venerdì 29 novembre 2013

Niente Supplementari.

Alè, post autocelebrativo in occasione dei primi mille contatti del blog o giù di lì.

Il titolo è quello di un cortometraggio che realizzai nel 2008, scrivendo soggetto e sceneggiatura e poi dirigendolo col supporto del mio compar merendero, il Mida Boghetich (è un nome), che mise a disposizione il suo appartamento da scapolo.
Girammo tutto in due giornate spossanti, cibandoci di pizze fredde (una la si vede in scena col protagonista ed era gelata) e coca cola, dalle dieci di mattina a notte fonda.
Tutto ciò non avrei mai potuto realizzarlo senza l'apporto di un manipolo di splendidi loser come il sottoscritto (anzi no, scusatemi, qui l'unico loser sono io, gli altri sono tutti professionisti compiuti) e per noi Beck ha composto un inno.
L'illustratrice Cristina Raiconi al trucco (di seguito la mia Dolce), Matteo D'Agostini alla fotografia, Daniele Anniverno alla macchina da presa, al montaggio e, occasionalmente, al suono (il fonico sparì dopo il primo giorno fiaccato dalle emorroidi), Enrico a comporre la musichina iniziale, il Maestro Leonelli a far nulla e Fabio Di Dario a recitare.
Zero budget.
E quando intendo zero intendo 0.
Solo l'entusiasmo e la competenza che ognuno si portava dietro.
Risultato: Premio del Pubblico alla quarta edizione del concorso internazionale"Le Trottoir in corto", dove il trofeo ci venne consegnato dalla mano destra di Andrea G.Pinketts (con la sinistra reggeva il sesto mojito) che definì l'opera una "geniale puttanata"...

Visto che non ci credevate... oh Fabio, dato che lo volevi tenere tu, fatti vivo.

... e sfortunato, ma comunque finalista, due mesi dopo nell'I've seen film-International festival .
Mi si conceda un passo indietro, perché su Anniverno e Di Dario devo aprire la parentesi: Daniele lo ringrazio perché ha ripescato i vecchi file e ci ha messo in condizione di rivedere questa chicca e metterla in rete per i posteri, inoltre senza di lui MTV Italia potrebbe chiudere domani e quindi ringraziatelo pure voi.
Fabio è il personaggio che oggi in molti conoscerete per gli sketch a Zelig Off, Zelig prima serata e sarcazzo dove altro, ma allora era solo un attore con non molti capelli che avevo scovato in una  scuola di teatro nella quale ero di passaggio a fare tutt'altro che un casting.
 (Mode puttana On : se sfonda definitivamente in tv e fa magari un film coi Vanzina, da questo corto d'esordio cerco di farci qualche soldo sfruttandone indegnamente l'immagine... Mode puttana Off.)

Ma ora, signore e signori, mettetevi comodi, abbassate le luci e buona visione:
       


NIENTE SUPPLEMENTARI






mercoledì 27 novembre 2013

Bellezza mezza salvezza.

Berlusconi è appena decaduto da Senatore.
Le pasionarie del Pdl, appositamente nerovestite, vanno parlando in diretta tv di "lutto della Democrazia" tralasciando di citare anche il lutto per il loro cervello, della cui dipartita forse non se ne erano accorte visto ciò che stanno dicendo.
Ma  non è di questo che voglio parlare, ma dell'arte che è speranza e della bellezza che è l'unica salvezza del genere umano.
Il pensiero è tanto più forte quanto più guardo quelle lugubri immagini parlamentari.
Io, che mi sento affine al pessimismo cosmico leopardiano anche se teorizzo il Nichilismo Magico (di cui un dì pubblicherò qui il manifesto programmatico tipo Marinetti col Futurismo) rivendico il ruolo educativo (per i giovani), lenitivo (per gli adulti), consolatorio (per tutti gli altri) del Bello.
Il post sullo Zen e lo zen ha già spiegato molto di quel che intendo (andate a leggerlo).
Se già, ed è così, la vita è una specie di pendolo che un po' batte sul dolore e un po' sulla noia solo il Bello può aprire brevi squarci di piacere che ci sollevino almeno un po' al di sopra di 'sta miseria.
Brevi, perché la felicità non può che esserlo, e frequenti, un po' come la dieta equilibrata che prevede pasti leggeri e spesso.
E se lo dicono i dietologi deve essere vero.
Il Bello quindi.
Cercatelo, perseguitelo con tutte le forze, in tutte le sue incarnazioni: dalla statua di marmo al gesto cortese, dalla perfezione del fiore al profumo del basilico.
Aggrappatevi a queste piccole cose,  fatele durare e date loro spazio (libera citazione del sommo Calvino nell'imprescindibile "Le città invisibili") solo così tirerete un giorno il calzino con l'animo pulito di chi la propria parte l'ha fatta.


filare a leggerlo!



Mentre sto scrivendo queste liriche parole mi arriva una mail da questi qua:

Ma chi cazzo siete, chi vi ha dato la mia mail?
Sono astemio per giunta.
delete.

Non so per quale strana associazione di idee, ma  pensando al "bello"mi vengono in mente alcuni esempi di architetture trasparenti, forse perché il bello naturale è quello più semplice da apprezzare e al quale pensare senza doversi sentire carenti di istruzione (sbagliando, perché la bellezza è l'unica vera democrazia esistente).
Una è solo parzialmente trasparente, la sinagoga Beth Sholom di Frank Lloyd Wright (ho visto t-shirts con scritto F.L.Wrong sopra foto di alcune sue architetture crollate che mi hanno fatto ridere assai, se cogliete il gioco), "la montagna di luce", dal cui tetto traslucido il mondo entra leggermente filtrato all'interno dell'ambiente




la Glass House, residenza privata di Philip Johnson, il supremo grattacielista statunitense (che nel celare il cesso dietro l'unico schermo di mattoni denuncia la sua codardia):





e la assai meno blasonata Chiesa di Vetro di Bollate, area metropolitana di Milano:



Se non vedete il nesso tra loro, oppure col tema non preoccupatevi: non c'è.
Non serve.



attenzione:
Ho dovuto mollare la stesura del post alle ore 19.23 per uscire a vedere un film d'animazione bellissimo.
Insieme alla mia Dolce e ad una autrice dai molti nomi e altrettanti progetti in testa abbiamo passato un'oretta e mezza rubata a Leopardi, rubata a Berlusconi, rubata al dolore ed alla noia.
Se voleste provare l'ebbrezza densa di un'esperienza simile individuate la sala della vostra città in cui si proietta questo (se non ci fossero sale cambiate città, quella non vi merita):


Caro Regista Alessandro Rak, non sapevo esistessi. Ora sì e sto un po' meglio.


andateci, e poi fatelo durare e dategli spazio.



