domenica 18 maggio 2014

Annegando Milano


Eccolo qua.
Il 22 maggio comparirà in libreria il mio primo romanzo con Isbn sul retro (per il primo senza avete solo da leggere il post su Nuvola Nove) per i tipi, come si dice in questi casi, di Eclissi editrice.
E' già da ora disponibile in prenotazione sul loro sito sia in versione e-book che classicamente cartacea, se non potete contenervi, altrimenti attendete la data indicata e recatevi in qualche libreria Feltrinelli.
Annegando Milano quindi, anche se in origine il suo titolo era Fittipaldi nelle fragole, per motivi che si chiariscono leggendolo.
Si tratta di un noir basato su di una serie di fattacci compiutisi in un passato più o meno distante che riaffiorano, è proprio il caso di dirlo, con estrema violenza attraverso i getti delle, poche ma buone, fontane di Milano.
Ci scappa un morto, decisivo per far partire l'ingranaggione, e c'è un eroe riluttante, già ben pieno di cazzi suoi propri anche senza quelli che il destino cinico gli addossa per soprammercato.
Ma tant'è, la curiosità non è solo femmina e il nostro (che poi sono i nostri), di scoperta in scoperta finisce per svelare l'intricato mondo silenzioso che si cela sotto le strade e gli edifici della metropoli: acque antiche, canali segreti e navigli nascosti ed un progetto folle e per certi versi condivisibile, quello di annegare Milano.
Ce la fanno?
Non ce la fanno?
Boh, non me lo ricordo... fatto sta che per arrivare a deciderlo ci ho messo dentro un falso speleologo dello Scam con una gamba di legno, una bicicletta elettrificata, la Massa Critica che scampanella qua e là ogni giovedì sera e molto altro.
Voilà, 260 paginette grondanti l'entusiasmo ferale del Vostro anfitrione qui presente che per documentarsi convenientemente si è sciroppato lunghe gite sotterranee al Castello Sforzesco (bellissimo) e lungo alcuni tratti braidensi del Naviglio, letture immersive di carte antiche e grossi bricchi di thè, orzo, cocacola allungata con l'acqua, a volte chinotto.
Il tutto dieci mesi dopo aver infilato a forza (perchè non ci entrava mica tanto bene) quel balenottero del manoscritto nella bocca della posta dell'Editore.
Ho preparato anche un'espansione visuale del romanzo, per quelli che come San Tommaso devono per forza vedere dove e come.
La trovate qui: https://www.facebook.com/annegandomilano?ref=hl
Se non vi piace fate il piacere di non dirmelo, che sono particolarmente delicato in questo periodo...
Adesso vado a prendere le gocce per dormire.

giovedì 15 maggio 2014

Vent'anni dopo.

State tranquilli, non si parla né di Moschettieri né del secondo tassello della loro trilogia, anche se lo  scoprire da piccolo che, oltre alla solita storia conosciuta dell'uno per tutti e tutti per uno, ce n'erano altri due episodi mi toccò parecchio.
No, qui si parla di altri "vent'anni dopo".
Capita a volte di dover mettere le mani in cose che si erano dimenticate, vuoi per fare pulizia, vuoi per fare spazio: sprofondato nella muffa della cantina mi sono imbattuto in un vecchio faldone di foto riguardanti la mia vita precedente e vasto è stato lo stupore nel constatare che mi trovo esattamente a vent'anni di distanza dalla mia ultima affermazione sportiva.
Vent'anni sono tanti, nella mia testa è sempre stata l'unità temporale classica per definire il "tanto tempo fa", il "molto lontano da me".
Quindi mi sono detto che la cosa andava festeggiata in qualche modo, tipo fermarla nella memoria di questo blog pieno di niente, e così ho estratto un po' di immagini dal decennio nel quale ho corso in macchina.
E questo è il detonatore.
Poi c'è l'esplosivo: ho compiuto i vent'anni nel paddock di Monza e i trenta in quello di Imola ed in mezzo ci ho messo un po' di cose, irregolari nello svolgimento e negli esiti ma tutte degne di essere vissute e che, grossomodo, rifarei.
Tutte tranne l'ultimissima che mi è capitata fra capo e collo un giorno fa e che mi costringe ora a rispolverare quella ferocia mentale che era necessaria per fare in pieno la seconda di Lesmo e utilizzarla adesso per un altro tipo di lotta con me stesso.
Sono criptico, perdonate, ma a me, ora, serve così.

