte di bagordi e festicciole grevi, si mettevano in tuta e casco, si segnavano e poi, dopo essersi sdraiati dentro macchinette rumorose, staccavano il cervello per un paio d'ore, dandoci dentro come assatanati su piste che oggi sarebbero interdette anche alla circolazione stradale.
Se qualcuno ha provato a girare sul vecchio Nurburgring aka l'inferno verde a bordo della sua Playstation, sappia, a titolo esemplificativo, che questi lo facevano davvero sulla pista originale di una paio di chilometri più lunga di quella del gioco (cioè 24 e spiccioli), sul piede dei SETTE MINUTI a giro, senza tante balle o aiuti elettronici, solo le mitragliate dei Cosworth e l'ululato rabbioso del 12 cilindri Ferrari che si perdevano nella foresta, volando letteralmente sui numerosi salti del tracciato con 500 cavalli nella schiena.
Non ci credete?








E muuuuti.
E se pioveva?
Semplice, quattro gomme scolpite e visiera chiara, poi ognun per sè e Dio con tutti.
Ah, che nostalgia baldracca...
Eccoli qua, come mi piace ricordarli.
Sono solo alcuni, grandi basette e piedi destri di piombo, che ho omaggiato con pennellino e tempera nera in momenti di creatività impellente: tre di loro sono anche nelle foto qui sopra.
Se volete fatene quadretti:  arredano bene.











Facce o del bestiario umano

Siamo la nostra faccia.
Il corpo è un mero accrocchio a cui affidiamo i necessari spostamenti sul territorio ma conta ben poco nell'economia generale.
Ci si innamora di un viso, non di un ginocchio, così come quando si dice di qualcuno che ci "sta antipatico a pelle" non è certo perchè ha dita tozze o scapole alate, il collo lungo o i fianchi larghi.
Per questo, percentualmente, è meno sventurato il detentore di viso bello o interessante su corpo medio-mediocre che non il contrario, quindi potete anche risparmiare sull'abbonamento in palestra se ritenete di avere un bel sorriso o due occhi penetranti.
Perchè ciò che rimane impresso nella memoria è la faccia.
Altrimenti sulle lapidi metteremmo le foto dei piedi dei cari estinti, o magari dei loro ani, no? (e sarebbe anche interessante come esperimento sociologico).
Il cranio umano è una ben congegnata scatola, contenente trucchi e trucchetti d'ogni fatta come i sensi e il cervello, che li manovra da gran puparo qual'è.
Allo scopo, esso può contare sul lavoro in nero di decine di muscoli mimici o pellicciai, responsabili unici di reati penali quali lo stalking, il mobbing e tutte le indegne sfumature violente verso donne e non solo.
Pensare che il movimento impercettibile, di millimetri in su o in giù, di queste fascette determini il confine tra la vita e la morte appare quantomeno stupefacente, ma le cose stanno così.
In certe situazioni un mezzo sorriso accennato oppure una smorfia appena compiacente fanno la differenza tra una promozione od una retrocessione.
Lo sa bene Gommaflex, il bandito dalla faccia di gomma, che grazie alla sua peculiare malleabilità  


delinque con trasporto e profitto, ma non si pensi che tutti gli altri siano da meno.
Sforzandoci, e nemmeno troppo, tutti quanti, uomini e donne siamo dei veri Gommaflex.
È la vita ingrata con tutto il suo carico di allegro dolore a costringerci a volte alla trasformazione.
Di seguito posto una serie di immagini, frutto di un mio riflettere sull'argomento, che mi avevano portato tempo fa a dipingere con un pennellino ed una tempera su pezzi di foglio salvati dal cestino piuttosto che su ormai inutili pagine degli elenchi telefonici, per riempire i buchi di un'attività lavorativa vuota di introiti ma ricca di tempi morti.
Ho intitolato la raccolta il bestiario umano e l'ho cominciata con tre soggetti noti ai più, tre calciatori democraticamente scelti dalle tre squadre maggiori italiane, colti nell'animalesco raptus del dopo gol.
Chi è Gommaflex qui?



