martedì 1 dicembre 2015

Le ragioni del colon



Il romanzo è uscito.
Avrei scommesso di dover lottare con l'editore per difendere il titolo, invece nemmeno un po', quindi LE RAGIONI DEL COLON.
E quali sono queste ragioni?
Quelle di un soggetto ingiustamente attaccato da un parassita fastidioso, un tumore.
Come sa chi ha già perso del tempo leggendo in questo blog, il cancro in questione è quello dell'autore stesso, che ha deciso di esorcizzare quella massa assolutamente esiziale facendola recitare in una storia giallostupida, che è come mi viene quasi tutto ciò che scrivo.
La faccenda sta in questi termini quindi, un claustrofobico e breve viaggio (170 stronze paginette) nel labirinto fantastico della corsia ospedaliera affrontata da protagonista, cioè da uno che non è detto ce la faccia ad uscirne vivo.
Praticamente hanno diagnosticato il cancro ad "Annegando Milano", il precedente romanzo, giacché è il suo mattatore ad esserne colpito e a doversi sottoporre alla tristemente nota trafila medica fatta di chemioterapie, radioterapie, interventi e strizze bestiali.
Ho costruito l'impalcatura il più stretto possibile, cercando di costringere il lettore nella claustrofobia tipica delle lunghe cure, delle malattie invalidanti, quelle che ti abbassano l'orizzonte sotto la sua linea naturale, limitandoti la vista sul mondo che viene.
E, già che ero in zona, armato di un ponderoso tomo sui seria-killer, ho alzato un po' la posta introducendo pure la figura dell'angelo della morte, cioè l'assassino in ambito medico ospedaliero, che andrà necessariamente disinnescato per non rischiare di morire a causa delle sue amorevoli "cure".
Se là, in "Annegando Milano", le indagini si svolgevano nel sottosuolo, qui la profondità aumenta, perché è dentro di sé che occorre scavare per trovare le motivazioni a procedere: indagare con una sonda nasogastrica addosso non è mica facile, garantisco.
La copertina, realizzata da Cristina Raiconi (aka La Dolce), è l'elaborazione grafica di una mia colonscopia; quando si dice darsi completamente ai fan, eh?




In ordine sparso, visto che occorre sempre e comunque dare il proprio parere non richiesto:

1) Sì, Marquez è stato stronzo.
2) No, non siamo in guerra. Lo è la Francia per colpe proprie semmai e non certo perché arrivano migliaia di disperati sui barconi.

martedì 30 giugno 2015

Bislacchi appunti letterari

Vedete la Quintuplette di Jarry là sopra?
Con un posto in più è diventata una Sestuplette e l'ho infilata in un pezzo che è in concorso per i tipi del Battello a Vapore.
Entro fine settembre saprò come è andata e se passerà al livello successivo, cioè tra i cinque finalisti.
Mi aspetto che passi in tromba, perché il contrappasso di tutta la sfiga che vado accumulando dovrà prima o poi manifestarsi e quando succederà il rinculo sarà mostruoso.
Quindi metterò le mani sui millecinquecento euro del premio, più il contratto di pubblicazione con annessi e connessi, che significa la serialità per il protagonista, certo Tazio Nuvolazzi.
Bello essere stupidi.
È come inforcare un paio di occhialetti con le lenti rosa e guardare il mondo con occhi nuovi.
Bello anche scrivere per ragazzi, perché la faccenda è strana e stimolante.
Requisito numero uno: occorre scrivere la cosa più cretina che ti viene in mente, poi lasciare lì a decantare e quando la si riprende aggiungere ancora scemenza a scemenza.
Questo nella mia sensibilità compositiva.
Poi non è esattamente così, c'è tutto un lavoro di cesello che deve essere compiuto a seconda della fascia d'età per cui si scrive; il maledetto bambino ha esigenze maledettamente diverse a due anni rispetto ai quattro, a sette, a dieci ecc.
A quarantacinque non ne parliamo.
Quindi l'effetto, dopo aver magari appena finito e consegnato le revisioni de "Le ragioni del Colon", che uscirà il prossimo inverno per Eclissi, di mettersi al tavolo per concludere "La corsa dei diecimila chilometri" è quella di aver preso una craniata violenta che ti ha instupidito.
Ma poi passa la sensazione e quel che rimane si fa molto apprezzare perché scatena un flusso puro di fantasia che su di un testo per adulti è sempre mediato dalla merda che il mondo è.
Non posso dire in un romanzo "per cervelli (si spera) già formati" che l'auto del protagonista è spinta da un motore che funziona a "deliziosa melassa", né che il team francese cerca di favorire la Sestuplette spingendola con un gigantesco ventilatore col favore delle tenebre.
Invece in questo sì può ed alla fine il tutto ti estorce una piccola soddisfazione perché durante il percorso ti senti cretino a scrivere in quel modo ma la rilettura rimette a posto le cose (e la candela).
Invece bisogna essere zen, far fluire la storia, lasciandole tutto lo spazio di cui ha bisogno senza voler far con lei il saccente e pedante scassacazzi.
Vedremo un po' come andrà, intanto ringrazio il Grande Patafisico per l'ispirazione e mi scuso col suo spirito per aver modificato così brutalmente la sua creatura a pedali.
Per chiudere, voglio dire al ladro della mia motoretta, che non passa giorno senza che io scandagli il web sperando di leggere in un incidente stradale sanguinoso nel quale la sua testa viene schiacciata da un camion della spazzatura (che poi la raccoglie e la getta, come giusto, nell'umido) mentre la mia Triumph, magicamente, rimane in piedi e si ferma sul cavalletto a bordo strada.