F.3 Monza 1990, Variante della Roggia su Reynard 883 - Alfa Romeo.
In quell'anno di debutto solo un pugno di gare e un sesto posto a Bari (Binetto) con giro più veloce: stavo pure a Militare e per correre mi fumavo le licenze come toscani.

Spendere la parte più luminosa della giovinezza correndo in pista trovo comunque sia stata un'idea piuttosto brillante, decisamente meglio che accatastare giorni inutili rollando canne con gli amici al parco.
Sarà che il fumo mi ha sempre dato fastidio.

Il caldo boia di Pergusa, 1991. Reynard 903- Alfa Romeo e notare l'ala dietro a zero carico per la massima velocità. Bellissima pista old style tutta sconnessa, ambiente surreale, grandi bruschette al pomodoro fresco nella piazza sopra l'autodromo la sera. Risultati zero.

È stata anche un'esperienza piuttosto cinematografica se vogliamo, perchè attorno ai 24 anni sbattei nelle classiche Sliding Doors, schiantandomici, e senza nemmeno incontrare Gwynet Paltrow ahimè.
Chissà cosa sarebbe successo se... quante volte ci si fa questa domanda?
Io molte volte, anzi sono anni che mi sogno scenari possibili, tutti invariabilmente perniciosi.
Io li chiamo "sogni competitivi"e so che mi accompagneranno alla bara, serenamente, pacatamente.
In questi episodi onirici sto sempre lì lì per vincere qualcosa ma gli inconvenienti più comici mi impediscono di quagliare, tipo che mi fermano perchè non ho i guanti, oppure la macchina diventa microscopica o perdo una scarpa oppure oppure... potrei riempire un quaderno.
La realtà fu diversa e tremendamente più concreta.
Comunque questa è la foto nr.1, quella datata esattamente vent'anni fa, 5 giugno 1994, (avevo pure i capelli scuri, pensa te) che mi ha fatto scattare il crimine:


Certo potevano sprecarsi di più con la dimensione delle bottiglie...

Qui, nel 1994, correvo nel CIVT, acronimo di Campionato Italiano Velocità Turismo e, dopo questa vittoria di Misano che seguiva quella a Monza di un mese e mezzo prima, mi trovavo in testa a ben quattro classifiche: quella generale del CIVT, quella di Classe, la Under 25 e quella della Coppa Peugeot, marca per la quale guidavo.
Nessuno prima (e nessuno poi) era mai riuscito in una simile tetralogia.
Non ci riuscii nemmeno io :-)
Però mancò pochissimo e per questo il dolore per lo spiaccicamento contro la Sliding Door di prima è ancora avvertibile: mi avvicinai tanto da poter vedere le sagome di quel che c'era di là, ma non abbastanza per distinguerle chiaramente.
Ho ottenuto un dito in culo come vitalizio.
Dovetti saltare una trasferta a Bari per mancanza di soldi (ma và?), e alla stretta finale venni coinvolto in un incidente al via a Varano de Melegari che divenne per mia somma sfiga anche parte della sigla di un programma motoristico dell'epoca, così potei per un po' di anni rivedermi il fallimento in playback.
Insomma, finii vice campione tricolore nell'Under 25, terzo in Coppa Peugeot e in Classe N7 e quinto o sesto nella generale.
Gloria zero e soldi premio pochi, inoltre a quello che vinse al posto mio, Autosprint dedicò un poster bello grande.
Avrei voluto esserci io appeso nella cameretta di qualcuno, invece niente...
A tutto ciò aggiunsi poi un altro platonico titolo di vice campione italiano nel '96, poi stop, la vita bussa alla porta e il gioco s'interrompe.
L'assegno in quel caso fu più sostanzioso e consegnatomi durante una premiazione al Casinò di Venezia: c'era una sola cravatta in sala e ce la scambiavamo a turno quando eravamo chiamati sul palco...
I piloti sono gente pessima.
Di quegli anni mi ricordo soprattutto i debiti e le volate a ritirare i premi d'arrivo da girare rapido al Team che altrimenti non caricava le macchine sul camion e la linea tratteggiata sull'autostrada, che correva dritta sotto le mie ruote mentre mi spostavo da un circuito all'altro.
Tutto sommato sto meglio ora che non ho manco un'automobile: guidare una monoposto in luglio a Pergusa con 35 gradi, indossando una tuta ignifuga è un'esperienza non particolarmente piacevole, a meno che non si venga pagati per farlo.
Io non lo ero.

