lunedì 31 marzo 2014

Suono bianco (cravatta nera)


Avevo un segreto e lo tenevo per me, fino a ieri sera.
Poi è arrivato Youtube ed eccomi allo scoperto, ad esternare, senza nemmeno utilizzare l'odiosa parola inglese per farlo, neanche ora che Obama ha appena concluso il suo giro a seminare buffetti pelosi alle nostre "autorità".
Il soffio dell'asciugacapelli mi ammazza.
Nel senso che il combinato aria calda+rumore di funzionamento ha il potere più o meno occulto di spegnere i miei centri nervosi in brevissimo tempo e consegnarmi all'oblio, meglio se sotto una coperta.
In tutte le stagioni, calde o fredde.
Mi sono sempre sentito un diverso per questo.
Da ieri però tutto cambia, come dicevo.
Mi è balzato in mente di digitare hair drying, così, senza reali velleità e cosa ti trovo?
Una sequela di video dedicati  a menomati come me, in video fatti apposta da gente che sta lì a riprendersi la mano col phon acceso per minuti.
Bellissimo.
Non soffrirò mai d'insonnia adesso che lo so, risparmiando anche sulla bolletta elettrica.
E so anche chi ringraziare ora: il rumore bianco, quello che non dà fastidio, muovendosi su basse frequenze e che riporta la mente a situazioni piacevoli dell'infanzia.
Finalmente libero.
Solo pochissimi conoscevano la mia patologia che custodivo con vergognosa discrezione, ancora meno (la Dolce e stop) il fatto che, effettivamente, mi riportasse direttamente a due, tre situazioni infantili  nelle quali mi addormentavo al suono del phon, della lucidatrice, di elettrodomestici buoni insomma. 
Spero con questo di cambiare la vita di qualche altro reietto là fuori, esortandolo a farsi avanti senza pudore, anzi, consigliandogli di combattere lo stress della vita quotidiana con un bello shampoo, che poi fa bene anche all'igiene generale.
Dicevo all'inizio della visita di Obama... ma la vogliamo fare finita?
Tutte le prime pagine, per giorni, dedicate a quello che pensa Obama del gelato, della Costiera Amalfitana, delle creste di gallo di mia sorella, mentre quello vuole approfittare per venderci il suo gas scavalcando Putin con fare filantropico e Renzi ridicolo paggetto a cercare approvazione per fare la sua figura di Primo Ministro, leccate di culo chilometriche nella migliore tradizione nostrana.
E basta, un po' di dignità cazzo.
Finchè non smetteremo questa sottomissione ridicola alla cultura statunitense non andremo da nessuna parte (cultura statunitense è un ossimoro peraltro).
Una tristezza che si ripete come la liquefazione del Sangue di S.Gennaro ogni volta che un Presidente ammerregano incrocia da queste parti ( ma è sufficiente un sottopancia per scattare sull'attenti eh, basta un Kerry qualsiasi).
C'è da rilevare un fatto; l'unico che a mia memoria si pose un po' diversamente con gli americani fu il capo della Banda Bassotti, il vituperato Craxi, che nell'85 durante la crisi di Sigonella mise Reagan al suo posto più di una volta, senza piegarsi all'arroganza americana.
Chissà che in quei giorni convulsi Bettino non usasse accendere il phon per rilassarsi.

p.s.

Il titolo del post è una laida ripresa di quello di un pezzo di David Robert Jones: questo.

giovedì 20 marzo 2014

Ho avuto vent'anni ventitrè anni fa (quasi 24).