Questa sarebbe stata la chiusa alle 19:23...
Adesso però sono le 23:06, quindi la metto in corsivo:

Noto due cose: i politici dicono "intepetrare" anziché "interpretare", ponderosa e paludata versione   del termine ormai in disuso (conformemente a quanto sono loro medesimi) e che, durante gli interventi, intercalano ormai sempre con "e concludo", pronunciato per giustificare il seguente sproloquio cercando di garantirsi più tempo possibile prima di essere interrotti.
Chissà chi ha codificato 'sto stratagemma da poveri disperati che usano tutti quanti da un po'.
È meglio che spenga la tv; anzi metto su un Daitarn3 va: Aran Banjo premier, cazzo!


martedì 26 novembre 2013

Suono, buono.



Questi signori qui sopra, apparentemente, non hanno nulla in comune.
Quello a sinistra si chiama Sean Cassidy, irlandese, è stato agente dell'Interpol, ufficiale della polizia di New York nonché membro degli X-Men col nome di Banshee.
In ossequio al suo nome di battaglia, Banshee era un mutante in grado di volare ed emettere un urlo sonico devastante.
È scomparso in un incidente aereo.
L'altro si chiama Efstràtios Dimitrìu, greco, è stato cantante dei Ribelli nonché voce degli Area col nome di Demetrio Stratos.
Anche Stratos era un mutante, ma a differenza di Banshee non sapeva volare.
L'urlo sonico invece, era lo stesso.
È scomparso a causa di una malattia improvvisa.
Il problema è che se nel primo caso una resurrezione non è esclusa, alla Marvel non si muore mai per molto, nel secondo la cosa è proprio definitiva.
Stratos faceva cose con la voce che nessuno ha mai più ripetuto; lo si può apprezzare nell'artisticamente monumentale parabola degli Area (ascoltateli, please), ma ancor di più nei suoi lavori da solista, sperimentazione pura sul suono, quello buono, prodotto dalle corde vocali.
Io, incuriosito, mi sono procurato tempo fa questi due album
 

il cui ascolto suscita in me opposti stati d'animo.
Trasporto emozionale oppure profondo scassamento di coglioni.
Dipende in massima parte dal tempo atmosferico, perché sono fortemente metereopatico, non certo dal valore dei due lavori.
In perfette giornate novembrine (non quelle farlocche attuali, intendo grigio, foschia e freddo) è una catarsi, con sole e brezzolina profumata una galera.
Per uscirne indenni, per risalire da quelle profondità cerebrali, necessita poi l'ascolto di qualcosa di Fedez o Jake La Furia, al massimo Emma, acqua fresca insomma.  
In "Recitarcantando", Stratos divide il palco di un teatro con Lucio Fabbri: voce, violino e stop. 
Interessante l'impasto, anzi affascinante, ma mai come "Cantare la voce", che si compone di puri esercizi fonetici: diplofonie, triplofonie, melodie infantili (che sono anche i titoli stessi dei "pezzi").
Spesso i suoni che il cantante produce sconfinano nel "non umano", non c'è altro modo di dirlo, ma vanno ineffabilmente a titillare zone del cervello che a questi stimoli rispondono in qualche modo.
Stratos era un virtuoso del suo strumento (un po' come Siffredi qualche anno dopo), che spingeva ai limiti espressivi grazie allo studio della sua fisiologia e a quello, ferreo, di materiali sonori tra i più disparati, melodie e canti popolari asiatici antichi e moderni, musica "colta"europea, jazz americano.
Tutto ciò fu reso possibile da Demetrio ovviamente, ma anche dalla benemerita Cramps Records






etichetta milanese nata nel '72 che aveva un catalogo eccezionale per qualità, quantità e coraggio (Area, Pfm, Cage, Stratos...), defunta, risorta trent'anni dopo ( ed io è lì che mi inserii coi miei acquisti on line, meritandomi due pins gadget ), ridefunta ed ora di proprietà Sony (quindi zombie).
Per quei casi della vita, Stratos non era l'unico ad emettere suoni melodiosi, una sua omonima riuscì  a fare altrettanto: era un'auto e la costruiva la Lancia

La mano è dell'autore. Il modello è della Kyosho.

 
La macchina, qui ritratta nella sua più classica incarnazione, in livrea Alitalia equipaggio Munari- Maiga Campione del Mondo Rallye '77, è quel che si dice un'opera d'ingegno, una di quelle davanti alle quali io mi scappello (doppiamente).
È uno dei non rari esempi, in tutti i campi, di quel che gli italiani riescono a fare quando si affidano alla creatività lasciando fuori ipocrisia, meschineria, codardìa, arroganza, ignoranza, supponenza, presunzione, prevaricazione... insisto?
Insomma, la cosiddetta "furbizia italica" (che raccoglie tutte le definizioni precedenti), quella che mi costringe a dominarmi dal menare gran fendenti sul viso del genitore che dice al figlio in pieno imprinting: "fatti furbo". 
Cane/cagna! Così lo rovini! A lui e a noi! Non deve essere furbo, deve essere tonto piuttosto!!!!!
Scusate, ho perso il controllo.
La Stratos quindi, una roba che non s'era mai vista prima, concepita distillando l'ardita Zero di Bertone (genio), miscelandola con meccanica Ferrari (genio) lasciata fermentare sotto la guida del D.s Lancia Cesare Fiorio e dell'Ing.Piero Gobbato (geni) e infine servita fredda dal sommelier Sandro Munari, detto "il Drago" (genio).
Risultato: annichilita la concorrenza mondiale.
Per sentire i gorgheggi del v6 2.4 DinoFerrari della Stratos è sufficiente premere il link (alzate il volume, anche se il pilota è una chiavica totale), una volta occorreva prendere un sacco di freddo lungo una prova speciale.
Bella roba l'internèt, eh?


lunedì 25 novembre 2013

Espressionismo toscano

Nello scemeggiato del 1975 "Gamma" si narra di un trapianto di cervello.



