mercoledì 30 aprile 2014

L'uovo

Mi sto cimentando nella produzione di un libro illustrato, spinto dalle morbide mani ferree della Dolce.
Si intitola "Uovo".
La copertina sarà tutta nera di tempera pennellata, con sopra un uovo.
Detta così pare semplice, e lo sarà se nessuno lo pubblica, perchè significa che mi sarò limitato a schizzarne le 48 pagine a penna da mandare agli editori, senza poi doverne effettivamente creare le relative 24 tavole a tempera.
Ma dovrà pur girare una volta o l'altra no?
Adesso poi che mi accingo ad affittare il mio loculo monolocale, arioso e luminoso, ad un sassofonista dell'Est per tirare avanti, sento più pressante l'urgenza che la nostra opera ottenga riconoscimenti.
Mica solo per la soddisfa, proprio per l'alimentazione.
Tra un po' esce anche "Annegando Milano"e parallelamente dovrei continuare a stendere "Encefalonight" se solo questa uggiosa infezione intestinale la smettesse di condurmi sulle conosciute vie del cesso con questa frequenza.
Eppoi piove, dato che pare si siano messi d'accordo per fare di Maggio il mese più umido e stronzo dell'anno: fa caldino sì, ma tanto piove, dove vuoi andare?
Quann'ero ggiovane maggio era il mese più bello, pieno di luci, fiori e colori.
Guardalo ora...
Ma basta, stavolta parlo di bici.
La bici è come l'uovo.
Semplicità assoluta, almeno formalmente: sono otto tubi di ferraccio saldati insieme a tenere su due ruote e poco altro.
Il resto lo fai tu, macchina umana, propulsore odoroso, booster in pelle di questo accrocchio secolare.
Ne parlo leggermente infervorato perché tra una manciata di giorni si correrà la terza Gran Garretto, una sgangherata competizione di relitti, dalla Darsena di Milano fino ad un luogo straordinariamente ameno nel nome e nella sostanza: le dighe di Panperduto.
Me la sono inventata io e l'ho pure vinta una volta, barando come lo stronzo che sono ed ottenendone grande soddisfazione.
Se volete partecipare non dovrete fare altro che trovarvi lì dove ho detto alle 9,30 di domenica 11 maggio, ci riconoscerete.
Siamo aperti a tutti (e poi tanto chi passa su 'sto blog probabile non legga nemmeno, quindi sono tranquillo che saremo i soliti scacioni).
Ma la bici dicevo.
Ne ho fatto sempre un uso morigerato lungo la mia vita.
Come tutti da piccolo, giusto per sbucciarmi le ginocchia, poi l'oblio, distratto dal brum brum di moto e auto.
Infine lo stress e chissà cos'altro mi ci hanno riportato sopra, questa volta per faticare.
Perché, lo dico a scanso di equivoci, la bici è la cosa più faticosa che esista.
Si comincia a capire pedalando che l'aria è un fluido viscoso che è maledettamente faticoso fendere, che il vento c'è sempre e sempre in senso opposto, che il freddo è una brutta roba ma anche il caldo non scherza, che quelli che vedi in tv al Giro o al Tour sono martiri veri e si guadagnano tutti i soldi che prendono, dal primo all'ultimo.
In salita poi la faccenda si fa catartica, permette di colloquiare amabilmente coi propri morti chiedendo loro indulgenza per l'imminente trapasso.
La testa si svuota come un mantice, tutto si concentra nel torace, i polmoni stretti come prugne secche e nelle gambe, che bruciano senza pietà mentre gli occhi puntano l'asfalto e osservano la perfetta traiettoria delle gocce di sudore che cadono come pioggia d'aprile.
Questa visione mi ha suggerito l'ascolto di "Notte Rosa " dell'Umberto Tozzi.
Chissà perchè?
Poi l'ascolto davvero e mi accorgo che in un passaggio dice : "sento già che il dolore avanza, respirerò lacrime e aria che mi sbronza...".
Esattamente quel che accade.
La mente fa strani scherzi, specialmente durante una salita in bici.
Poi ci sono i furbi, i fighi, quelli che ne capiscono di più e che si avvantaggiano montando roba leggerissima, in carbonio, allo scopo di salire più rapidi, massimizzare lo sforzo.
Darei loro addosso, da bravo neoproletario quale sono, in altri momenti, ma in questo caso no, perché la bici è democrazia: si soffre e basta, tutti, nello stesso modo.
C'è condivisione, nel dolore si cresce e ci si forgia.
Con l'acciaio, l'alluminio o il carbonio.
Perché lo fai? mi sento chiedere.
Boh.
Una volta arrivato a grattare il fondo del barile fisico entrano in circolo sostanzine che il cervello tiene in serbo per i momenti migliori e tu sei finito, perché di quella sofferenza non riuscirai più a fare a meno.
Eppoi il corpo ringrazia, perché oggettivamente, una volta scansato l'infarto si sta dimmolto meglio.
Infezioni intestinali a parte, ma quelli sono cazzi miei, ahimè.
Sì, ma l'uovo?
Che c'entra l'uovo?
Niente, ma lo puoi fare sodo, alla coque, strapazzato.
Ti pare poco?
E poi ha una forma perfetta, poco da fare, molto più perfetta della tua.
Ci vediamo là.