Qui sono a Imola in una delle mie ultime apparizioni. Civt, credo classe N5 con la Peugeot 106 16v nell'aprile 2000. L'età avanzava ed il piede si alleggeriva, mannaggia, anche se qua vedo una sola ruota attaccata a terra.
Non mi ricordo cosa combinai di preciso, ma se non lo ricordo tanto bene non andai...


Ah, qua vado a vincere la Top Cup Peugeot al Motorshow di Bologna, una gara ad inviti per i più bravini dell'anno con le loro macchinette. Probabile fosse il 1995. Mi invitarono tre volte e feci un primo, un secondo e un terzo.
Per fare la pole nell'Area 48 staccai diverse volte gli specchietti contro i muri. Andavo volentieri perchè Peugeot pagava tutto, bell'albergo, banchetti pantagruelici in cui mi strafogavo e in più tornavo con la mia bella targhetta: che c'era di meglio? Ora a in fiera a Bologna ci vado col trolley per l'Editoria dei ragazzi... eh, eh. Il Motorshow manco c'è più.
Però guarda quanta gente!
Questa è bella. L'anno il '91, l'auto una scacionissima 205 Rallye 1.3 prestata e la corsa è la 6 Ore di Vallelunga.
In coppia con Michele Colacino arrivammo terzi in quell'anno e vincemmo la classe quello dopo. La macchina era un vero cesso legato insieme col filo di ferro, ma noi eravamo giuovinotti caparbi e baldanzosi e non c'importava.
Le Coppe a casa le portammo comunque.
Anche qua mi invitarono; Superturismo 1996 a Monza su Peugeot 405 Mi-16.
Una truffa orchestrata dal furbo Team Manager Trione per inculare qualcuno e nella quale rimasi mio malgrado coinvolto. Per risparmiare montarono componenti a fine chilometraggio tenendo i vertici all'oscuro e addossando la colpa su di me. La frizione si bruciò prima del via della prima manche dopo che tra libere ed ufficiali mi avevano fatto fare a malapena dieci giri. Fortuna mia e sfortuna loro, ero in ottimi rapporti con l'Ufficio Sportivo della Casa francese e non ci misi molto a smascherarli. La mia occasione di diventare pilota ufficiale però sfumò per la seconda (ed ultima) volta.


Chiusa parentesi.
Il faldone con le foto muffe torna in qualche anfratto.
A fra vent'anni.

p.s.

Questo post è dedicato a Sandro, a Mauro, a Bruno e a tutti i ragazzi di allora che hanno spento il motore prima del tempo.

giovedì 8 maggio 2014

L'Automobile

In vita mia ho posseduto svariate automobili.
Ora non ne ho manco una ma, statisticamente, dai 18 ai 41 anni se ne sono succedute sette direttamente riconducibili a me.
Alcune le ricorderò sempre con molto affetto, altre meno, ma UNA, una per me rimarrà l'AUTOMOBILE, quella che vorrei avere ancora, che rimpiango e che per certi versi più mi ha rappresentato.
L'oggetto è questo:


Stessa capote, stesse ruote e stessi interni della mia... nostalgia bagascia! 