Guarda come lavorano quei benedetti muscoli mimici... abbastanza per creare mostri, anche se la faccia d'origine dovreste riconoscerla credo.
Chi sono i tre?
Questa invece è gente presa a caso, anche se mi pare ci fossero dentro anche Stan Laurel e La Pina di Radio Deejay...












































Vi siete riconosciuti?
Anche voi come tutti, all'occorrenza,  siete dei mostri.

lunedì 20 gennaio 2014

Sinestesia portami via (qui pdf regalo)

Mi schiaccio un dito col martello e sento odore di pompelmo.
Questo, in cruda ed ignorante sintesi, il significato di sinestesia.
Però qui il maschio è plastico e si argomenta, non ci sono cazzi.
Quindi, oltre a consigliare la lettura del post "Una banda di lavacervello"che è ideale prologo di questo, pianto il paletto: sinestesia è la contaminazione sensoriale per la quale alcuni soggetti percepiscono, associandoli, l'olfatto al gusto, l'udito alla vista ecc. ecc.
Oltre all'esempio in apertura potrei citare chi associa automaticamente un nome ad un colore, attivando insieme alla zona neurale deputata agli stimoli sonori quella visiva, secondo meccaniche proprie delle stimolazioni chimiche da Lsd. 
I sinestetici sono percentualmente molto pochi (ed io ne ho una in casa, che fortunello).

Ragionando avventurosamente è affascinante pensare ai possibili sviluppi creativi di un cervello che operi secondo questo inconsueto schema, un modo del tutto naturale di esplorare l'inesplorato e di portare un po' più in là il confine della mente.
Ragionando logicamente un po' di delusione però c'è, perché di artisti sinestetici ce ne sono già stati ed hanno prodotto il loro bel lavoro che, però, alla prova su strada non si è rivelato migliore di uno frutto di cervelli "tradizionali", solo allineato verso l'alto (anche se giuntovi per strade alternative).
Insomma nessuna rivoluzione, nessuna levitazione o visione interdimensionale: l'homo superior non è ancora qui, se si escludono gli X-Men.

Sob.
In effetti c'era da immaginarselo, perchè anche John McEnroe era un alternativo, un virtuoso mancino puro in un panorama di truci picchiatori destrorsi o addirittura bimani, ma non è che abbia inventato il tennis 2.0.
Solo appoggiava volée setose come nessuno mai più, ma tutto lì.
 
Ho bramato per anni quella polo SergioTacchini.
Il modo migliore per evitare le delusioni è sempre quello di limitare le aspettative, triste ma incancellabile verità.
Vale comunque la pena affrontare gli esiti del lavoro di un paio di sinestetici suono-colore conclamati: un compositore (che si definiva ornitologo), Messiaen, ed un pittore musicista (che si definiva tale ), Ciurlionis.
Il primo, che fu professore di Boulez e Stockhausen, compose innumerevoli opere guidato dall'associazione delle note al relativo colore che il suono creava nella sua mente, scrivendo quindi sul pentagramma della musica che ai suoi occhi appariva anche come una nuance cromatica.
Con tutto ciò che questo significa relativamente agli aggiustamenti mentali necessari a raggiungere gli accordi ricercati anche attraverso le mezzetinte adeguate.
Tutto ciò generava cose strabilianti, futuribili?
No, solo molto belle, ma belle quanto altre composte in modo "ortodosso", se questo termine può avere significato in un qualsiasi processo creativo.
Poi, già che c'era, essendo come detto un valente ed appassionato ornitologo, viaggiava per il mondo col suo cervello diagonale per registrare i canti degli uccelli più disparati per trarne ispirazione, considerandoli "i migliori cantanti del pianeta".
Poi si sedeva e creava delizie come questa del "Merlo nero", intitolate col nome stesso del volatile che di volta in volta inseguiva con gli strumenti musicali.
Il lituano Ciurlionis invece affrontò il cimento dall'estremità opposta, dipingendo quello che sentiva all'orecchio e componeva su tele che visualizzavano quegli stessi suoni e ne portavano esplicitamente gli stessi titoli.
Sfortunatamente dopo aver creato cose come queste


Pasaka
Creazione del Mondo XI



Ciclo dello Zodiaco: Sagittarius



nel 1909 diede di matto e venne internato.
Forse la sinestesia è un fardello per qualcuno, meno per altri o forse era disturbato per altri motivi, tipo che nonostante la popolarità di maggior compositore lituano, faceva la fame.

Sono sempre affascinanti queste "anomalie" percettive: per dire, ho un amico daltonico e non riesco mai a capacitarmi del fatto che non veda blu quello che per me è blu.
Però poi, ripensandoci, chi dice che abbia ragione io?

p.s.