La complessa operazione ha esiti controversi per il protagonista, che non sto ora a dirvi perchè potete guardarvelo da soli, e non è stata propedeutica all'apertura di un nuovo filone neurochirurgico, ahimè.
Diversamente tale intervento, se reso magari mutuabile, sarebbe andato via come il pane oggi che ci tocca vedere Matteo Renzi vincitore delle primarie e prossimo Segretario del PD.
Con un bel cervello nuovo, magari di piccolo cabotaggio, insensibile, utile a soffrire meno in questa vita galera, potremmo forse riuscire a scambiare il "pistolone inconcludente" (definizione suggeritami da tre diversi interlocutori fiorentini interrogati sulla reputazione del loro sindaco) per l'alternativa giovane e liberista per cui lui si vuol far passare.
Magari rispondere una volta ad una semplice domanda facendo capire la risposta aiuterebbe, ma questa emozione ancora, da lui, non ci è stato dato provarla.
"Tutto dipende dal team" (F.Alonso, 2013 circa).  
Infatti se magari Baricco s'impegnasse un po' di più coi testi, ché già il giubbino di pelle nera pro De Filippi suggerito da Gori era stato un buon inizio, qualche sorpresa potremmo averla.
Basterebbe una citazione da Oceano Mare, al limite.
Forza, dai!
Intanto aspettiamo con ansia medio alta un politico che pensi e parli di politica e non di comunicazione ed aria fritta; gli ultimi vent'anni sono stati più che sufficienti per tutti, ma pare ce ne saranno ancora parecchi dello stesso tenore (Brasile, Costarica, Belize... ovunque, aspettatemi).

Rilevo appena che Renzi possiede una straordinaria somiglianza con l'Obliquomo di Sergio Ponchione, questo qui

 
Edito da Coconino Press, benemeriti del fumetto di qualità: sostenere cazzo!!


e come lui viva in un universo parallelo, un po' sghembo, diagonale, dove accadono obliquamente cose che vede solo lui.
Del resto l'obliquità è la cifra del politico professionista (ed anche l'ubiquità, se ha due, o più, televisioni).
Ah, il fumetto è molto denso di neri, prospettive stravolte e atmosfere stranianti e se a voi, come a me, piace l'atmosfera del cinema espressionista tedesco, parlo di Murnau (Nosferatu) o Wiene (Il gabinetto del Dr. Caligari) per dirne due, fateci un pensiero.
Il" Caligari" inoltre, ha la particolarità di non essere in bianco e nero, ma di essere stato girato con filtri colorati per sottolineare i diversi momenti del film, quindi se vi capita un versione non colorata vi stanno gabbando (probabilmente c'è Renzi al proiettore).
Lo vidi per la prima volta in un corso all'università e mi addormentai.
Allora ero irrimediabilmente pirla, oggi solo pirla.

Chiudo con un paio di immagini.
La prima, inviatami da un corrispondente a Verona è questa:



Lui, il corrispondente, l'ha scattata per l'entusiasmo nel leggere "Tubi or not tubi, this is the question" sul tubo, appunto.
Io, invece, mi sono entusiasmato per la scritta graffiata sotto, un richiesta disperata che trova tutta la sua ragion d'essere nell'invero ardito accostamento di colori della compagine tubo/parete.
Eppoi, chissà cosa sfugge a noi lettori delle intenzioni troncate dall'inquadratura: fuori da dove?
E allora gridiamolo tutti insieme, liberiamoci e affratelliamoci nella protesta: FUORI I DALTONICI!

La seconda è mia personale, tragica testimonianza di una presa di coscienza:

L'Autore prende coscienza del suo problema fisico

Perché i miei piedi alieni riducono le scarpe, prima o dopo, in queste condizioni?





Sembra una melanzana (la sinistra un po' meno).
AIUTATEMI, e vi regalerò un Nuvola Nove (per ora ne son partiti solo due... quanto ad interventi fate schifo).

venerdì 22 novembre 2013

Chiusi nella camera chiusa

Ignorate i pruriti porni che il titolo può indurvi, nella camera chiusa non si fornìca bensì s'indaga.
Trattasi di una perversione che i giallisti hanno sviluppato a furia di inventarsi ammazzamenti ed intrighi sempre più spinti.
Più o meno si indica nel "Delitto alla rovescia" di Ellery Queen il capostipite, una storia nella quale, oltre al delitto commesso già di per sé incasinato, la vittima viene trovata con gli abiti al contrario... delirio (e non posso dire molto perché ce l'ho lì ancora da leggere, se non che ipotizzo sia stato il maggiordomo).
Per quelli che apprezzano il genere o, se mai l'hanno frequentato, se ne sentono naturalmente attratti, consiglio una doppietta di rara cerebralità letteraria, scritta da Herry Stephen Keeler (e vi beccate wiki in inglese, perché in Italia lo conoscono in tre).

Un plauso al grafico della Shake per l'imponente lavoro svolto intanto, e la fantasia dimostrata...



 

















 Li ho messi così, ma avrei potuto invertire l'ordine, perché questi due libri sono un raro esempio di storia leggibile prima l'una e poi l'altra, prima l'altra poi l'una, paralellamente.
Come vi va, perché l'ammazzato è il medesimo e gli investigatori due (e non si incontrano mai).
Keeler pare fosse talmente torrenziale dietro la macchina da scrivere che, quando si metteva a creare un romanzo, produceva talmente in eccedenza da poter mettere insieme un secondo libro col materiale che restava fuori dal primo.
Come col maiale, praticamente.
E le storie sono da fanatici eh, con tanto di schema disegnato del luogo del delitto, un campo da croquet sul retro della villa dell'ineffabile anziano Andrè Marceau, sul quale la vittima (lui) viene trovata garrotata.
Tutto qui?
No, il fatto è che Marceau era intento a spianare il campo con un rullo ed intorno a lui non ci sono altre impronte oltre alle sue, tranne alcune lontano dal campo, piccole, apparentemente lasciate da un neonato (!).
Fa già ammattire così ma aspettatevi il peggio poi, quando, a botte di schemini e teorie, il poliziotto Aleck Snide risolve il caso.
Ed è talmente un meccanismo ad orologeria che ti trovi a convenire che sì, quella è l'unica soluzione possibile, incredibile, come avevi fatto a non pensarci, eh eh eh... che roba!
Tutto bene quindi.
Una ceppa; perché quando ormai la tensione è svanita e tu, lettore, stai per allungare le gambe sul divano pregustando "Amici" per riprenderti da tanto ragionare, leggi che un altro, l'Ispettore Jones ha risolto il caso ed in maniera completamente diversa... nell'altro libro.
Io l'ho letto nell'ordine CasoMarceau-OmicidioQuartaDim, ma come avrete capito fate un po' come razzo vi pare, tanto è lo stesso.