Si tratta di una Jeep Cj-5.
Una linea senza tempo, mutuata dalle Willy's della Seconda Guerra, con quei fari tondi e le sette feritoie frontali classiche quanto le cariatidi del Partenone.
Già allora dovetti scontrarmi con la crassa ignoranza della vulgata.
Jeep è un nome da sempre percepito come definizione del segmento fuoristrada, (che se grossi diventano gipponi...) come lo scotch per il nastro adesivo, cosi quando mi chiedevano che macchina avessi e rispondevo "una Jeep" andava in scena invariabilmente il seguente cabaret:
"Sì ma che marca".
"Jeep".
"Ho capito ma Mitsubishi, Land Rover...".
"Jeep".
 "Stronzo, non me lo vuoi dire...".
"JEEEEEEP".
Comunque, la vettura in questione la trovai sulle pagine di una rivista in quel di Cremona e per lei vendetti una moto e qualcos'altro che non ricordo più.
Mi scontrai con un po' di problemi, io che all'epoca volevo fare l'americano a Milano, e cioè che il vero desiderata, il SUO motore d'elezione, non si trovava in giro facilmente e quindi dovetti ripiegare sulla prima che trovai a prezzo per me abbordabile ma col motore sbagliato.
Si sappia che questo sbaglio era un sottosviluppatissimo Isuzu a gasolio ASPIRATO (!) duemila e quattro che erogava poco più di cinquanta cavalli...
Leggi non andava un cazzo.
E quando dico "cazzo" credeteci.
Centodieci orari in scia ai Tir se in buona, altrimenti qualcosa meno, nel traffico della città mi salvavano il discreto tiro in basso e le marce rapportate sul corto ma era comunque un esercizio buono per l'autocontrollo quello di contenere le bestemmie ad ogni affondata sull'acceleratore.
In compenso, e questa era una caratteristica di quei mezzi, lo sterzo era preciso come la mano di un ubriaco e i freni più che frenare "suggerivano" un rallentamento (anche alle velocità comiche che si potevano tenere).
Ma vi assicuro signori e signore, che procedere in tutto relax con una Cj completamente aperta (cioè senza tetto né portiere) e vedere ogni ostacolo sparire sotto l'alto cofano dava una sensazione di piacere fisico  e libertà di movimento che ancora ricordo con vivida emozione e che nessun altro mezzo a motore mi ha mai più regalato (nemmeno le moto per dire).
Una volta mi colse un temporale in autostrada mentre viaggiavo in quel modo.
Finchè procedetti l'aerodinamica convogliò la pioggia alle mie spalle, lasciandomi asciutto e giulivo sotto gli occhi invidiosi degli altri, chiusi nelle loro scatolette di sardine.
Poi arrivai al casello e smisi di ridere.
E un'altra volta feci il viaggio Milano - Misano Adriatico en plein air, coi capelli scompigliati dal vento ed il sole su (un lato) della faccia.
Arrivai in Riviera che sembravo il Barone Ashura, pallido di qua e ustionato di là, e con le alghe al posto dei capelli, ma che figata e che nostalgia... ero il monarca dell'Autosole.
La volli bordeaux metallizzato, da oro pallido che era con fregi adesivi arancio-marroni (troppo yankee per i miei nobili gusti), con i cerchi bianchi.
Ruote da 31pollici, grandi ma non grandissime (la morte sua, di un Cj, avviene con le 33'' ed un leggero rialzo) così,




Per contenere i costi mi fidai di un cretino e la portai da un amico suo che era carrozziere come io ero panettiere.
Riuscì nella non facile impresa di farla diventare per tre quarti metallizzata e per uno pastello (negli angolari posteriori) senza che riuscissi mai a capire come aveva fatto.
Ma tant'è, era bellissima coi suoi interni di panno beige, il soft top nero e tutti gli accessorietti che le avevo donato (essendo un Renegade aveva finiture verniciate in nero, io montai ganci e cerniere cromati del Laredo), non ultimo uno scarico laterale che scimmiottava quelli del benzina, che però erano uno per lato contro il mio solitario a sinistra.
E gli interni?
Adesso si storce il naso se manca il navigatore o la telecamera per il parcheggio... guarda qua com'è la situazione in uno di quei mezzi fantastici:

Se montavi lo stereo eri già un signore... io l'avevo e anche l'inclinometro a mercurio che 'sto barbone non ha.

Non c'è niente!
Che sogno.
Dovetti venderla ad un certo punto ad un rude edile veneto che voleva impiegarla nei cantieri, perchè la conta dei piccoli problemucci che saltavano fuori cominciava ad essere oltre le mie possibilità.
Il detto "chi più spende meno spende" è più vero del vero.
La salutai per sempre una sera, sul piazzale di San Siro, dove anzichè il suo sottile volante mi rimasero in mano un pacco di centomila.
Non ho foto di lei e me ne dispiaccio.
Nei miei sogni spesso la guido ancora qua e là con immutato buonumore.
Se dovessi vincere al totocalcio o ereditare da un parente che purtroppo non ho però saprei che fare.
Mi ero dovuto accontentare del Cj-5 ma esteticamente gli preferivo il 7, quello a passo lungo, benché un po' più pesante (perchè a parer mio il pezzo in più equilibrava la linea e metteva in maggior risalto le ruote, anche grazie al suo assale posteriore più largo che le spingeva libidinosamente fuori dai parafanghini).
Così, per capirci:

A questo Cj-7, oltre alla parola, mancano solo gli scarichi laterali.