Se c'è qualche sinestetico in lettura si faccia avanti, non tema.
Questo blog è la casa dei disturbati.
Ne pubblicherò la foto e ne esorterò la creatività, se necessario anche applicando loro elettrodi a testicoli o clitoridi.


Venite, venite a me senza paura...
p.p.s

Come scritto nello spazio relativo a Nuvola Nove (the book), posto qui il primo capitolo scaricabile in pdf: fatene scempio che fino a lunedì prossimo nisba.

domenica 19 gennaio 2014

La mostarda di Mel

Nella tradizione culinaria settentrionale la mostarda siede alla destra del padre.
Che è il lesso.
Precisato che a sinistra c'è la salsa verde, la mostarda si declina nelle sue varie incarnazioni cremonesi, mantovane, forlivesi, eccetera ma sempre quello rimane: frutta a pezzi più o meno grandi a seconda delle interpretazioni regionali, cotta in un composto di sciroppo zuccherato e semi di senape, da cui l'assonanza con moutarde, che della senape è il nome francese.

La sua portavoce più glamour, quella cremonese (non foss'altro per lo storico spot della Sperlari che si vedeva regolarmente sotto Natale), si compone di un ben codificato elenco di soggetti: pesche, albicocche, pere, ciliegie, cedro.
L'ordine di immersione prevede i più grandi per primi e gli altri a seguire, verso due ore di estenuante cottura a fiamma debole, per scongiurarne esiziali ammosciamenti.
Successivamente al raffreddamento, la specialità attenderà la chiamata nell'oscurità e sottovetro, pronta ad esaltare col suo inconsueto gusto dolce piccante gli otto/nove tagli di carne del piatto forte.
Alla discesa in campo essa si presenterà così:



C'è parecchia gente che per questa merda ammazzerebbe, per me e molta altra funziona da emetico.
Insomma, un piatto che divide, che fa discutere.
Una portata polemica.
Ma che, incontestabilmente, rende al massimo applicata al bollito.
Lo sovralimenta, consentendo di trarne il massimo godimento sfruttando forze esterne alla preparazione principale, come un compressore volumetrico.
Infatti non vedo differenze sul piano pratico tra questa immagine qui sotto

Bollito, mostarda e salsa verde: un'esperienza da provare nella vita.


e quest'altra


Cavernoso v8 con compressore volumetrico: un altra esperienza da provare.


il principio fondante e funzionale è il medesimo ma gli esiti soprendentemente antitetici: uno dilata lo stomaco l'altro lo stringe, uno crea sonnolenza, l'altro euforia.
Uno è profondamente italiano, l'altro tipicamente statunitense.
Ma non solo, perché qui entra in gioco Mel che invece sta in Australia, laddove la mostarda è quasi sconosciuta ma il volumetrico ha schiere di fans.
Principalmente grazie ad un personaggio ed al suo mezzo: Mad Max e la V8 Interceptor.
Il film l'ho visto giusto quelle venti volte (venti a testa intendo, il primo e il secondo: il terzo è una merda), decisamente di più rispetto ai bolliti che, colpevolmente, ho frequentato con parsimonia nella mia vita.
In un mondo futuribile, una società violenta e corrotta, agisce una corpo di polizia senza scrupoli.
Lotta intestina contro i predoni motorizzati (nel secondo, stante la distruzione della civiltà, la benzina equivale all'oro e per essa s'uccide), Mel Gibson si vede ammazzare la famiglia, sbrocca e si fa vendetta sulla V8 Interceptor, finisce male.
Questo in sintesi.
È appena il caso di ricordare che l'impatto di queste opere sull'immaginario è stato parecchio vasto:
Il beneamato Kenshiro che guardavate TUTTI e TUTTE, e l'aspetto estetico del suo universo da chi erano stati ispirati?





















Già, solo che Max beveva birra e non beveroni proteici e steroidi.
E sgommava di brutto con questa




che poi altro non è che questa



Giuro.
Tipo Olivia Newton John in Grease, prima e dopo la cura.
Fari carenati, spoiler basso, alettonazzi dietro e una serie di scarichi per ustionare pedoni e ciclisti.
Serve altro?
Certo che sì, serve la mostarda e quella, come vediamo spunta dal lungo cofano.
Turbo ed elettronica raffinata sono cose da fighetti europei.
Per gli americani nothing is like cubic inches e quindi, quando cinquemila o seimila c.c. non bastano più, ci impiantano un volumetrico (supercharger suona meglio) a modo loro, cioè con un Ram-Air che sorge dal muso come un sacro totem ad ingoiare metri cubi d'aria.