In  questi ultimi giorni ho una certa nausea da blog.
Non so da cosa possa dipendere, non da una mancanza di spunti, almeno non ancora, ma proprio una nausea da claustrofobia, un rigetto della forma chiusa offertami da Blogger, sempre con i tasti in quella posizione, sempre con la mia lampada accesa dietro, sempre col monitor che mi acceca.
Ma è che sto invecchiando e pure male, questa la verità.
Ho avuto vent'anni ventitrè anni fa, quasi ventiquattro, troppo per scansare certe paturnie.
Spesso mi scopro ripercorrere in un'orrido deja vu le orme genitoriali e quel che è peggio, quando me ne accorgo m'atterrisco.
Intendo: avete presente quella cosa, quella frase o comportamento, che vostro padre o vostra madre facevano/dicevano e che a voi mandava ai matti?
Tranquilli, prima o poi la farete anche voi e il problema salterà fuori nel momento in cui ve ne accorgerete (state calmi, è colpa delle eliche del vostro Dna, non potete farci nulla).
Se avete prole potete godere del palliativo pensiero di trovarvi all'interno della Ruota della Vita od altre cazzate retoriche simili, se no arrangiatevi come m'arrangio io a trovare un'appiglio qualsiasi.
La depressione però è sempre lì che aspetta, come un'esibizionista che attende paziente dietro l'angolo e quando voi passate zac!, vi mostra l'arnese.

 
La sensazione è stata già perfettamente codificata dal serial Il Prigioniero, un cult britannico di fine anni sessanta che rivisto adesso fa cadere il latte alle ginocchia in quanto a ritmo, ma fa gridare di gioia tutti gli amanti del vecchiume (aka vintage) e della Swingin' London.
In quel mondo, chi tentava di fuggire (sufficiente mettere un piede fuori dal perimetro stabilito) attivava una palla che sorgeva dalle acque e inseguiva il fuggiasco fino ad ingobarlo e ricondurlo all'ovile.
Ecco, io mi sento così in questi giorni:

Un attimo prima d'essere inglobato...
 
E questo nonostante mangi qualche banana per la storia del potassio e debba rivedere la bozza finale del mio primo romanzo Annegando Milano e rimandarla all'Editore per la stampa.
Fortunatamente esiste la Dolce che mi salva dalla distruzione a colpi di Zushi.
Non so quale sia la spia che si accende a voi in questi momenti, a me capita quando comincio a trovare riduttiva la forma canzone basata su chitarra-basso e batteria.
Lo so, vado a farmi rinchiudere.
Però è così, sento la musica senza l'amalgama che la fa magica.
Ho letto la lista dei migliori 100 album italiani dagli anni '70 ad oggi e per curiosità sono andato a cercarmio 17 Re dei Litfiba, questo qua
 

 (86° in classifica e giudicato dai fan il loro apice creativo).
L'ho trovato 'na merda che suona noiosa, con voci acerbe e arrangiamenti tutti uguali.
Ma è probabile che sia io il collo di bottiglia nella fruizione, perchè sempre la predepressione fa scattare qualche interruttore nel cervello che richiede un livello più complesso e stratificato per trarne "piacere" (piacere in depressione è una parola destituita del significato convenzionale), suoni tipo J.M.Jarre, Dream Theatre alla peggio Prodigy o Kraftwerk.
Forse devo solo digerire.
ciao.

venerdì 14 marzo 2014

Quando il futuro è passato...

... che si fa?
Leggendo in questi giorni il seguente testo

Yes, tutto Dick a soli 6,90... accorrete numerosi!

pensavo che il superamento del futuro ipotetico contenuto in romanzi o film è una bella scocciatura.
Questo qui ad esempio è ambientato nel 2016 ed è stato scritto nel '64.
Dick ci ha profuso impegno e sforzo per delineare un mondo così lontano da dov'era lui e, comunque, il tempo quel maledetto, piano piano e un passo alla volta l'ha raggiunto e superato.
Togliendo alla storia uno strato di qualcosa.
Non si sa cosa, ma qualcosa perde un testo di fantascienza quando il suo futuro passa, lo si guarda come ad un parente o amico sborone che alla fine tutto quello che andava sbandierando da anni s'è capito che non era in grado di farlo.
Una mezza delusione insomma. 

1984 è scaduto un bel po' di tempo fa, Spazio 1999 pure, (ed anche il progenitore UFO che era ambientato nell'80), 2001 è andato e con lui anche gli emuli dell'Anno del contatto e valanghe d'altri.
Tra i famosi si salva per ora giusto Blade Runner, anche se dubito che per il 2019 a Los Angeles comincerà  a piovere ininterrottamente sulle teste di qualche Replicante.
E cosa salta all'occhio subito?
Che nello spazio non ci siamo andati, e le uniche nuove colonie sono quelle dei cinesi a Prato.
Nessun autore s'è inventato un'espansione verso l'interno come è avvenuto nella realtà, grazie alla rete e ai social network , chissà come mai.
Pensavano tutti alla direzione opposta, verso lo spazio, verso fuori.
Perciò se devo pensare a qualcosa che sia sfuggito all'ossidazione, allora mi viene in mente Lain.