Ieri sera guardavo Santoro, anzi lo guardava la mia nuca perché io scrivevo "Encefalonight", che sarebbe il mio secondo romanzo che forse un dì vedrete se il primo venderà qualcosa, e sentivo gli interventi di un paio di imprenditori che, dalla sede della propria azienda fallita raccontavano, col "coer in man" e i dipendenti stretti attorno,  del fatto che dietro il Presidente di Equitalia, Befera, in realtà si pensa sia celato Stanislao Moulinsky.
Dato che, come vado vaticinando da un po', non ne usciremo vivi perché tra breve cominceranno a sparare, tiro però un sospiro di sollievo nell'attesa del gioioso momento nel quale il Santoro si leverà nuovamente dalle palle per mancanza di soggetti disperati ai quali dare la parola per tre minuti prima di interromperli (qualsiasi cosa stiano dicendo, tipo che se non cambia nulla si impiccherano per debiti, detto con occhi lucidi e groppo in gola) annunciando la pubblicità.
Se questi accettano ancora l'umiliazione delle telecamere nell'azienda pignorata è perché sperano in qualcosa, un appiglio di qualche tipo (e quello di ieri sera era uno spettacolare ossimoro per giunta, con padrone e dipendenti affettuosamente abbracciati e accomunati nello stesso destino straccionaro), che arrivi dal giornalista-anchorman (o così si crede lui) dalle scarpe brutte (fateci caso, evidentemente il vestito e la cravatta glieli mettono sul letto in camerino, così non sbaglia, poi lui calza le scarpe sue e crolla) a farli sperare.
Invece zero, manco un sospiro, solo
- Io ho trecentomila euro di cartella esattoriale e non posso pag..
- Pubblicità!
- Sì ma ho qui trenta dipendenti senza liquidazione che...
- Pubblicità.
- È' che Equitalia mi ha sequestrato i conti correnti senza possibilità di...
- Me lo dice dopo... Pubblicità!
E come lui, oggi, ce n'è a pacchi e molti, udite udite evadono per obbligo mica per la barca, perché o paghi le tasse oppure paghi i dipendenti e i fornitori.
Poi ci sono quelli con la barca certo, e anche di quelli ce n'è a pacchi, però, strano, a loro Equitalia non si rivolge quasi mai e se lo fa è con tatto felpato.
Avvisando.
Ma tanto alla fine, la giustizia la trionferà, perché per ogni Befera-Moulinsky c'è un Nick Carter...






 
E L'ULTIMO CHIUDA LA PORTA!  (cit.)

p.s

Ho messo una ruota da 26'' davanti, alla bici da palo, che è fatta per le 28''.
Per pura libidine estetica.
Esperimenti sono in corso per capire come frenarla.
Chi crede che mi ci accartoccerò lo dica chiaro e si aggiudicherà un Nuvola Nove al proprio domicilio.

giovedì 21 novembre 2013

Alcuni grandi ritratti

"Cosa sarebbe un grande uomo senza una grande donna al suo fianco?
Sarebbe un grande uomo coi calzini bucati."

Scusatemi.
Mi pento profondamente di ciò che ho scritto.
Non vorrei risultare falsamente maschilista (è così) tantopiù che per me la donna è un tempio e mi ci accosto solo a capo chino e coperto, conscio della mia pochezza di genere.
Volevo solo avvicinarmi di soppiatto a due coppie tipo, così da corroborare l'assunto di partenza.
Silvio
Superciuk
                            

Costoro ad esempio, sono entrambi grandi uomini.
Diversamente da quanto si possa credere possiedono un gran numero di affinità: sono entrambi benefattori (entrambi rubano ai poveri per dare ai ricchi), personalità stimate pubblicamente, l'uno come supereroe, l'altro come statista ( nella vita privata invece uno è spazzino, l'altro pregiudicato), entrambi consumano grandi quantità di barbera (uno perché è noto, l'altro dimostrandolo ogni volta che apre bocca).
Ed infatti, come dicevo, tale eccezionalità non può essere considerata senza l'altra metà del loro cielo, eccezionale anch'esso.
                                                                                           








Beppa Giosef
Veronica Lario
Personalità altrettanto forti di quelle dei mariti: donne di grande fermezza entrambe (usa all'utilizzo di armi la prima, attrice mancata la seconda ma altrettanto usa all'utilizzo di armi specie dopo il divorzio l'altra) e simili nelle esperienze coniugali, nelle quali, restando più o meno nell'ombra, hanno sorretto i loro uomini quando erano dubbiosi, spronati quando erano tentennanti, accolti quando erano sperduti.
Una s'è poi stufata e ha preteso anche, ma per una forma di perniciosa galanteria non vi dirò chi.

Mentre vergo queste poche righe, ascolto Iggy Pop.
Non c'è nessun collegamento tra le due cose, solo sono incredulo nel leggere 1970 come data di pubblicazione di questo album di Iggy e degli Stooges, il loro secondo, che si chiama FUN HOUSE  e suona duro e puro come e più di tutto l'hard rock e protopunk del decennio (il primo, omonimo, è bello uguale).
E poi Iggy Pop è stato il primo a fare stage diving, oltre a vomitare e mostrare lo scroto sul palco (no, forse l'aveva anticipato Morrison... boh*) 
Lui è un altro di quelli che fa una cosa perché gli piace così, poi tutti si accorgono che nessuno prima ci aveva pensato e ci si buttano.
Qui da noi si ascoltavano Sergio Endrigo e Orietta Berti per dire, in quello stesso momento, paura eh?

*p.s.

Un Nuvola NOve regalato a chi mi toglie il dubbio su chi prima abbia estratto i coglioni on stage.

mercoledì 20 novembre 2013

Quintuplette a tutta manett.

Quella curiosa macchina ciclistica che vedete lassù in cima al blog non è che me la sia inventata io.
L'ha fatto Alfred Jarry.
Io mi sono limitato ad immaginarla e poi disegnarla per come lui la descrisse nel racconto " La corsa delle diecimila miglia", uscito su di una rivista parigina nel 1902.
È la cronaca della sfida di cinque atleti dopati col Perpetual Motion Food (che è alcolico e fa sì che questi pedalino ubriachi per tutta la corsa) contro una lucente locomotiva sul percorso Parigi- Irkutsk-Parigi sul filo dei trecento all'ora (ma, correndo affiancati per chilometri, si trovano in condizione di perfetta - dinamica- immobilità) calzando maschere ad ossigeno per riuscire a respirare ed insidiati da uno strano intruso, il Velocipedastro (che forse prima o poi disegnerò anche lui).
Scrisse molto di bici Jarry, fu tra i primi a fine ottocento a praticare regolarmente quello sport allora per eccentrici, ma fece anche molto altro, ad esempio inventare e mettere in scena Ubu ed urlare MERDRE! dal palco all'attonito e puritano pubblico.