La libidine nel film è l'azionamento elettrico che fa sì che Max, alla bisogna, prema un mortifero pulsante rosso sulla leva del cambio per far schizzare via la V8 sibilando come un aereo. 

Schiere di appassionati laggiù hanno fatto sparire tutte le vecchie e rare Ford Falcon Gt coupè marcianti per farne delle V8 Interceptor e sperano in un quarto capitolo.
Che sia la volta buona per far assaggiare a Mel la mostarda?

venerdì 17 gennaio 2014

#Invettiva.

C'era un vecchissimo cartone animato che guardavo il sabato sera sulla tv Svizzera, dove c'erano questi due tizi, uno intelligente e l'altro meno, col primo che chiedeva sempre i biglietti per il cinema così: un intero ed uno stupidò (alla franscese).
Chissà poi se è vero o se me lo sono sognato, dubbio questo che spesso è il destino dei ricordi invecchiati troppo e male, quando non sappiamo più come trattarli e dove metterli.
A salvare questo dall'oblio, la discesa in campo di un esercito di stupidò, un'orda che ora, grazie ad internet, è possibile finalmente vedere schierata in tutto il suo deprimente spiegamento.
Il campo di battaglia è talmente vasto da far tremare le gambe e temere per il futuro, anzi scusate no.
Per quello non c'è più nulla da fare.
 
Scoop! Uno stupidò ritratto mentre pratica l'altro da sé prima di connettersi via smartphone e twittare una frase ad effetto.
 
Perché c'era la saggezza ma la democrazia l'ha sodomizzata.
La prima suggerisce da sempre di tacere se si teme di non essere proprio una lippa di cervello, per mantenere aperta una possibilità almeno, perché aprire bocca significa scoprirsi e condannarsi con certezza.
Ma adesso, nell'era della democrazia d'espressione, questo saggio principio è sparito.
La rete, nella persona più pericolosa a rappresentarla, Mr.Social, ha tolto i fermi, spalancato i cancelli delle riserve: i cretini corrono liberi per il mondo virtuale.
Cretini di ogni stazza ed estrazione bruciano nell'urgenza di esserci, commentare, mostrare il proprio quotidiano, condividere, includere (paradossalmente ora che la società umana è all'apice dell'esclusione del singolo) ma, così facendo, si scoprono e fanno cadere ogni dubbio.

Tutti s'affrettano a dire la propria, tutti impongono il proprio pensiero sull'altro pronti all'insulto gratuito, la maggioranza senza sapere minimamente di cosa sta parlando, in uno sfoggio epico di imbecillità trasversale, il cui raggio si amplia all'aumentare dell'ignoranza: si discetta di politica, di economia, di zooologia (di calcio è una tradizione ante rete...), di cucina, sempre con la costante di non capirne un cazzo e la convinzione d'essere comunque nel giusto.
E allora?
La conoscenza non è richiesta, è la mia opinione, devi rispettarla.
Questa formula cretina è abusata quanto la parola razzismo, che viene applicata ad minchiam per ogni episodio che potrebbe essere tranquillamente derubricato come ALTRO (il Ministro Kyenge è più impegnata a difendersi da chi la difende che non da chi l'attacca).
Per quanto riguarda l'opinione, beh, chi ha detto che deve essere rispettata tout court?
Se uno dice o scrive una cazzata, cazzata resta, se poi insiste nella difesa ad oltranza definendola sacrosanta opinione è chiaro che alla qualifica di cretino può aggiungere la stelletta di cazzone (o cazzona, chiaro).
Prevedibile risposta: e tu chi ti credi d'essere per giudicare?
Il cazzone da social ha buon gioco in questo caso: la sua ignoranza lo pone ad un livello non sfidabile, perché, se ci provi, lì vince lui e quella stessa risposta ne è la prova.
Siamo a livello del classico "specchio riflesso" di elementare memoria: che vuoi fare dopo quello?
Se il cretino si chiude nell'angolo non c'è verso, pari e patta comunque.
Qualcuno qui direbbe che c'è grande amarezza, altri che è un segno dei tempi.
E avrebbero ragione entrambi.
Non frequento i social perché sono irritanti nella loro rituale cretinaggine, non per snobismo.
Con un click ti trasportano nella gabbia col leone e poi ti mollano lì senza nemmeno un frustino, solo, teso a chiedere o concedere amicizia a perfetti sconosciuti.
Richieste di amicizia?
Ma chi cazzo ti ha mai conosciuto?
Amicizia è una parola di peso specifico pari al piombo, e lì si mercifica come figurine Panini...
In questo inferno i blog, invece, sono un po' meno inferno.
All'interno l'inquilino sproloquia come sto facendo io ora, fornendo suggerimenti, recensioni, tutta roba non richiesta e a cui non frega a nessuno per far vedere che ne sa, magari, o che è ammantato di sintomatico mistero per dirla con Battiato, nella segreta speranza di farci qualche soldo non si sa bene come (anche io, e non so bene come, infatti).
Ma sono onesti, manifesti nel loro intento e se non li cerchi non li trovi; richiedono un minimo di lavoro cerebrale che Facebook non richiede, anzi scoraggia.
Ma poi chi sono io per giudicare, appunto.
Solo uno che poi va per strada e vede come quell'orda di imbecilli tracimi anche nella realtà, superando di slancio la tastiera dietro la quale son tutti fenomeni, per dissipare il dubbio di quanto impreparata, incompetente e arrogante sia la gente oggi.
Paura, perché si è capito che non tutta la responsabilità del nostro crollo è da ascrivere alla classe dirigente e perchè si rimane nell'ansiosa attesa del prossimo cretino che ci sbarrerà la strada: basterà per difendersi lo "specchio riflesso"?
E soprattutto, come potremo essere sicuri di non essere noi i cretini in presenza del cretino?
Non potremo, perché come tutti non ce ne rendiamo conto.
Ma tanto s'è visto di tutto in quest'epoca, addirittura siamo in regime di BiPapa