GRAN VISIR DI TUTTI I FIGLI DI UNA MIGNOTTA!!!!!!!!

lunedì 29 giugno 2015

La vita è una merda

La moto è andata.
È durata sette notti giù in strada e puff.
Auguro al ladro e ai suoi eventuali complici di morire male, subito e soffrendo molto, consci del fatto che gliel'ho tirata io e che non li salverei nemmeno se strisciassero ai miei piedi supplicando.
I soldi non garantiscono una vita felice.
La povertà garantisce una vita di merda.

lunedì 15 giugno 2015

Barbuti

I post vanno diradandosi, un po' come i capelli.
Però con grande maestria raccolgo le fila e le tiro pure dei due precedenti, quelli sulla moto e sul "non buttare via niente".
La mot l'ho trovata.
Paro paro quella della foto, pagata pure molto meno del previsto, ma con un difetto: usata ma tenuta bene, come diceva Luca Carboni.
Perchè dovrà stare in strada la notte e quella oltre che consiglio porta sciami di ladriemmerda ahimé, quindi non vorrei sparisse immantinente.
Si vedrà.
Per l'altra cosa, quella della teoria del porco, annuncio l'uscita per Natale di "Le ragioni del colon", romanzo che senza il mio cancro non sarebbe stato scritto.
Sì, a queste condizioni avrei preferito non scriverlo, ma è successo e quindi, almeno, sfruttiamo le circostanze, visto che loro non lesinano nello sfruttare me.
Di cosa si tratta avremo modo e tempo di discettare, adesso mi preme parlare di una cosa che comincia a farmi girare i coglioni ed ha a che fare con le riviste patinate che stanno spuntando funghesche in edicola sul tema "motospecial vintage stile di vita fico" ecc.ecc.
Essendo finalmente rientrato a pieno titolo nella grande famiglia la cosa mi turba.
Capostipite del mescolare pere e  mele e farle sembrare ben accordate la rivista “Riders“, diretta da un uomo che in anni di prove serie per riviste tradizionali aveva dissimulato l'animo fighetto come il miglior Fantomas, che propugna lo slogan "due ruote spostano l'anima", frasona generata immagino da furioso brainstorming redazionale.
Ad essa si vanno accodando altre realtà più o meno recenti, "Ferro", "Cafè Racer" e compagnia, che vanno seguendo il solco cercando di raccogliere quel che resta del mercato.
Qual'è infine 'sto mercato?
Quello dei barbuti, tatuati, stilosi, mezzi questi e mezzi quelli che non abitano mai "a" ma "tra" e non devono chiedere mai, come diceva il profumato claim.
E che viaggiano, tutti, solo su special che paiono tenute col filo e costruite in garage (varie foto dei barbuti sporchi di grasso dovrebbero testimoniarlo) ed invece pagate a peso d'oro da preparatori professionisti, ai quali non par vero di fare soldi rendendo oneste motociclette delle bare da bar.
"Bare da bar" significa esattamente quello che avete intuito.
Vengono utilizzate per raggiungere il sacro luogo deputato all'aperitivo e poco altro, perchè alla prima curva presa in allegria la mietitrice è li che attende, e ivì lasciate alla golosa visione degli avventori, nella più meneghina delle manifestazioni, più ancora del risotto giallo.
Ma che hanno di così ammaliante le moto in questione?
Sono bellissime, sì, con ciclistiche stravolte da sospensioni accrocchiate, coperture tassellate (perchè adesso va lo scrambler mentre fino a ieri mattina la cafè racer) pensate per altro e non  per tirare pieghe sul duro della strada, manubri fachireschi con bracci di leva da ergastolo o stendipanni con frecce e specchietti alle estremità per centrare tutto quel che c'è al semaforo e via così.