Mi sarebbe piaciuto averlo per amico uno così, un perdente vittorioso che viveva per la sua arte, anarchico allucinato che si proclamava Patafisico, bruciato dall'assenzio e dalla creatività, impermeabile alle convenzioni.
Uno che secondo Ivano Fossati sarebbe stato "per niente facile, sempre poco allineato" ma certamente con la testa libera da qualsiasi "maledetto muro", uno di quelli che non vive per arrivare "a", ma solo per riempire di cose interessanti il vuoto senza significato che è l'esistenza.
Aveva anche le pezze al culo Jarry, quelle vere che ti fanno brontolare lo stomaco per la fame, e viveva in una strano accrocchio autocostruito sulle rive della Senna che aveva battezzato "Il tripode"perché il loculo in cui dormiva e scriveva era sollevato da terra da tre lunghe gambe e dove la bici stava appesa al soffitto per impedire che i topi le rosicchiassero le gomme
Ad uno così perdono anche il modo in cui di quella bici divenne proprietario: firmò una serie di cambiali e ritirò da tale Jules Trochon una pregiata Clèment Lux 96 da corsa nuova di trinca, la cui fattura riporta oltre al costo di 540 franchi anche il supplemento di altri 20 per il montaggio dei cerchi in legno optional... mica scemo Alfred.
Solo che poi di questi 560 franchi non ne pagò che 25, inseguito fino alla sua morte da torme di ufficiali giudiziari.  

 Visto che in quanto italiani siamo tutti patafisici, anche quelli che credono di avere l'emisfero sinistro predominante, se voleste sollazzarvi leggendo della quintupletta e di altri strambi fatti ciclistici potreste comprare questo, di Shake Edizioni, che ha un bel catalogo stimolante pieno di punk sonoro e fumettato, fantascienza, sperimentazione:

Io ho un'edizione tascabile edita da Bollati e Boringhieri molto più elegante nella confezione e che contiene tutti i racconti ciclistici di Jarry, ma io sò io e voi nun siete un cazzo (cit.)

A proposito, proprio mentre stavo pedalando mi è venuta un'idea.
Premetto che se siete soggetti duri a secernere idee non troverete di meglio dell'andare in bici per risolvere il problema... andare in bici facendo fatica intendo, non trotterellando col cestino della spesa: cuore sopra i 130 battiti e almeno quaranta chilometri sui 30 all'ora (minimo sindacale).
Vi si aprirà un territorio sconosciuto di benessere psicofisico che vi darà assuefazione.
Durante l'atto però mi odierete, ve lo dico subito.
L'idea è questa: portare la quintuplette su di un palcoscenico.
Jarry-Padre Ubu ne sarebbe fiero.
Mi pare che nessuno l'abbia mai fatto prima, basterebbero un paio di fondali, uno con la locomotiva, l'altro con la bici per alternare le situazioni, cinque attori che pedalano sul palco e l'occhio di bue che illumina di volta in volta quello che parla.
Forte, darei consulenza, se richiesta, a titolo gratuito (magari due biglietti gratis per lo spettacolo).
Interessa a qualcuno lì?

MERDRE!

p.s.
Un Nuvola Nove a chi fosse interessato






martedì 19 novembre 2013

Poesia, forse.

La gente mi sta sui collioni.
Che volete che vi dica, la faccenda sta in questi termini;  e se qualcuno insistesse per chiamarla  misantropia, gli direi che ha ragione se ciò corrisponde esattamente al fatto che la gente mi sta sui collioni.
Secondo Bruegel sarei così:
(Il Misantropo - 1568)

 Invece si sbaglia perché in mezzo ad una piccola folla non mi si nota neanche, nonostante mi porti dietro tutto questo carico di livore nei confronti dell'umanità.
E non vedo perché non odiarla, l'umanità, dato che, come si può ben vedere, il misantropo qua sopra viene sbeffeggiato da un suo esponente che o gli sta praticando un clistere oppure cerca di fargli il portamonete.
Però c'è la poesia e lì la faccenda si complica non poco.
Già definirla è problematico ed è anche scorretto.

Definire è una mania dell'umanità ed è uno dei mille motivi che me la rendono invisa.
Ci porterebbe solo in una direzione fredda e volgare, buona forse per Wikipedia, sulla metrica e il ritmo e stronzate che niente hanno a che fare davvero con la poesia.
Per quelli che proprio abbisognano di punti di riferimento diciamo che la poesia è come la prosa, solo che ci mette metà del tempo per dire la stessa cosa e di solito lo fa meglio; a meno che lo scrittore della prosa in questione non sia davvero bravo.
Inoltre è assolutamente fatta su misura, come quelle biciclette che l'artigiano ti salda sotto gli occhi proprio per l'altezza del tuo cavallo, la lunghezza della tua coscia, il peso del tuo sedere.
Un'esperienza intima e, per questo, di valore incalcolabile.
Io sono anche apoetico purtroppo, ma ogni tanto qualcosa filtra da ciò che vedo, sento, percepisco arrivare dal mondo e mi emoziono.
Faccio degli esempi, per un paio dei quali sono debitore di un amico, un Fantolino Rorido di Pianto che passa la vita a sprecarsi (però lo sa e, per me, anche questo ha del poetico).

Questa è tanto indicibilmente bella che un bel dì ho deciso di scriverla con un pennello medio e tempera argento sulla porta di casa (dentro, non fuori) per averla sempre sott'occhio:

                              "Se non dovessi tornare sappiate che non sono mai partito.
                              Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua dove non fui mai"
                       
                             (Biglietto lasciato prima di non andare via - Giorgio Caproni)

Vacca boia che bella.
Non m'importa nulla se per te sono solo due frasi.
Per me c'è tutto lì dentro, scritto da dio senza bisogno di una virgola in più o in meno.
Magari è un'altra roba ma credo proprio che per me sia poesia.

Come lo è questa cosa che la Honda ha messo in piedi sul circuito di Suzuka nel luglio scorso.
Un tributo al grande Senna, utilizzando la tecnologia di oggi e di ieri.
Audio e piccole lampade sincronizzate con un giro registrato nella telemetria di Ayrton un giorno dell'89, ci regalano un giro nel tempo insieme al fantasma del brasiliano.
Lacrima, anche se mi rimane il dubbio che la poesia, come spessissimo fa, scaturisca vigliaccamente per caso dalle intenzioni ben più prosaiche dei giap.
Se anche fosse, che me ne frega?

Oppure quest'altro filmato, girato da un tizio che, evidentemente, ne sa: Giorgio Oppici.
Credo che lui ce l'abbia nell'occhio quella roba lì, e grazie a quella può produrre questo:
http://www.giorgiooppici.it/web/dettaglio.asp?id=34
"Si va beh, è un'auto...".
Col cazzo.
È molto di più, è il tempo.
In quella vernice rossa sbriciolata, in quel volante logoro si percepisce ancora il sentore di benzine lontane, vibra ancora la passione e l'essenza di chissà quanti uomini, mani sudate e sporche di grasso ed alla fine è rimasta solo lei a raccontarceli, ripresa con un occhio rispettoso per quel tempo, un occhio delicato, amorevole.
Bella lì Oppici, nonostante 'sto cognome.