Joseph l'oscurantista, il poliziotto cattivo della coppia di sbirri di Dio Bergoglio-Ratzinger


 quando una volta di doppio c'erano solo il whisky nei polizieschi, i dischi e la mozzarella sulla pizza (ma solo a richiesta), cosa volete che sia l'ascesa del cretino in confronto?

p.s.

L'abito non fa il monaco e Benedicto Diabolico sono frutto di un mio raptus pittorico per il momento sopito.
Ma non è detto.
Perché l'ho scritto?
Ma per far vedere quanto sono bravo, sennò a che serve aprire un blog?

Un cretino.

Cooli

Da pochi momenti ho terminato la visione di un film dal quale ho appreso in maniera semi traumatica da dove Dario Argento succhiò ispirazione per i suoi storici giallos.
Da qui:



da questo film di Bunuel del 1955.
Il protagonista si carica ascoltando il carrillon materno che scatena in lui psicosi assortite e lo spinge a delinquere (o così crede), esattamente come l'assassina di Profondo Rosso e il suo collega dell'Uccello dalle piume di cristallo (che però allo scopo utilizza un quadro) che delinquono sul serio.
Del resto è noto che al mondo è stato già inventato tutto e quel che si fa è solo reinterpretare.
Ma comunque culi, il tema del post sono i culi e l'influenza di questa parte anatomica nella vita.
A me ne vengono in mente alcuni, se mi metto lì senza sforzarmi, tre culi paradigmatici per così dire:



Questo è il primo, il cosiddetto CULO AGOGNATO, quello che fin da bimbo speravo di poter un giorno smanacciare.
Se il desiderio è stato o no esaudito non è opportuno in questa sede chiarire.




Questo è il secondo, il CULO ANELATO che avrei voluto avere per attirare frotte di fiemmenuzze e che non ho mai nemmeno avvicinato, con il sillogismo scontato che avrete intuito, dotato come sono di infimo deretano flaccido e sovradimensionato.
Non sarebbe stato opportuno chiarire nemmeno questo ma, complice la pioggia, ho necessità di disperarmi e mi autoaccuso.
Aggiungo che trovare l'immagine di un innocente deretano maschile è parecchio complicata in rete, perché occorre schivare tonnellate di fistfucking ed altre pratiche ludiche simili.
Il terzo è un culo diverso, un CULO SPRECATO se così posso dire.
Deriva da questo, quello che definisco un CULO UMILE:


Sì, immagino la sorpresa.
Però è così, la Renault 5 ha segnato una fase dolorosa della mia vita, quella in cui ho messo a fuoco il concetto di desiderio inappagato.
E per questo la ringrazio, quella carriola transalpina, per essere stata palestra, perché poi la vita vera è tutta piena di robe simili, cose volute e mai avute, cose avute e perse, rimpianti, rimorsi, cannoncini e bignè.
L'elemento scatenante quello lassù dicevo, una umile Renault 5 bianca, modello base, senza nemmeno una stronza sigletta T o TL, niente, "5"e via andare.
Ciò significava avere sotto al cofano un ronzino di nemmeno 1000 cm cubici, votato al risparmio e alla longevità, 140 all'ora giù dal Falzarego, 0-100 cronometrato in minuti.
Non ricordo bene, ho tentato di rimuovere, ma dubito avesse nemmeno 50 cavalli ed era l'auto che mio padre, in un accesso di perfidia, comperò a mia madre all'inizio degli '80.
Tutto bene nella mia ignorante pubertà, finché un bel dì, in occasione di un tagliando, fui trascinato  da mia madre alla Filiale Renault della città.
Entrammo col macinino e parcheggiammo dove indicato, io scesi e rimasi sotto choc.
Sarei uscito da lì in piena adolescenza.
Poco distante c'era questa cosa, esattamente così come quella che posto, col cofano alzato in attesa di qualche pezzo di ricambio, la ricordo come fosse ora: l'apparizione




Meraviglia, stupore, suono di campane.
Poi lieve capogiro e asciuttezza delle giovani fauci.
Intuivo fosse una Renault 5 anche quella ma CRISTO, cosa gli era successo, com'era possibile una cattiveria simile partendo dal mansueto asinello di famiglia?
Due posti, motore e trazione posteriore, il turbo a triplicarne la potenza rispetto alla nostra... e quelle prese d'aria... aaaaahhh.
Venni trascinato via a forza, ma il danno era stato fatto, attaccai poco dopo con l'onanismo più sfrenato, chiuso nel cesso con Playboy alternato a Quattroruote (con preoccupazione dei miei).
Troppo giovane io per poterla guidare, troppo vecchia lei quando avrei potuto farlo.
Come una donna incontrata nel momento sbagliato ma per la quale si sente che avrebbe potuto essere il grande amore.
Per lei feci di tutto, addirittura acquistarne una monografia francese che tradussi dizionario alla mano e alla luce di una candela, lungo dolorose notti nelle quali inciampavo nei vocaboli (soupape non è uno zuppone ma una valvola) e capivo che mai l'avrei posseduta.
Non mi sono mai completamente riavuto e le donne della mia vita hanno sempre sofferto nel confronto (scusa Dolce, so che mi capirai).
Per dimenticarla, qualche anno dopo mi gettai nelle braccia di una rossa milanese, una un po' volgare, sempre vestita da troietta anche per andare all'Esselunga, lei:

culi, culi e ancora culi... (con questo culo ci si correva nel Mondiale Turismo 1987)



Qui l'Alfa Romeo s'era sbizzarrita.
Un'auto così da "terroni" era difficile realizzarla ma il Biscione, mai domo, ce la fece, ed io sbandai.
Chi comprò allora la 75 Turbo Evoluzione (anche il nome era cattivo) spese un capitale e probabilmente la sbiellò in pista, come il suo blasone imponeva, chi ce l'ha oggi se la tiene stretta perché vale sempre un bel po', nonostante debba stare attento ad usarla, perché se non è più che lucida e perfetta la fermata ad ogni posto di blocco è assicurata.
Con lei riuscii a fare una sveltina a Vallelunga e la trovai inaspettatamente affetta da un turbo lag pernicioso e da una tenuta perfettibile che comunque non incrinò il mio sentimento per lei né la quantità dell'eiaculato.
Lo ricordo ancora con piacere e se l'avessi oggi mi divertirei non poco a far cacare sotto i guidatori attuali che stentano a credere che una volta l'unica elettronica sulle auto stava nella radio (e che l'Alfa era quel che oggi è la Bmw).
Poi, per assonanza acustica col titolo ci sarebbe anche Cooley, che è 'sto qua


uno che guidava una Suzuki gs 1000 preparata da Yoshimura nella primigenia Superbike AMA, moto che non ne voleva sapere di voltare già di serie, chissà con 140 cavalli nei carter come diavolo faceva a farle fare quelle cose lì.
Boh.

Comunque non voglio tediare troppo con questi ricordi motoristici che hanno monopolizzato il post.
Su certe cose il nervo è sempre scoperto e potrei piangere davanti a tutti.
Mollatemi.
D'ora in avanti tornerò ponderato e riflessivo, pregno di argomenti culturali, come il pubblico mi ama e reclama insomma.
Credo.
O forse no.