Ma questo è il meno.
Il più è che tutte queste leggiadre creature de fèro, cavalcate da uomini dall'occhio che uccide la fiemmena o il masculo indifferentemente, nella vita reale non possono esistere.
Le pagine di queste riviste ed i loro account FB tracimano di mezzi senza frecce, solo a volte con targa, scarichi tassativamente vuoti, pneumatici non previsti dal libretto, selle da sciatica, ecc.ecc.
Belle neh, ma un'uscita con la suddetta prevede la ferrea necessità di NON incrociare neppure per sbaglio una divisa per strada pena tornare a casa col tram, né di cadere, perché l'Assicuratore del caso, alla vista della special, viene colto da potente erezione e desiderio carnale di voi.
Ma questo l'editoria di genere non lo dice mica, l'importante è spostare l'anima e avere vite avventurose.
Il tutto si completa con il tocco di demenzialità mai assente in questi casi: l'abbigliamento.
Tecnico?
Macché... davvero vuoi spendere uno stipendio, soffrire col cellophane a protezione per una settimana e poi nascondere il tattoo?
Dài.
Io guido con gli avambracci fuori per massimizzare l'investimento, e col jet più striminzo sul mercato, perché devono starci gli occhialetti fighi, (che tanto poi quando mi verrà la congiuntivite guarderò nella bottiglia dell'olio come diceva la nonna), e lasciar troneggiare la barba da hipster, tagliata e lozionata da altri hipsters, tatuati e specialmotati anch'essi, in un loop psichedelico ed inarrestabile.
Completo col giubbottino vintage, pelle fine senza paraschiena, senza gomitiere o spalle omologate cosicché possa, in un colpo solo (quello ricevuto dal bordo del marciapiede sul quale planerò grazie a quelle gomme del cazzo che monto) riportare il calendrio al 1976 ed azzerare tutto ciò che Lino Dainese s'è inventato da allora per salvarmi dalla sedia.
Sono ragazzi, che volete farci.
Però nelle foto in bianconero 'sti qua vengono bene devo dire.
Un po' li invidio.
Meno quelli nelle varie redazioni che devono inventarsi storie da hard boiled per vendere.
Auguri.

Meno invidio ATP che s'è fracassato una gamba col suo GranPasso e che da qui saluto con mugliera.
Pistola, non avevi abbastanza tatuaggi!

lunedì 23 febbraio 2015

il cancello quiz

Una motocicletta fa bene al cuore.
Questo tanto per chiarire, poi si può discutere d'altro ma rimane il fatto che una motocicletta ha benefici effetti sul funzionamento del corpo umano.
Evito stronzate da rivista patinata tipo"sposta l'anima" o "è viva e mi parla", perchè si tratta solo del monotono lavoro di pezzi di ferro che scorrono, ruotano e vibrano rumorosamente quando giriamo la chiave e pigiamo il butòn, null'altro.
Però resta il fatto; fa star bene e molto anche e quindi, dopo un anno passato con cancro e terapie, ora  rivoglio un cancello che mi porti beato da qui a là.
Ma c'è la crisi.
Ahi, ahi, ahi.
E la crisi non va d'accordo con il possesso di beni voluttuari, con l'orgia del superfluo, con l'estetica del lusso (che poi sarebbe solo piccolo benessere via).
Quindi è una sfida che vi pongo, quella di individuare un modello che rispetti i numerosi paletti che porto conficcati nel sedere.
Quali?
Questi:

Il mezzo rimane parcheggiato in strada
Il mezzo deve avere scarsa appetibilità per i latri (corollario)
Il mezzo deve avere una sua personalità (leggi "no hornet di serie")
Il mezzo deve costarmi TUTTO COMPRESO (cioè con burocrazia e assicurazione) non più di duemila euro
Il mezzo deve divertire il Maschioplastico, quindi il motore deve razzolare attorno al litro di cilindrata
Il mezzo ha da esse parco nei consumi
Il mezzo deve trasportare convenientemente anche le chiappette della Signora

Mi pare tutto.
Troppo difficile?
Pareva anche a me, invece non è così.
Addirittura avrei anche scovato alternative, pensa un po', ma alla fine la scelta è caduta su...
rullo di tamburi










Immagino il silenzio.
Cos'è?
Triumph Sprint St prima maniera.
Anni dal '99 al 2002.
Prezzi intorno ai duemila, motore tricilindrico brioso e dal suono tenorile, consumi ridicolmente bassi per essere un 955 (17, 18 al litro andando in relax), da tenersi esattamente così come la vedete, denudata da carene, parafanghi e borse (oltretutto da rivendersi per rientrare parzialmente della spesa), perchè mi piace selvatica e postatomica, tenuta su con fascette ed elastici, e perchè dovrebbe scoraggiare chiunque dal fottermela.
Sella comoda per due culi, posizione adatta per osservare il panorama e poetare mentre lo si attraversa con distacco, 110 cavalli se volessi concedermi qualche penna adolescenziale.
Taac!
Sono di un'intelligenza che a volte mi spaventa.

Voi a che conclusione siete arrivati?

mercoledì 4 febbraio 2015

La Teoria del Porco

Si può, nell'Italia del 2015 vivere di scrittura?
No, e i pochi casi noti non fanno che confermarlo.
Però può essere sì, se si verificano alcune importanti condizioni, e lo dico a beneficio di tutti quelli che aspirerebbero ad un libro proprio sugli scaffali o magari più d'uno.
Una carriera quindi, anche se lo scrivo vergognoso.
Quali saranno mai queste condizioni?
Eccole, testate e certificate dal Maschioplastico in persona:

Non avere figli, non avere un'automobile, non avere un mutuo che ecceda i 300 euro, scordarsi viaggi, pay-tv, smartphone o altri dispositivi modaioli, cinema e teatri solo se con biglietti gratuiti, concerti pochissimi, scarso interesse per la buona tavola, esercizio fisico regolare per allontanare spese mediche, utilizzo massivo di ticket e buoni sconto di qualsiasi forma e dimensione.
E tutto ciò ancora non basta, occorre aggiungere tassativamente un'entrata di almeno 800 euro mensili (oppure un'anima gemella con cui dividere) e almeno un titolo pubblicato, anche da un'editore di fascia bassa (l'importante qui è la serietà, non il posizionamento editoriale).
Questo se vivete a Milano o in altra città equipollente sotto l'aspetto dei costi.
Se vivete in cittadine di provincia oppure nel bel mezzo della campagna ritengo possibile sorvolare su alcuni punti, tipo concedersi un mezzo di trasporto (rigorosamente usato) oltre la bici e qualche libertà alimentare in più.