lunedì 14 aprile 2014

Si può fare (ma non so come)

" Io, proprio io sono divenuto capace di rianimare nuovamente la materia inanimata... "  diceva il nonno di questo conosciuto scienziato,



avviato peraltro a seguire le orme di famiglia.
Ma non sono stati gli unici, i Frankenstein, a riuscire a penetrare i segreti della materia.
Altri, con esiti più piacevoli e meno cruenti hanno realizzato l'impossibile.
Mi sono stupito l'altro giorno di non aver mai incensato su questo blog né Robert Sabuda né Stephen Mottram, quindi lo faccio ora, con colpevole ritardo.
Ambedue agiscono nello stesso modo del Barone, però il primo utilizza la carta ed il secondo le marionette, così facendo si risparmiano penose nottate al cimitero con la pala in mano.
Ah, le marionette sono quelle coi fili al contrario dei burattini, che invece si sodomizzano col dito o con la mano per farli muovere; si sappia una volta per tutte.
Del primo posseggo uno dei suoi magici libri pop-up, Alice nel Paese delle Meraviglie e bramo tutti gli altri, da Peter Pan in giù (l'ultimo, appena uscito è La Sirenetta).
Un pop up è, di per sè, un oggetto parecchio magico, con quella capacità misteriosa di far emergere cose dalle semplici pagine di un libro, ma quello che Sabuda fa è altro ancora: è dare vita alla materia inanimata appunto, ma con l'aggiunta della dimensione favolistica.
Aprire le pagine e vederne emergere questa cosa qui



regala un momento di incredulità fanciullesca che chiunque può provare (e per N volte, almeno finchè la carta non si logori).
Io, spesso, apro le pagine e lascio il libro lì appoggiato, come fosse un oggetto di prezioso design, un oggetto d'arte (perchè quello è) guardandolo di tanto in tanto e chiedendomi ogni volta come cazzo faccia a farlo solo ripiegando del cartoncino colorato.
Sfido anche il più arido di voi a non atteggiare la bocca a culo di gallina davanti a questo:




Cercate i pop up di Sabuda nelle migliori librerie e correte a piazzarveli in casa, pronti ad aprirli come scrigni quando vi sentirete parte lesa di questo mondo garrota (eh, capita, capita), stando bene attenti che qualcuno in famiglia non li scambi per "roba da bambini" e li lasci a tiro dell'infante di turno.
Calcinculo!!!
Il bimbo/a va addestrato alla vita, sennò che ci state a fare voi?
I pop up di Robert vanno sfogliati in due, aperti dalla sicura mano di un adulto che guidi la zampetta del piccolo finchè non è sicuro che a quello non vengano i cinque minuti e devasti tutto quanto.
Basta poco per radere al suolo della carta in equilibrio così miracoloso.
Aiutatevi con una cinghia di cuoio per imporre la vostra autorità (oppure una salvietta bagnata).
Quanto a voi, cercate di controllarvi a vostra volta: non so quante volte ho represso l'impulso di scoprire il segreto di Sabuda, prima desiderando di ridurmi per poter entrare nella composizione, poi di smontarla come un orrido orologiaio per svelarne il mistero, ma per fortuna ho sempre resistito.
Eppoi si sa, la magia è come un vago profumo nell'aria; basta un piccolo movimento e scompare, quindi astenetevi dal farlo.
Mottram invece la sua creatura la fa sorgere dal legno, sbozzando personalmente le sue marionette e infondendo loro vita grazie a dei fili invisibili anziché con l'elettricità e l'aiuto di Igor.
I suoi spettacoli teatrali (e immagino anche le innumerevoli masterclass che organizza) fanno impressione, perchè c'è più forza vitale lì sul palco che in platea, tra il pubblico.
Non ci credete?



