lunedì 18 novembre 2013

Chi non si aspetta l'inaspettato...

... non troverà la verità (Eraclito).

Chi volesse predare la citazione ed usarla in contesti che ne facciano risaltare le sue doti ci ripensi.
Eraclito non l'ha mai detto, però Riccardo Pangallo sì, alla fine delle scenette dell'investigatore Palombo a fine anni '80.
Più che altro è l'inaspettato che mi interessa qui, quel momento particolare nel quale capita qualcosa che ti fa sobbalzare, che forza il quadro definito ed evade, sorprendendoti.
Fondamentalmente potremmo attribuire un ruolo salvifico all'inaspettato, per la sua capacità di gettare un po' di carbone in caldaia facendoci cambiare velocità, risvegliandoci dai nostri torpori quotidiani.
E non è necessario cercare il macro, basta molto meno.
Ad esempio alla Marvel, nei primi anni '70, affidarono a Johnny Storm il compito di dare una scossetta ai lettori che andavano impigrendosi.
I Fantastici Quattro erano ormai congelati nei loro costumi istituzionali, questi
(qui peraltro nella più classica delle loro esecuzioni, quella di Jack Kirby*[ uno che Stan Lee chiamava "the king"]), ma un bel giorno, di punto in bianco e per un ciclo di storie lungo quasi un lustro, la Torcia si presentò così:
Tac! Ecco l'inciampo, l'inaspettato che sveglia dal torpore.
Il "codice" è perfettamente rispettato ma viene superato magistralmente interpretandolo coi colori propri del fuoco; è uno dei F4 ma è anche di più.
Chapeau.
(Non rompetemi le balle col costume nero dell'Uomo Ragno neh? Che poi lui ne ha cambiati a mazzi e non vale più).

* Che ci crediate o no il protagonista di "Giocando a Golf una mattina", sceneggiato giallo fine anni '60 interpretato da Luigi Vannucchi si chiamava esattamente così, Jack Kirby, chissà se c'era qualche legame col fumettista, mah. Intanto Vannucchi ci avrebbe proposto anche lui l'inaspettato, suicidandosi nel '79.
Ve lo consiglio, se vi piace la recitazione tipicamente teatrale ed i tempi dilatati (il bianco e nero poi è la morte sua) perché i gialli tratti dai libri di Francis Durbridge, a livello di intreccio ancora non li ha superati nessuno, provate e mi direte.
Altro caso simile mi è capitato di incrociarlo un paio di settimane fa, ad una manifestazione letteraria che il programma descriveva bene ma che poi si è arenata su di un parlarsi addosso tra addetti ai lavori che mi ha ferito i maroni.
Della manifestazione ho salvato una mostra di copertine però, premiate dal solito manipolo di addetti ai lavori.
Ha vinto questa

Premetto che qui il verde è decisamente più smorto rispetto alla realtà, comunque... Adelphi.
Sognerei anche di pubblicare con loro, se non fosse che per riuscirci dovrei essere morto oppure aver scritto un pippone insostenibile (meglio entrambe le cose): pare siano i requisiti fondamentali.
Però guardate che bellezza: il codice grafico Adelphi è pienamente rispettato epperò, come la Torcia col suo costume rosso, crea lo strappo col catalogo classico, la piccola meraviglia, il passo avanti che balza nel moderno e si trascina dietro tutto il resto.
Nella pratica spicciola è stato incorporato nel rigido schema una parte di cartellone pubblicitario del torneo di Wimbledon di non mi ricordo quanti decenni fa.
Chapeau.


L'ultimo caso è recentissimo ed un po' personale.
Questo film qui
è bello.
Ma bello, bello.
E anche la locandina, vagamente alla Bass (e un giorno parleremo anche di Saul Bass e di tutta l'arte che si portava dentro nel fare titoli di testa e locandine).
L'inaspettato, eccolo qua di nuovo per fortuna.
Sono balzato sulla poltroncina dopo pochi minuti perché il mio corpo ha capito che stavo per godere forte.
Roman Polansky oltre ad essere un vecchio porco pregiudicato è soprattutto un Signore della Regia, uno dei grandi intendo.
Qui, occhio alla perversione, mette davanti alla macchina da presa una piece teatrale tratta dal romanzo di Von Sacher-Masoch, un altro storico porco, nel quale fece la sua comparsa il concetto di dominazione degradante, da lì in avanti masochismo, appunto.
Il regista ci fa entrare, letteralmente, dentro un teatro, e lì resteremo per tutto il film in una miscela di metacinema che muta continuamente in metateatro, sorretto dalla prova di obeso talento di Mathieu Amalric che è una specie di sosia di Polansky giovane e della burrosa moglie (di Roman, non dell'altro) Emmanuelle Seigner, splendida nella sua femminilità decadente, esibita con volgare classe.
Fotografia avvolgente, musica penetrante e misurata.
Chapeau.


Cacchio fate ancora qua?
Andate a vederlo.

p.s.
Vi lascio con uno scoop eccezionale: le telecamere plastiche hanno seguito l'ultimo Consiglio dei Ministri e ve lo propongono quasi integralmente.
Si capisce ora perché queste riunioni fiume non partoriscano mai niente: non si capiscono.

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