Ed infine Shinya Tsukamoto, quello che esordì con quel fantastico incubo che era Tetsuo (il pene a trivella mi insegue da allora), con il bellerrimo VITAL.
Uscì nel 2004, presentato a Venezia, ed è la storiaccia di un tipo, Hiroshi, che in un incidente perde memoria e fidanzata.
Le recupera entrambe allorché, studente di medicina, si dedica all'autopsia di un corpo che scopre essere proprio quello della compagna.
Anziché lasciarsi andare alla depressione più nera sviluppa l'ossessione per la salma e si getta alla ricerca dell'anima della defunta.
Detta così, da cani, come l'ho detta io si potrebbe sentirsi respinti dal tema, ma la morte è  trattata dagli occidentali in modo molto diverso rispetto agli orientali.
Infatti il film è di una profondità ed un lirismo potentissimi, senza pietismi né becere ricerche di commozioni da due euro e 50 come farebbe un regista europeo, e la sequenza finale... spoilero e me ne scuso, anche perché decontestualizzata dal film è come una bomba fatta esplodere sott'acqua, ma la sequenza finale è quello di cui stiamo parlando qui, ora: venti secondi di poesia, pura e abbagliante poesia.
Non c'e altro termine, possiamo farci tutte le metafisiche che desideriamo, ma alla fine quel che ci rimarrà della vita sarà forse il frammento di una giornata qualsiasi quando, magari grattandoci una chiappa ci siamo sentiti, chissà perché, felici. 
Vedetelo, vi rimarrà qualcosa.

 p.s.
Se così non fosse, ditemelo e vi regalo una copia del Nuvola Nove, come da tradizione.





lunedì 18 novembre 2013

Chi non si aspetta l'inaspettato...

... non troverà la verità (Eraclito).

Chi volesse predare la citazione ed usarla in contesti che ne facciano risaltare le sue doti ci ripensi.
Eraclito non l'ha mai detto, però Riccardo Pangallo sì, alla fine delle scenette dell'investigatore Palombo a fine anni '80.
Più che altro è l'inaspettato che mi interessa qui, quel momento particolare nel quale capita qualcosa che ti fa sobbalzare, che forza il quadro definito ed evade, sorprendendoti.
Fondamentalmente potremmo attribuire un ruolo salvifico all'inaspettato, per la sua capacità di gettare un po' di carbone in caldaia facendoci cambiare velocità, risvegliandoci dai nostri torpori quotidiani.
E non è necessario cercare il macro, basta molto meno.
Ad esempio alla Marvel, nei primi anni '70, affidarono a Johnny Storm il compito di dare una scossetta ai lettori che andavano impigrendosi.
I Fantastici Quattro erano ormai congelati nei loro costumi istituzionali, questi
(qui peraltro nella più classica delle loro esecuzioni, quella di Jack Kirby*[ uno che Stan Lee chiamava "the king"]), ma un bel giorno, di punto in bianco e per un ciclo di storie lungo quasi un lustro, la Torcia si presentò così:
Tac! Ecco l'inciampo, l'inaspettato che sveglia dal torpore.
Il "codice" è perfettamente rispettato ma viene superato magistralmente interpretandolo coi colori propri del fuoco; è uno dei F4 ma è anche di più.
Chapeau.
(Non rompetemi le balle col costume nero dell'Uomo Ragno neh? Che poi lui ne ha cambiati a mazzi e non vale più).

* Che ci crediate o no il protagonista di "Giocando a Golf una mattina", sceneggiato giallo fine anni '60 interpretato da Luigi Vannucchi si chiamava esattamente così, Jack Kirby, chissà se c'era qualche legame col fumettista, mah. Intanto Vannucchi ci avrebbe proposto anche lui l'inaspettato, suicidandosi nel '79.
Ve lo consiglio, se vi piace la recitazione tipicamente teatrale ed i tempi dilatati (il bianco e nero poi è la morte sua) perché i gialli tratti dai libri di Francis Durbridge, a livello di intreccio ancora non li ha superati nessuno, provate e mi direte.
Altro caso simile mi è capitato di incrociarlo un paio di settimane fa, ad una manifestazione letteraria che il programma descriveva bene ma che poi si è arenata su di un parlarsi addosso tra addetti ai lavori che mi ha ferito i maroni.
Della manifestazione ho salvato una mostra di copertine però, premiate dal solito manipolo di addetti ai lavori.
Ha vinto questa

Premetto che qui il verde è decisamente più smorto rispetto alla realtà, comunque... Adelphi.
Sognerei anche di pubblicare con loro, se non fosse che per riuscirci dovrei essere morto oppure aver scritto un pippone insostenibile (meglio entrambe le cose): pare siano i requisiti fondamentali.
Però guardate che bellezza: il codice grafico Adelphi è pienamente rispettato epperò, come la Torcia col suo costume rosso, crea lo strappo col catalogo classico, la piccola meraviglia, il passo avanti che balza nel moderno e si trascina dietro tutto il resto.
Nella pratica spicciola è stato incorporato nel rigido schema una parte di cartellone pubblicitario del torneo di Wimbledon di non mi ricordo quanti decenni fa.
Chapeau.


L'ultimo caso è recentissimo ed un po' personale.
Questo film qui
è bello.
Ma bello, bello.
E anche la locandina, vagamente alla Bass (e un giorno parleremo anche di Saul Bass e di tutta l'arte che si portava dentro nel fare titoli di testa e locandine).
L'inaspettato, eccolo qua di nuovo per fortuna.
Sono balzato sulla poltroncina dopo pochi minuti perché il mio corpo ha capito che stavo per godere forte.
Roman Polansky oltre ad essere un vecchio porco pregiudicato è soprattutto un Signore della Regia, uno dei grandi intendo.
Qui, occhio alla perversione, mette davanti alla macchina da presa una piece teatrale tratta dal romanzo di Von Sacher-Masoch, un altro storico porco, nel quale fece la sua comparsa il concetto di dominazione degradante, da lì in avanti masochismo, appunto.
Il regista ci fa entrare, letteralmente, dentro un teatro, e lì resteremo per tutto il film in una miscela di metacinema che muta continuamente in metateatro, sorretto dalla prova di obeso talento di Mathieu Amalric che è una specie di sosia di Polansky giovane e della burrosa moglie (di Roman, non dell'altro) Emmanuelle Seigner, splendida nella sua femminilità decadente, esibita con volgare classe.
Fotografia avvolgente, musica penetrante e misurata.
Chapeau.


Cacchio fate ancora qua?
Andate a vederlo.

p.s.
Vi lascio con uno scoop eccezionale: le telecamere plastiche hanno seguito l'ultimo Consiglio dei Ministri e ve lo propongono quasi integralmente.
Si capisce ora perché queste riunioni fiume non partoriscano mai niente: non si capiscono.