Me lo farei fare nero opaco stavolta, con gli scarichi laterali cromati e con sotto al cofano il suo originale AMC 304 a benzina, un primordiale otto cilindri a v di 4980 cc, possente e gorgogliante come una pentola di fagioli.
Ascoltare per credere.





150 cavalli, coppia come i turbodiesel moderni e il carter dipinto vezzosamente di blu, vorace carburatore Edelbrock doppio corpo per fare poco più dei cinque con un litro a starci attento e vaffanculo a tutte le Aree C del mondo.
Anzi, visto che son qua a sognare, farei come molti fanno con quei favolosi trattori, gli monterei sotto il 360, cioè un 5800, che era lo stesso blocco motore ma destinato al modello Gran Wagoneer, l'ammiraglia della gamma.
Allora sì che sarei a posto fino alla fine dei miei giorni.
Ora scusatemi, ma tutto questo fantasticare sul Cj mi ha portato ad una inconsapevole polluzione diurna.
Vado a fare un bidet.

martedì 6 maggio 2014

Cibo Matto

Le Cibo Matto sono queste qua:



Insiema ai Pizzicato Five, che sono invece questi,





 avevano fatto parlare di sé una decina d'anni fa mi pare, più per il nome che per la musica che facevano.
Ma non è di loro che volevo dire, era solo un'alibi per arrivare a parlare di quest'era del cibo sempre e comunque che stiamo vivendo.
In Italia non c'è altro argomento di discussione in questi ultimi tempi.
Viviamo in un parossismo gastronomico, in un orgiastico banchetto diffuso.
Vai a cena da amici e mentre stai mangiando un primo od un secondo qualcuno salta su ricordando lo spaghetto di Tizio e la torta di Caio con doviziosa descrizione della preparazione.
E il bello è che tutti partecipano, tutta la tavola, anche gente di cui non avresti detto, tutti lì a farsi le pulci sulla cottura o sulla quantità e con vero interesse, mica per una questione di educazione.
Una volta i programmi di cucina in tv si contavano sulle dita di una mano monca.
Lo so perchè erano i miei favoriti all'ora dei pasti, (al limite mi facevo andar bene Corrado col Pranzo è servito)





perchè mi scatenavano un extra appetito che rendeva pantagruelico anche il mio smunto panino col prosciutto.
Sì, perchè mia madre aveva intuito le potenzialità di un figlio che si accontentava di quel che trovava al ritorno da scuola nell'ottica di un certo fancazzismo, e aveva introdotto lestamente un regime a base di rapidi panini imbottiti che io non sono mai più riuscito a spezzare.
Per questo poi, da grande, mi sono sempre ben guardato dall'andare "a pranzo dalla mamma la domenica" (con suo grande sospiro di sollievo).
Oggi invece c'è da uscirne obesi solo sedendosi davanti allo schermo e a qualsiasi ora.
Ma com'è che si finisce sempre per abusare delle cose?
L'equilibrio è la dote più rara in natura.
Inoltre la figura emergente non è quella del cuoco pingue e amichevole, della Nonna o della Sora Lella della situazione, non dico una moderna epigona dell'Ave Ninchi dei tempi che furono


Ave Ninchi, appunto. 

macché, oggi va di brutto l'uomo con barba di qualche giorno ed occhio intenso che arrivato a tiro di un fornello, magicamente, si arrotola le maniche di una camicia bianchissima e comincia a tagliare pomodori con mano ferma e tocchi rapidissimi.
Un po' come un cane quando vede la palla.
Invariabilmente questi soggetti sporcano più pentole che una mensa per impiattare poi un caghino di pietanza tipo nouvelle cousine (e poi chi lava, boh?).
Il tutto dopo aver stappato una bottiglia di rosso e tirato grandi pacche virili sulla schiena dell'ospite.
Ma una volta la cena non era un'ostacolo da superare alla svelta per trombare?
Una sorta di inevitabile ostacolo che andava affrontato coi muscoli tesi come il cavallo e le parallele nell'ora di ginnastica?
Adesso chi tromba più dopo ore ed ore passate tra supermarket, preparazione e racconti su pasti e ricette altrui?
Ecco giusto ora ho visto uno spot con Favino che è esattamente così... pazzesc (cioè, non che tromba, che cucina in camicia bianca).
Liberatemi da tutto questo cibo! io, che quando confesso di mangiare solo per non crepare vengo guardato con orrore.
Almeno quando mi capiterà di introdurre a tavola un discorso diverso, chessò un po' di politichina, magari cronaca nera, delle volte attualità generica, qualcuno mi cagherà.