Serial Experiments Lain è un anime andato in onda nel '98 su di un canale satellitare in Giappone.
Curioso pensare come negli anni '90 i Giapponesi si siano come incazzati ed abbiano deciso di cambiare le regole del gioco per tutti, creando prima Evangelion ('96) e poi questo, per poi mettersi a sedere dicendo: "Ok. Ora adeguatevi".
Lain comunque è roba per pochi, infatti andava in onda all'una di notte.
E in effetti si tratta di una mattonata tremenda sulle palle se non si ha la pazienza e la sensibilità di cogliere quei due o tre messaggi che ti convincano a non mollare, a dargli ancora una possibilità finchè, esausto arrivi all'ultima puntata e ti rendi conto della portata dell'opera.
Si parla di connettività globale come se ne parlava allora, durante la prima diffusione della Rete (che chiamano il Weird) ma con piccole e significative varianti tutte orientali sul tema della coscienza condivisa se si spinge troppo in là il concetto di connessione, introducendo nel discorso le possibilità potenziali della Risonanza Schumann (che sto utilizzando anch'io nella stesura del nuovo romanzo che sarà, appunto, fantascientifico) nel processo.
Questo anime comunque non ve lo consiglio, non voglio avere vittime sulla coscienza, a meno che non abbiate letto l'Ulisse di Joyce traendo piacere dal sudore stillato da fronte e ascelle nella sua doma.
Quel che vi consiglio è invece Gipi, sempre e comunque, perchè lui ne ha tanto ma tanto.
Questo, per esempio, l'ultimo edito


oppure questo, che è quello prima



Ma dove si capisce appieno la cilindrata di quest'autore è altrove per me, tipo nei suoi corti fulminanti (come questo corto girato in un cesso) oppure la capacità di sedersi davanti ad un foglio bianco ed arrivare attraverso una scintilla misteriosa a generare una striscia geniale nella sua semplicità come l'Incredibile storia dell'uomo che non sapeva cagare.
Sono le brevi e sofferte avventure di un uomo piegato dal dolore, non già della peristalsi impossibilitata, ma proprio di un dolore dell'anima, nel sentirsi emarginato dalla società per non conoscere né l'atto in sè né il significato della frase che lo descrive.
Ah.
E cosa vuoi dire ad uno che si siede e scrive un soggetto simile?
Diciamo genio?
Io lo dico.
Genio.
Cercatevi le strisce in rete e godete tutti dell'incredibile opportunità che la vita vi ha concesso facendovi sapere come fare a cagare. 


P.s.
Il fatto poi che, come chiaro da ogni video che lo immortali, il Pacinotti sia evidentemente nudo e fuoriposto in qualsiasi luogo che non sia casa sua non fa che aumentarne i meriti.


domenica 9 marzo 2014

C'avevo un Guzzi.

Questo sarà un post noioso per tanti, tipicamente quelli che rigettano gli egoriferiti, le personalizzazioni, i motori ed i tecnicismi ad essi legati.
Però, da vero motociclista me ne frego, smanacciandomi il sedere dei jeans lisi, perchè io c'avevo un Guzzi.
È in queste giornate protoprimaverili che sento maggiormente la mancanza di una moto.
Come una specie di sindrome da arto mancante, non ce l'ho ma mi sembra che sia giù in strada pronta a partire.
E quindi mi gratto.
Perchè io c'avevo un Guzzi e ad esso ero molto legato, perchè era tutto pulsante ferro italiano che mi ero cucito sulle mie misure umorali, andando giù di lima e pezzi di ricambio.
Uno, l'ultimo, una marmittella spettacolo, tutta saldata a settori che m'ero fatta fare da un artista che si chiama Davide Caforio e che perdetti in tangenziale, perchè, si sa, l'arte è bella ma fa soffrire.
Ero partito da qui


da un Le Mans 1000 come questo, dell'86, pescato a Cuneo e messo molto molto peggio di quello della foto, tutto ricoperto di un verde mela buono per rimettere il pranzo (pure i cerchi!).