L'insostenibile inutilità della satira.

La satira cos'è?
Questa è la definizione che ne dà la Cassazione e quindi l'assumiamo come dogma:« È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene. »
Alla luce di ciò mi viene da dire che negli ultimi venticinque anni (prima non potevo votare e nemmeno m'importava, quindi non leggevo né m'informavo di politica) tutte le energie che nella satira sono state profuse sono andate perdute come... (dai, sì, dai che non resistete a dire "lacrime nella pioggia", dai) lacrime nella pioggia.
La riflessione si è compiuta in questo periodo di inaspettata colite che mi ha vigliaccamente aggredito, mentre stavo seduto là, sullo scranno dei sofferenti di colite, appunto.
In mano un bel volumone recuperato ad un mercatino che raccoglie le 396 prime pagine di un settimanale di satira politica che si chiamava Cuore.

In copertina un Cristo senza aureola col cuore cinto di spine, nembi e cirri sullo sfondo, dentro una serie notevole di titoli e vignette semplicemente geniali, ottimi e istruttivi per letture da cesso.
Man mano che procedevo nella lettura e, quindi, avanzavo nel tempo a colpi di prime pagine, mi rendevo conto che tutto il lavoro fatto da quell'agile redazione di comunisti veri, coi canini scoperti, quelli che si chiamano "compagno" e pensano che l'intelligenza stia tutta dalla loro non erano serviti ad un beato cazzo.
I potenti che rubavano intoccabili all'uscita del primo numero facevano esattamente lo stesso alla chiusura dell'ultimo, sette anni dopo.
Nonostante la satira espressa dal giornale fosse davvero corrosiva, caustica, spietata il risultato è stato quello di un unghia sul vetro, nessun segno, nessuna scalfittura al sistema.
E chissà quanti di quella redazione divennero miei antenati nelle corse sul cesso, guidati dai loro colon giustamente irritati dallo scorno.

Crolla qui definitivamente il valore dell'ultima frase della Cassazione; non c'è stato nessun risultato di carattere etico, nessun correttivo verso il bene.

Ma stringiamo un po' di più l'obiettivo sull'ultimo ventennio e rimaniamo sui comici di sinistra, ché i dirimpettai hanno sempre agito in maniera meno scoperta, tenendo nascoste quelle zanne che questi hanno sempre mostrato, forse perché più affamati forse chissà.
L'obiettivo a disposizione è stato il più facile da beccare della storia repubblicana: Berlusconi, uno che tra lui e il suo codazzo ha fornito e fornisce alla satira materiale ad abundere.
Nel periodo si sono affannati a pestare il sacco fior di personaggi: tutti quelli raccolti dalla Dandini ad esempio (i due Guzzanti, Lella Costa e via enumerando), poi, tralasciando pesi gallo e superwelter ecco i Paolo Rossi, i Luttazzi, Benigni, Grillo, Crozza...
Sono state prodotte decine di trasmissioni tv, di spettacoli teatrali, di film più o meno d'accusa, di canzoni, di articoli, di vignette, di video virali, di monologhi... per cosa?
Nulla.
Quello ride, scopa e si tuffa nei soldi alla faccia loro, che annaspano col sangue agli occhi dissimulato dal sorriso di chi si sente moralmente superiore.
E il pubblico, quello che dovrebbe essere il braccio armato della satira, che fa?
Una risata al momento: " eh, c'ha raggione c'ha... " e poi via, a rivotarlo, pensando ai fatti propri come al solito, che a cambiare le cose ci penserà pure qualcun altro, no? Io cioggià da pagare la palestra.

Una come Sabina Guzzanti ad esempio, il simbolo dell'inutilità della sua stessa professione, che s'incista da tre lustri e più a lottare col Moloch di Arcore senza nessun risultato, come ha resistito fin'ora all'ospedale psichiatrico?
Perché sulla tazza come me e gli altri c'è già da un pezzo, con quel curriculum
Ha cominciato imitandone la voce, ma non bastava, quindi s'è messa anche il doppiopetto scuro e il cerone in faccia diventando lui:

Ma non bastava.
E allora teatro, poi film verità, ancora tv, sempre più incapace di mascherare la bava alla bocca di una carriera che le sfugge tra le dita nell'inseguimento della preda da impallinare che però non centra mai, con qualunque arma gli spari contro.
La Kalokagathia suggerisce sommessamente che "il cattivo dentro trasforma in brutto anche il fuori", e si dice essere un concetto superato e non verificato ma io, se guardo la Guzzanti, la vedo ormai incapace di assumere posture, atteggiamenti od espressioni meno che aggressive, sempre contro qualcuno o qualcosa; ormai dopo vent'anni di inutile caccia all'uomo ha le visioni.
 E infatti non la considera più nessuno.    
Quindi la satira è giusta e democratica e misura la libertà di un popolo (non ridete!) ma possiamo affermare con certezza che... non serve ad un cazzo.


sabato 16 novembre 2013

Scurrilità

Cazzo, culo, figa, tette , cretino, idiota, coglione, deficiente, stronzo, bastardo, scemo, facciadimerda,
figliodiputtana, troia, pirla, culorotto, bocchinaro, ciucciacazzi.



In fondo sono solo suoni.



P.S.
Un Nuvola Nove in regalo a chi mi insulterà.