Agitate e servite, avrete la vostra qualifica di "scrittore" e potrete arrivare addirittura a farla scrivere sul documento.
Altre storie non ce ne sono, tutto molto semplice e lineare.
Poi, se volete sognare, nessuno ve lo impedisce neh?
Veniamo ora alla teoria del porco, quella secondo la quale del suino non si getta via niente.
Oltre ad essere vera è pure applicabile ad altri campi oltre al gastronomico.
Vi ricordate di Nuvola Nove (vedi post) e delle sue travagliate vicissitudini?
No, andate a leggerne poi tornate qui; sì, adesso vi dico.
Proiettato a raggiungere una massa critica di titoli, a costruire un mio "catalogo"che possa permettermi un cumulo di diritti d'autore sufficienti per una dozzina di pizze al mese, dopo aver mandato in giro il nuovo manoscritto con la consueta formula dello sparo nel buio ai vari editori, mi sono messo ad attendere riscontri rimettendo mano ai vecchi materiali di quell'esperienza lì, quella del Nuvola Nove, perchè mi sembrava uno spreco lasciare materiale che mi appariva valido a fare i cagnotti nell'hard disk.
L'idea non è sorta spontanea, ma spinta a forza dall'aver visto una conferenza tenuta dai mammasantissima di Libromania durante Bookcity 2014.
Chi sono costoro?
Il frutto di una collaborazione tra De Agostini Libri e Newton Compton Editore per affrontare finalmente in modo serio il mercato degli ebook, che qui da noi, finora, è stato trattato come un gioco buono per i disperati che farebbero di tutto per farsi pubblicare (leggi "pagare").
Questi non chiedono una lira e si occupano della promozione, cioè di ciò che fa vendere o no un libro, bello o brutto che sia.
Stavano là seduti, snocciolando numeri che mi parevano promettenti, quindi, via da lì, sono tornato al vecchio condominio del romanzo e gli ho dato una robusta mano di vernice nuova.
Molto robusta, ed è stato anche divertente vedere quanta ciccia gli ho tolto dai fianchi dopo sette anni dalla sua prima incarnazione.
Ciò fatto ho spedito il 19 novembre 2014 il file e il 24 o 25 gennaio scorsi mi è arrivato in casella la proposta di contratto da firmare.
Voilà, la teoria del porco ha colpito ancora e giustizia è stata fatta.
Ah, gli ho anche confezionato un bel titolone nuovo, "Un magnifico boato", che mi piace proprio e spero sarà metaforico del suo apparire sul mercato degli ebook.
Nel frattempo pazientare ed avventarsi sugli spaghetti, rigorosamente in bianco.

p.s.

il titolo me l'hanno voluto cambiare con un loffio "Storie dei mie vicini"... boh, contenti loro.

martedì 20 gennaio 2015

Pacinottigianni

Gipi io lo apprezzo soprattutto per le orecchie.
In quell'organo risiedono i centri di equilibrio e a giudicare dalle dimensioni delle sue, la dote non dovrebbe difettargli.
Infatti non gli difetta e se a questo aggiungiamo una capacità di scrittura singolare e di illustrazione propriamente "artistica"non possiamo stupirci di Unastoria.



Io, almeno, non mi sono stupito.
Non dopo aver visto a suo tempo alcuni suoi corti che per me danno la misura della sua cilindrata (quello della merda e quello della telecamera nella tazza del cesso rivaleggiano con quelli del sommo Maestro Rezza).
Nel graphic novel Gipi affronta temi "banali" nella loro agghiacciante essenza: la caducità della vita, l'indifferenza della natura e via così.
Una storia dipinta con l'acqua, materialmente e concettualmente visto che i temi sono triti e ritriti, epperò sta lì la grandezza dell'opera: per come dice queste banalità, come se nessuno ne avesse mai parlato prima, lustrandole per riporle definitivamente nella bacheca dei massimi sistemi.
La sensazione è simile a quella provata nel vedere un passaggio di Baricco in uno dei suoi bellissimi Totem, quei manifesti letterari portati in giro per teatri negli anni novanta insieme al suo sodale Vacis che non avrebbero mai dovuto essere interrotti, nel quale viene letta una pagina di Gadda.
La cognizione del dolore è il testo, una straziante dimostrazione delle vette alle quali la lingua italiana può arrivare se ad utilizzarla è un genio della penna nostrano.
Ultima pagina, quella della morte della vecchia.
Lì Gadda scrive dell'alba che viene e per farlo utilizza lo stereotipo più frusto disponibile sul mercato: il gallo che canta.
Una roba talmente usata da aver sfondato il contachilometri, così disperatamente banale da sembrare apparentemente inutilizzabile per scopi alti.
Ebbene, Gadda scende apposta nella cacca e utilizza il gallo... ma lo fa con un'immagine così netta, così potente e al contempo di scarna semplicità (una riga di testo) da bruciare per sempre e per chiunque altro, davvero, l'uso di quello stereotipo immaginifico.
Roba riservata ai grandi.
In Unastoria lo fa anche Pacinotti e quindi vola anche lui lassù, tra quelli che riescono a dire le cose per sempre, e non per il tempo della semplice lettura.
Clap.