Passai lunghi momenti a rimirarlo, solo nel boxino freddo, palpando voluttuosamente le sue testone alettate e sognando le scorribande che ci attendevano.
Infatti, dopo poco, arrivai qui:

La marmittella di cui sopra, poco prima di perderla per strada

Cambiai i cerchi, la sella, segai un pezzo di telaio, eppoi già che c'ero sostituii gli ammortizzatori e spostai la batteria.
Monoposto, rigorosamente, perchè la moto così va goduta, non ci sono santi (anche in due è bello, ma per altri motivi meno viscerali).
Già così mi divertivo parecchio.
Ero il Re della Strada, Monarca del semaforo milanese, dove facevo cagare addosso maxi scooteristi sprovveduti e Japponesi supponenti, schizzando via al verde grazie alla coppia straripante che mi sparava avanti in un epico bordello di scarico.
Però gli amici, birichini, spendevano a palate sulle loro moto contemporanee, cercando di ristabilire le distanze dal tonante cancello di Mandello del Lario.
E li capisco, perchè se l'uomo è stupido, il motociclista, che dell'uomo comune e dei suoi difetti è un distillato come il centerbe, è molto stupido.
E quindi se loro progredivano, io alesavo per non perderli di vista.

Il motore Le Mans, che nei frivoli eighties usciva 940 c.c. per 73 cavalli alla ruota dalle catene di montaggio, passò immantinente a 1080 grazie a certi pistonazzi che andai a raccattare in un posto dimenticato dal signore e che trasportai tenendoli in grembo, come figli persi e ritrovati.
Poi gli scarichi liberi, da galera, i carburatori senza filtri che mi aspiravano i pantaloni, la doppia candela, l'accensione elettronica moderna... che goduria, e che strizze quando il Guzzone doveva rallentare coi suoi freni pensati nell'86.
Però gli amici motociclisti il mio mezzo non se lo toglievano dalle palle, perchè io stavo sempre là, attaccato alla ruota, col sorriso a 32 denti visibile dal casco jet.
Dalle parti dell'Appennino, spalmato sul lungo serbatoio e senza uno straccio di protezione aerodinamica, toccai i 224 km/h con empia soddisfazione, prima che mi si aprisse lo zainetto e centrassi con un deodorante il mio socio rilevatore e la sua Yamaha R1, che seguivano.
E ancora avevo qualche freccia al mio arco, tipo una forcella Marzocchi M1 pronta da montare, pezzo usato in corsa nell'epoca sua, per cercare di fare anche le curve alla stessa velocità dei rettilinei.
Eppoi , eppoi...
Eppoi la vita ed il suo carico di roba puzzolente che ogni tanto, per contratto, deve esserti consegnato fin sulla porta, se non proprio rovesciato in testa e addio Guzzi.
In quel momento stavo convincendomi ad arrivare qui




Che poi era la forma che il Le Mans 1000 aveva quando scendeva in pista ( e, in America, vinceva pure).
Non ero troppo distante dall'obiettivo, ed era ovvio che continuando su quella china mi sarei ucciso.
Ma tant'è.
Quell'amato trattore non c'è più, col suo motore maschio e sgarbato, l'acceleratore duro, la coppia strappamani e quel tanfo di benzina che mi seguiva come un cane fedele.
Venduto per cause di forza maggiore, guardandolo allontanarsi da me con una spada nel cuore.
Se avete problemi di autostima, una moglie o una fidanzata oppressive, fatevi un Guzzone come questo e magicamente tutto sparirà.
 