sabato 3 maggio 2014

Agenore Fastweb

Sotto i piedi dei milanesi serpeggiano chilometri di fibra ottica.
Questo fascio di spaghetti al dente trasporta i dati per un sacco di cose, ad un sacco di gente che ringrazierebbe per questo miracolo tecnologico.
Lo farebbe se non fosse che a gestire l'affaire non fosse una società che si chiama Fastweb.
Perchè nemmeno la rapidità della trasmissione dati che ti permette di vedere scatenate pelviche su Youporn senza scatti, riesce a far passare in secondo piano la loro inadeguatezza e l'odioso monopolio che ti costringe a dargli retta anziché sfancularli come meritano.
Cheppoi non è detto che lo siano davvero inadeguati, si comportano come tali però, mandando in giro tecnici ed assumendo al call center, pare, solo ed esclusivamente gente che non sa che cazzo stia facendo lì.
Risulta quasi affascinante sentire interpretare in tre o più modi diversi lo stesso problema e addirittura esaltante scoprire come gli abbonati di vecchia data, se non rompono le balle per un adeguamento, paghino di più dei nuovi contratti per il medesimo servizio.
Questo per dire cosa?
Uhm. uhm...
Ah sì, che in una delle loro deliranti iniziative, anni fa, ci fu quella di lanciare un decoder attraverso il quale vedere programmi esclusivi.
Un cimitero per elefanti televisivo ovviamente, con dentro un po' di tutto, tipo il bidone dell'umido: qualche puntata di vecchi show di Vianello, Mina e Carrà, vaghe partite di calcio ritenute significative, cartoni animati sbiaditi e poco altro.
A differenza del bidone non puzzava per fortuna.
Però, normalmente, le cose interessanti sparivano senza lasciare tracce dopo poco, e, tra queste, delle trasmissioni rarissime di lezioni d'arte andate in onda a metà settanta.
Ne ho già parlato nel post "metafisico" a proposito di De Chirico.
Una in particolare mi ipnotizzava attraverso un processo credo simile a quello illustrato nel post del rumore bianco: Agenore Fabbri scolpiva un cavallo nel suo studio di Albisola ed io mi collegavo al pavimento attraverso sottili fili di bava.
Proprio un processo di imbesuimento, che iniziava nel sentire il suono delle mani dello scultore schiaffeggiare la massa di creta adagiata sul tavolo.
Pat, Pat, Pat... eppoi un brivido lungo la schiena quando eseguiva i suoi tipici tagli nella massa (non per nulla lavorò gomito a gomito con Fontana), frit, frit, frit... e l'ossido di rame lucidissimo e l'ingobbio... ahhh.
Per fortuna, anni dopo il filmato, oltretutto in versione extendend, è riapparso sul sito Rai Educational.
Cavallo e cavaliere li trovo bellissimi, Fabbri e l'omone baffuto che lo assiste che lui chiama splendidamente Il Fornaciante, anche.
Tra l'altro Fabbri è anche autore di un simpatico cazzone che da anni è dimenticato in uno slargo del cosiddetto Centro Direzionale che oggi, per tutti i trendsetter col negroni in mano va sotto il nome di Porta Nuova (i primi a dire Piazza Gae li ho già sentiti e mi preparo ad aggredirli verbalmente).
Eccolo qua





Mai capito se il grido di dolore che s'intuisce scaturisca dall'angoscia del casino edilizio che c'è stato lì negli ultimi quarant'anni o dal fatto che adesso che invece un po' più in là è una figata, a lui tocca stare ancorato lì in mezzo alle sterpaglie.
Mi ricordo che una volta qualche buontempone appose un preservativo alla poderosa minchia del nostro eroe, come in un afflato di condivisione intima e di virile amicizia.
Poi sparì.