Ah ecco, adesso vedo che siete dalla mia parte.
Bene.
Visto che nelle sale in questo momento c'è quel pippone di film su Noè con Russell Crowe, mi auguro che se dovesse ricominciare a piovere per un secondo Diluvio Universale, a uomini come Sabuda e Mottram, capaci di farci vedere cose che non immagineremmo di poter vedere, venga riservata una morte indolore; annegare sì come tutti gli altri umani, ma almeno nel Brunello di Montalcino.
  

giovedì 3 aprile 2014

Fumetti di marmo

Se incontro per strada Mario Girotti, quello si volta se lo chiamo così oppure Terence Hill?
Insomma è più vero il nome di battesimo o il nome d'arte?
Uno ce lo troviamo attaccato addosso, scoprendolo quando realizziamo che quel suono ripetuto a macchinetta è quello che ci definirà tutta la vita, l'altro invece lo scegliamo noi.
Quindi è più vero un nome d'arte, fuck alla prepotenza genitoriale e doppio fuck alle convenzioni sceme della società.
Tutto ciò per premettere cosa?
Ma niente, solo che sono caduto vittima di una fascinazione pesante per Adolfo Wildt, scultore milanese muerto da un bel po', facciamo settantacinque anni, che aveva un nome particolare che si era trovato e si era pure tenuto.
Contento lui contenti tutti verrebbe da dire, ma lui contento non fu, giacchè trattasi di un soggetto che fu spesso bersaglio di depressione, caratteristica questa che me lo rende empatico, affine, brotha.
L'ho scoperto una domenica, mentre m'infilavo gratuitamente nella galleria d'Arte Moderna di Milano tanto per tirare sera.
Non pare vero che ci sia un posto dove poter entrare tutte le volte che si vuole a riempirsi gli occhi senza sborsare un ghello.
Invece c'è, e lì ho scoperto Wildt appunto, grazie a questa testa esposta (al primo piano, se interessa):


L'uomo antico - 1913

Mi fa impazzire.
Questo è fumetto tridimensionale non una scultura marmorea del primo novecento.
Sfugge a tutti canoni classici, con quella definizione didascalica dei capelli che sembrano bucatini cacio e pepe, gli occhioni dalle lunghe ciglia e quell'espressione estatica. Tra l'altro, prendendo informazioni sul Maestro, ho appreso che era un ammiratore del coevo Rodin, che io idolatro, il quale era a sua volta ammiratore di Michelangelo, che io idolatro, in una sorta di losco trenino dell'amore senza però risvolti ghei.
Del resto cosa c'è da dire di uno che si autoritrae così?


maschera del dolore, 1909

Nessuno sconto, nessuna autoindulgenza.
Tutta la sofferenza e la difficoltà di tenere insieme uno straccio di esistenza in questo mondo del put.
In realtà una cosa di Wildt già l'avevo vista e molte volte, ma non ci avevo fatto caso, perchè sono un superficiale e perchè sta in un angolo del cortile della Statale, luogo che frequento unicamente nelle serate del Fuorisalone e che quindi ho sempre affrontato con la mente obnubilata dai bagordi tipici di quei garruli momenti.
Male!
La statua è questa, e non è che non si noti neh...







































... sarà alta più di tre metri (per capirci, la mia testina di vitello gli arriva al ginocchio).
Ed anche qui scappa fuori il genio da tutte le parti: si tratta di scolpire S.Ambrogio, il patrono della città e lui che ti fa?
Un mezzo bullo, tutto atteggiato e con la bocca corrucciata come a dire: "Cazzo vuoi?".
Fantastico.
Questo è un gesso, il bronzo è esposto proprio in S.Ambrogio; se capitaste a tiro di Basilica non perdetevelo, e non vi dico dove sta perchè è più stimolante trovarselo da sé in mezzo alle mille meraviglie di quel luogo.
Quello che fu il maestro di Lucio Fontana e Fausto Melotti scolpiva in un atelier di Corso Garibaldi e produceva molto per committenti tedeschi, perchè il suo primo sostenitore fu il teutonico Herr Rose.
Costui, che vedeva molto molto lontano, gli finanziò l'attività e grazie a ciò noi ora possiamo godere di questa serie di busti che ritraggono personaggi vari ed eventuali: il fatto è che gli venivano così

Un mecenate, Herr Rose
un Papa, Pio Xi

Un Duce, Mussolini

Un maestro, Toscanini

Cioè, poco da inventarsi: questa non è scultura, è un graphic novel del Ventennio passato nel freezer... non c'è un volto, un'espressione meno che disegnata, quasi cinematografica nell'intenzione che si muove nel marmo e che le orbite vuote rendono ineluttabile.
Tarantino facce del genere ad un casting le avrebbe scritturate tutte.
L'ultima chicca, rintracciabile in una via di Milano.
C'era da fare un citofono, compito apparentemente lineare, privo di fantasie, da geometri comunali.
Ma Wildt non è un geometra comunale e quindi fa questo




Grazie, Adolfo.
Questo ardito link mi permette di collegarmi ad altre orecchie dentro le quali bisbigliare in città.
Sono quelle che il duo Urbansolid cementa nottetempo dove capita, coi tipici modi carbonari della Street Art.