 
Ve l'assicuro.


giovedì 6 marzo 2014

Equilibri

Stefano Giovannoni è un designer.
Niente di male se non che, in questa veste, ha commesso una lunga serie di atrocità affiancato in ciò dalla complice mano della Alessi che pure, per questo, l'avrà pagato.
Non sto a mettere foto dei prodotti secreti dalla fervida mente del Giovannoni, perchè li conoscerete benissimo, entrati come sono nel panorama pop legato all'arredamento: scopini da cesso in forma di pianta in vaso, coniglietti che escono da un cilindro porgendovi gli stuzzicadenti, imbuti a foggia di Pinocchi e via così, lungo una quasi interminabile orgia di materia plastica e occhieggiamenti puttaneschi alla clientela.
Giovannoni e la sua opera sono l'incarnazione del mio post "figatine&figatone" (cercare e verificare), ed è chiaro quale delle due opzioni ello rappresenti col suo lavoro.
Ma non è lui l'obiettivo, infatti non vi metto una foto che sia una del designer, perchè voglio punirlo per quanto posso da qui, dove non ho possibilità di contatto fisico, ma l'azienda che attraverso lui ha creato roba come questa





Questo  è l'apriscatole Can Can (perchè la nefasta opera di adescamento dei cretinetti come me comincia già in sede di scelta del nome del prodotto) che io ho liberamente ribattezzato "dio can can", dopo innumerevoli e disperati tentativi di utilizzarlo per quello che dicono essere.
Mai riuscito.
Ho avvicinato più volte l'oggetto al bordo di un barattolo, ma non sono mai stato in grado di capire come questo potesse aprire quello: se qualcuno me lo spiega lo lecco.
Si tratta del trionfo del consumismo più bieco; produrre roba semplice complicandola e vendendola bene perchè attrattiva per altri motivi che non siano quelli strettamente funzionali.
Equivarrebbe a venderti un auto per fartela usare poi come serra per piante grasse.
Infatti l'oggetto l'ho presto promosso da "apriscatole" a soprammobile esoterico (ma è faticoso perchè l'equilibrio è precario se non lo si appoggia da qualche parte), senza scopi precisi se non ricordarmi dei soldi buttati nell'acquisto.
Lui sta là, con quel suo occhietto mobile (perchè l'occhio può pure ruotare...) che mi osserva e mi condanna per lo stronzo che sono.

L'errore che ho commesso è stato quello di non leggere le istruzioni, già di per sè non esplicative ricordo, perchè credevo ingenuamente non servissero per maneggiare un'apriscatole.
Maledetta Alessi del menga, maledetto Giovannoni che produci figatine e ci fai pure i soldi!!!
Quanto avrai pensato per creare il coniglietto, il pinocchio, lo smerdolino?
Cinque minuti?
Certa gente ha un culo che la metà basta e agli altri non resta che l'invidia.
Sei un grande Giovannoni ed io non ti merito.
Come non merito Bill Dan, della cui opera mi sono servito per illustrare alcune mie teorie sull'amore nel post precedente.
Il californiano si qualifica come scultore equilibrista, nell'accezione anglosassone di balancer.  
A quello che fa io non credo, perchè è impossibile, però se guardate il video linkato si conclude che invece si può.
Ma io non ci credo lo stesso, vaffanculo.
Ho in odio tutta la gente che mi fa sentire incapace di ripetere un suo gesto e Dan è uno di quelli nelle prime file.
Perchè se tutto ciò è vero allora anche Copperfield Lo Mago faceva davvero sparire aerei: ci deve pur essere una linea di confine tra vero e falso.
Solo che io non la vedo.
A meno che Dan non possieda il superpotere di percepire le linee di forza che governano l'equilibrio degli oggetti e riesca a disporli esattamente in accordo ad esse (che ridere se poi lui nel privato è magari un collerico, un ippocondriaco, un ansioso...).
C'è solo un'altro di cui ricordi una capacità simile, quella di captare le linee di frammentazione nascoste nella materia per poi poterle colpire esattamente e distruggere qualsiasi cosa.
È un tale Karnak; solo che vive ad Attilan ed è un Inumano agli ordini di Freccia Nera: lui


Però è un fumetto mentre lo scultore è vivo.
Insomma, possiamo spingere davvero il nostro essere verso limiti sconosciuti come fa, tra gli altri, Dan Bill?
Voi cominciate a provarci, io do spazio a chiunque ci riesca.

p.s. URBANO

Poche ore fa, procedendo lungo una via seguendo una signora in bici, incrocio un signore ben vestito che procede anch'esso in bici, ma contromano.
- Ma cosa fa contromano? - chiede giustamente la signora sfilandolo.
- Ma vai a fare in culo... - le risponde l'uomo.