venerdì 15 novembre 2013

COLLEZIONE AUTUNNO/INVERNO 1504

Pane doppio oggi.
Due post invece di uno, perché domani vado in bici e col terreno scivoloso potrei non tornare.
Mi è venuta in mente una cosa curiosamente simpatica, che è questa qui: se vado in America, piuttosto che in Asia o dove volete voi e chiedo al primo soggetto minimamente addentro alla contemporaneità "qual'è la Capitale della Moda?", facile che in molti dicano Milano.
Diranno pure Parigi, NewYork e qualcuno Mumbai, perché l'umano è un animale cretino, ma in molti citeranno Mi.
Qualcuno pensa che questo sia vero oggi, 2013 e che nel passato fosse diverso.
No.
Nel 1300 o 1400 o 1500, a vostra scelta, la domanda avrebbe avuto la stessa risposta, con la differenza che anziché Parigi (che contava nulla nel campo) o New York (che manco esisteva) o Mumbai (che non si chiamava nemmeno così), Milano era sempre lei,  col suo Duomo e la sua nebbia (quella sì che, ahimè è sparita).
Sorpresi?
No, se pensate che i "vestiti" dell'epoca, quelli fatti realmente su misura, sartoriali quindi nell'accezione comunemente attribuita al termine, erano fatti di ferro ed i sarti anziché le forbici utilizzavano maglio e incudine.
I migliori sarti (che oggi si chiamano stilisti ed allora armieri) erano milanesi, oggi come allora.
Forse gay anche, chissà, sicuramente artisti quanto gli attuali, meritevoli, questi e quelli di collezioni museali permanenti, sempre per far vedere agli stranieri chi siamo quando lo vogliamo.
Quelli che oggi sono Prada, Dolce e Gabbana o Armani, secoli fa si chiamavano Negroli (ex Barini), Missaglia (ex Negroni), Della Cesa.
E lavoravano mica tanto distante da quello che oggi è il Quadrilatero della Moda, nelle viuzze intorno a via Torino, cioè dall'altro lato di Piazza Duomo per chi non conosce i luoghi.
Anzichè i campioni di tessuto, nelle botteghe arrivavano le "ferrazze" dalle miniere della Val di Scalve, semilavorati che questi mostri del metallo battevano a mano sulle misure dei fortunati che potevano permetterselo: un'armatura completa "da piede" costava come un armadio di completi di Armani, una "da cavallo" o "da giostra" di più.
Certo, la vestibilità era un pelo più sofferta, se ti scappava la cacca più che un bagno ti ci voleva un ferramenta, erano venti-venticinque chili di metallo da portarti addosso, gelido d'inverno e rovente d'estate, ma provate solo ad immaginare cosa poteva essere l'apparizione di un cavaliere corazzato agli occhi dei contadini dell'epoca.
Un essere splendente, direttamente in contatto col potere divino (e che ti troncava una mano con la spada se osavi allungare il ditino).


Di seguito un piccolo reportage dalle sfilate milanesi 2013 e 1504:
Pantaloni alla caviglia, gamba stretta da portare senza calze. accessori Prada.
Negroli Collezione Uomo 1500 e rotti, elmo alla borgognotta per Carlo V



Armani Uomo collezione 2013/14, linee sobrie, colori delicati



Missaglia Uomo collezione 1400 e rotti, linee sobrie, colori delicati



Dolce e gabbana collezione Uomo 2013

e se pensate che siano gli unici stilisti a prediligere l'accostamento di preziose stampe a sapienti ricami, guardate cosa proponeva Pompeo della Cesa nelle sfilate milanesi di cinque secoli fa:




Ps.
Un Nuvola Nove in regalo a chi mi sa dire la differenza tra armaiolo e armiere...

IL TESTAMENTO DEGLI ARCADI

Boia che titolo!
Non è mio, lo dico subito, è l'ultimo episodio della prima serie (allora le "serie" si chiamavano ancora così e non "stagioni") di Spazio 1999, l'unica per la quale si possa pensare di uccidere: la seconda è una frittella di cacca americanizzata.
E cosa succede di bello agli Alphani?
Incappano nel solito pianeta attirato nella loro stramba traiettoria, manco la Luna fosse ricoperta di carta moschicida, e vanno giù a dare un occhio.
Tra effetti speciali primordiali e pezzi di Albinoni (!) si scopre che trattasi del pianeta di origine della nostra specie, Arkadia, e che da lì, milioni di anni prima era partita una nave piena di nostri antenati diretta verso un pianeta che avrebbero chiamato Terra.
Contrapposto al Comandante Koenig, giganteggia il nostro Orso Maria Guerrini nei panni del tecnico Luke Ferro, deciso a fermarsi sul pianeta con la sua bella per ricominciare il ciclo della vita (i produttori avevano pensato ad uno spin-off porno che documentasse l'immane sforzo dei due ma non se ne fece nulla).
Molti ignorano quali furono poi gli effetti di un tale tour de force sessuale sull'Orso Maria: coi testicoli completamente secchi si diede all'alcool e divenne l'Uomo della Birra Moretti:



 Ma questo bieco pretesto fantascientifico serviva solo ad introdurre il pensiero che la memoria della gente è sempre molto corta e che tale caratteristica, mischiata con l'ignoranza, la superficialità e ad altre cose che terminano con "tà" crea i falsi miti, le false verità, leggende metropolitane spesso difese con l'arroganza, la violenza e la prevaricazione.
Prima di noi c'è sempre stato qualcun altro che la cosa l'ha già fatta o, almeno, tentata.
Magari fatta diversamente, conformemente agli strumenti che il suo tempo gli metteva a disposizione, ma sicuramente pensata.
La Ducati 1199 Panigale ad esempio, è uno straordinario esempio di tecnologia, tanto bello da sconfinare nel campo attiguo del disegno industriale.
Lasciamo stare che per ora non va una mazza, limitiamoci ad osservare:





Fantastico pezzo.
Anche all'occhio del più alieno dal mondo dei motori non può sfuggire la perfetta centralizzazione delle masse e dei volumi e l'idea che tutto sia messo esattamente lì dove serve, senza spreco alcuno di forze e materiale.
Il pezzo di ferro su riprodotto è stato presentato nel 2012, bicilindrico 1200 c.c., oltre 180cv dichiarati e tutte le balle che le Case scrivono sulle loro cartelle stampa.
Giustamente i ducatisti si battono il petto, perché hanno dalla loro questo oggetto che porta ad un limite nuovo la tecnica applicata alle due ruote, e non si sognerebbero mai di discutere con qualcuno che gli fa notare che questa meraviglia è sì una meraviglia, ma che c'è chi ha già fatto di meglio.
E sessantotto anni prima.




Questa è la Guzzi 500 8 cilindri.
Fantastico pezzo.
Anche all'occhio del più alieno... ecc.ecc.
Si possono dire le stesse cose della Panigale, però questa moto è stata disegnata (da Giulio Cesare Carcano) nel 1954 solo con una matita ed una gomma, seduto al tavolo da disegno, senza schermi piatti alle pareti, né computer, Nè I-qualcosa sottomano né cellulari con Uozzàp a romper i maroni ogni due per tre.
E di cilindri non ne ha due ma OTTO (in 500c.c. e non in 1200!!), con tutti gli annessi e connessi (otto di tutto...) ed in più suona come nessun'altra motocicletta ha mai suonato e suonerà.
Cercate sul tubo e verificherete.
E, come l'altra, non ha uno spillo fuori posto.
Contestualizzare amici, sempre contestualizzare prima di partire lancia in resta e magari informarsi.
Di buono c'è che entrambe sono opere dell'italico ingegno, dote che, nonostante la stronzeria suicida che ci caratterizza, quando si manifesta incenerisce qualsiasi altro popolo al mondo.

Ah, tanto per chiudere, ecco con un esempio più vicino alla sensibilità del pubblico meno smaliziato in tema motori ma che dimostra la validità del teorema su esposto: Questa





oggi fa cose che Questo
ha già fatto molto prima e molto meglio (sbattendosi peraltro molto meno).