E mica solo orecchie come si evince, anche nasi, teste e corpi interi che d'improvviso ti trovi dietro l'angolo di casa.









Avessi soldi e spazio gli commissionerei un'installazione permanente, da quell'illuminato che sono visitabile a richiesta e ad orari a me graditi, ma ho solo pezze al culo tripla xl e mi limito a lurkare.
Peccato che oggi, 2014, tutto quello che viene lasciato a tiro di mani umane debba finire praticamente distrutto nel giro di pochissimo.
Ma perchè la gente oggi non si mette le mani nel culo (che tra l'altro d'inverno starebbero pure calde)?




martedì 1 aprile 2014

Bologna la Dotta, la Grassa, la Trolley

Sono reduce dalla mia prima Fiera Mondiale per l'Editoria dei Ragazzi di Bologna, che avrà anche un nome più condensato di questo ma che adesso non ricordo.
Comunque quello è.
La manifestazione fa sì che ai tradizionali aggettivi attribuiti alla città emiliana ce ne sia un altro legato al mezzo più trascinato dalla gente in quei cinque giorni: il trolley.
Il trolley è una geniale invenzione, un sistema di spostamento su ruote applicato ad una valigia.
Ne deriva un oggetto difficilmente governabile, che procede nell'assordante rumore delle sue ruotine di plastica dura su due sole di esse, alla Holer Togni direi quasi, non appena incontri un dislivello, una malformazione, una buca nel terreno.
A Bologna ho trovato il talento.
Ce n'è davvero tanto in giro, ma qui lo puoi vedere concentrato.
Questa parete per esempio mi ha impressionato:



Perchè è solo UNA di una serie di pareti uguali a questa, centinaia di mq messi a disposizione di chi vuole proporsi ad un editore con il suo lavoro (prevalentemente illustratori, ma anche qualche autore o team creativo).
E sono tutte robe splendide, che poi, dato che vige la necessità di doversi far notare in mezzo ad una moltitudine, puntano su effetti sempre più sorprendenti: teste in cartone tridimensionali, baldacchini con luci a led, mani di plastilina che porgono biglietti da visita... tutto attaccato in parete.
Un tazebao occidentale, una fiera del bestiame.
Immaginatevi TUTTE le pareti del vostro appartamento tappezzate come quella lì sopra e fatevi due conti sulla sproporzione tra offerta e possibilità effettiva di pubblicazione da parte delle Case Editrici.
Noi, io e la Dolce, che portiamo in giro la nostra fittizia società dentro i nostri trolley, la APPENA NALLO, siamo fiduciosi di riuscire a sopravanzarne qualcuno e magari meritarci la pubblicazione di un illustrato.
Magari più d'uno, magari tre, dieci, cento.
E poi andare a prenotare la Ferrari.
Magari prima della Ferrari aspettiamo un po'.
Perchè questa piccola fiducia? Perchè siamo scemi, altrimenti non staremmo insieme.
Però rimane negli occhi la capacità artistica di tanta gente che era lì, da tutto il mondo, letteralmente, con la sua cartelletta in mano, piena di sogni e di colori.
Li metterei tutti in Parlamento, tutti, nessuno escluso, al posto di chi c'è ora.
Intanto io procedo con il romanzo che so attendete come la tredicesima: Annegando Milano.
Abbiate un po' di pazienza, sto aspettando che l'editore mi comunichi la stampa della copertina e la data di uscita in libreria ed ebook e poi mi darò gioiosamente in pasto a voi, o lettori delle mie brame.
Lasciatemi vivere, non tediatemi, fate respirare... e ricordatevi sempre che qui c'è del bisogno.
Nel frattempo, dato che sto nel mio periodo funky, vi segnalo un vecchio gruppo sempre valido per chi come me sente attrazione verso le basette folte e i baffi a manubrio sopra giacche di pelle nera:






















I Black Merda sono un discreto sentire, direi quasi un vecchio classico misconosciuto.
Per chi non lo sapesse, Merda è il risultato della contrazione di Murder pronunciato da un americano (murda, mudda... merda).