Quanto siamo diventati belli.

martedì 4 marzo 2014

L'amore appiccica.


Questo qui sopra è l'amore.
Da ieri sera mi è chiara qual'è la forma intellegibile del sentimento, che è poi quel sentimento, quello che ha arricchito cantanti, registi, scrittori, compositori, poeti (no, quelli fanno la fame comunque).
Dico "da ieri sera" perchè ieri sera ho visto Her ("Lei", nelle nostre sale) di Spike Jonze, film fresco della doppia investitura Oscar+Golden Globe per la migliore sceneggiatura.
Non ha vinto per caso.
E, aggiungo, se siete dell'umore giusto (cioè un po' lunare, un po' malinconico) prima di continuare  a leggere cliccate qui, e fate partire lo score originale di Her, opera degli Arcade Fire.



Il faccione è quello del camaleontico Joaquin Phoenix, l'uomo con le spalle più strette di Hollywood, qui con lenti colorate e baffo ad aiutare una ciclopica performance attoriale.
Quindi che è successo per riuscire a farmi vedere l'amore per quel che è?
È successo che nella storia un uomo si innamora di un sistema operativo e che questo fatto accada in un ipotetico futuro che non è abbastanza futuro da rendercelo alieno; al contrario, è un futuro che è solo "dopodomani" e che perciò ci inghiotte in un transfert potentissimo.
Ci si crede, e si capisce come l'imperfezione dell'essere umano condanni tutti, nessuno escluso,  all'esplorazione del dolore, che è parte integrante del nostro dna, anche invadendo i nuovi spazi che ci aprono le tecnologie di comunicazione.
Non già, quindi, un futuro più semplice, ma un futuro solo diverso, dove il dolore troverà nuovi spazi per tormentarci, spazi che noi stessi gli forniamo incessantemente.
Potrete non vederlo questo film, ma se sì preparatevi ad un volo all'interno, laddove ognuno ha molte domande, poche risposte e ancor meno voglia di mettervi piede.
 Eppoi l'amore, il cazzo di amore che uccide più del colera.


Mi è parso evidentissimo quindi che questo sentimento è solo un collante, assimilabile all'Attack, al Bostick, molto spesso al più debole Vinavil, un adesivo che è potentissimo proprio perché è chiamato ad unire forme dannatamente diverse, per quanto alcuni si descrivano "combacianti", "affini", anime gemelle...
Macchè anime gemelle, non ce n'é uno uguale all'altro al mondo, dove uno è liscio l'altro è ruvido e non c'è mai un incastro che sia uno che vada ad infilarsi al suo posto.
Buttaci dentro pure il sesso ed altri istinti basici legati alla libertà individuale e il mondo diventa quel bordello che è.
C'è l'amore però, e se la magia del suo equilibrio è sufficientemente potente, queste forme assurde rimangono in piedi a dispetto di tutto, sfidando logica, gravità, ragionevolezza.

Theodore soffre per l'ex moglie, ma soffre anche peggio per Samantha, che non esiste, essendo appunto un programma del computer... insomma soffre, ma quando l'amore si attiva, appiccica al muro qualsiasi forma vivente. Voilà.
Eppoi Jonze butta lì una bella frase ad un certo punto, che suona tipo il passato è solo un racconto che ognuno si fa. 
Normalmente sempre meglio del presente, aggiungo io.
Questo fa ben sperare il mio di presente, atterrito dalla sua attuale pochezza.
Arriverà un momento nel quale questo precario oggi mi parrà più bello e magari lo rimpiangerò, pensa te quanto coraggio ci vuole a sostenere che il nostro cervello è uno strumento portentoso...

Eppoi mi perde lo scaldabagno, ma confido nelle sue risorse e ho scalato l'altro giorno con inaspettata facilità una salita lariana con la bici, segno che il fisico, seppur fiaccato, è vivo e lotta con me.
E mi assale anche il dubbio che stia personalizzando troppo, errore da non fare dentro un blog, che è sì uno spazio mio, ma che è aperto a TUTTI e a TUTTI non frega niente se son vivo o morto o se il boiler sbroffa.
Giustamente.
Perdonatemi, non lo farò più.