martedì 20 gennaio 2015

Pacinottigianni

Gipi io lo apprezzo soprattutto per le orecchie.
In quell'organo risiedono i centri di equilibrio e a giudicare dalle dimensioni delle sue, la dote non dovrebbe difettargli.
Infatti non gli difetta e se a questo aggiungiamo una capacità di scrittura singolare e di illustrazione propriamente "artistica"non possiamo stupirci di Unastoria.



Io, almeno, non mi sono stupito.
Non dopo aver visto a suo tempo alcuni suoi corti che per me danno la misura della sua cilindrata (quello della merda e quello della telecamera nella tazza del cesso rivaleggiano con quelli del sommo Maestro Rezza).
Nel graphic novel Gipi affronta temi "banali" nella loro agghiacciante essenza: la caducità della vita, l'indifferenza della natura e via così.
Una storia dipinta con l'acqua, materialmente e concettualmente visto che i temi sono triti e ritriti, epperò sta lì la grandezza dell'opera: per come dice queste banalità, come se nessuno ne avesse mai parlato prima, lustrandole per riporle definitivamente nella bacheca dei massimi sistemi.
La sensazione è simile a quella provata nel vedere un passaggio di Baricco in uno dei suoi bellissimi Totem, quei manifesti letterari portati in giro per teatri negli anni novanta insieme al suo sodale Vacis che non avrebbero mai dovuto essere interrotti, nel quale viene letta una pagina di Gadda.
La cognizione del dolore è il testo, una straziante dimostrazione delle vette alle quali la lingua italiana può arrivare se ad utilizzarla è un genio della penna nostrano.
Ultima pagina, quella della morte della vecchia.
Lì Gadda scrive dell'alba che viene e per farlo utilizza lo stereotipo più frusto disponibile sul mercato: il gallo che canta.
Una roba talmente usata da aver sfondato il contachilometri, così disperatamente banale da sembrare apparentemente inutilizzabile per scopi alti.
Ebbene, Gadda scende apposta nella cacca e utilizza il gallo... ma lo fa con un'immagine così netta, così potente e al contempo di scarna semplicità (una riga di testo) da bruciare per sempre e per chiunque altro, davvero, l'uso di quello stereotipo immaginifico.
Roba riservata ai grandi.
In Unastoria lo fa anche Pacinotti e quindi vola anche lui lassù, tra quelli che riescono a dire le cose per sempre, e non per il tempo della semplice lettura.
Clap.