domenica 29 dicembre 2013

Una vita a crudo.

Ah i giapponesi!
Non so il perché ma li ho sempre istintivamente apprezzati.
Se suonasse un giapponese alla mia porta per vuotarmi in testa un secchio di letame non riuscirei a percuoterlo cercando vendetta, no.
Credo proprio che andrei verso la doccia con la convinzione che la paccata di merda celi una lezione di vita senz'altro saggia, senz'altro altamente spirituale.
Del resto, gente che costruisce e mette nella vetrina dal tuo concessionario la  Honda cb 750 four ha vinto a  prescindere.
L'italiota motorizzato dell'epoca (parliamo del 1969) aveva giù in garage il Vespone, oppure se gran figo del quartiere il Guzzi Falcone, quello col volano tipo affettasalami, insieme alla cassetta degli attrezzi da usarsi ogni volta che rientrava da un giro (se rientrava) per rimettere insieme i pezzi.
Esce di casa una bella mattina e cosa ti trova parcheggiata sul marciapiede?

Una roba con quattro cilindri anziché uno, massimo due , il freno a disco, l'avviamento elettrico, le cromature che brillano, le luci che funzionano, una cilindrata da paura, una potenza da denuncia ed un prezzo allineato alle altre motociclette.

E che in più va sempre.
Lascio giù questa alla sera...

... e trovo quest'altra la mattina...













  
Preciso, per dare idea dell'enormità: fate conto di scendere in strada e di trovare al posto della vostra auto una macchina da trecento all'ora, che consuma come una Panda, con il pilota automatico e la Jacuzzi tra i sedili.
Chiaro?
Per questo guardando il documentario "Jiro e l'arte del sushi" non avevo scampo: anche fosse stato un cialtrone io l'avrei difeso.
Invece Jiro è un capo e si difende da solo.



Il film è del 2011, quindi lui che lì dichiarava ottantacinque anni oggi ne ha ottantasette, dritto come un fuso, tre stelle Michelin per il suo sushi.
L'unico al mondo.
Con un ristorante che ha dieci coperti giapponesi (quindi ci staranno sei sette tedeschi), stretto e lungo a cui si accede scendendo in metropolitana nella stazione di Ginza, a Tokyo.
Vi anticipo: anche io ho detto "ma come si fa ad avere tre stelle facendo una roba basica come il sushi?".
Ma io son scemo, voi no, quindi ci ho messo un po' a capire quanto sbagliavo.
Le cose apparentemente piú semplici sono quelle piú difficili, perché richiedono dedizione assoluta, amore e cura del dettaglio per poterle affinare fino ad elevarle ad arte come fa quel cuoco coi suoi fagotti di pesce crudo.
Jiro ha messo a punto un menu degustazione di venti pezzi che, a detta di un critico gastronomico che l'ha provato, equivalgono ai movimenti di un concerto.
E non messi tutti insieme come fanno qui, no, un pezzo per volta e secondo un ben congegnato percorso lungo varietà di pesce diverse, sotto lo sguardo dello chef che attende paziente l'ingollo prima di calare implacabile nel piatto il sushi seguente.
Ma ancora non é chiara la magia, almeno finché non si vedono Jiro e suo figlio maneggiare l'esatta quantità di ingrediente con l'esatta richiesta di movimento alle mani dopo aver selezionato al mercato solo il meglio di ciò che altri asceti come loro ha già selezionato.
Il meglio del meglio del meglio, filtrato attraverso quel rigore feroce tutto nipponico che ha fatto la fortuna del paese e dei suoi psicanalisti (immagino).
Il cuoco ha pure due figli che fanno lo stesso mestiere, non perché l'abbiano scelto loro quanto perché il padre se li è portati a bottega da subito, senza discussione e col noto furore di cui sopra.
Perché Jiro ha cominciato a dieci anni e per i 75 successivi ha trascorso tutta la sua giornata tra il mercato del pesce ed il ristorante, festività incluse.
Un martello, uno stakanovista; un pazzo per i nostri parametri.
Chiaro come cotanto genitore abbia traviato la prole, con l'aggravante che il maggiore dei due lavora nello stesso ristorante del vecchio, che non ne vuole sapere di andare in pensione.
Dato che in Giappone è il primogenito che eredita l'attività del padre, il tapino è nella strana posizione di vedersi castrata la carriera nonostante goda dell'addestramento del migliore al mondo da decenni.
Immagino la pressione psicologica pensando a ciò che dovrà inventarsi per essere all'altezza quando Jiro stirerà le zampe.
E qui le due correnti di pensiero si scontrano: visione nipponica o italica?
La felicità sta nel sublimarsi nel tentativo leggermente disumano di tendere alla perfezione ogni giorno senza mai mollare oppure godersi maggiormente l'unica vita che abbiamo in dotazione?
Mi accorgo che scrivendo "leggermente disumano" già si capisce da che parte penda il mio pensare.
Ma io sono un debosciato e non avrò mai tre stelle nemmeno pagandole.
Quindi ha ragione Jiro?
Lui che quale voce fuoricampo sostiene che "un uomo deve scegliersi un lavoro e poi trascorrere tutta la vita amandolo e dedicandocisi per migliorarlo ogni giorno, senza smettere mai".

Non lo so, considerando ciò che la sua famiglia ha dovuto subire per sopportare la sua incredibile determinazione professionale.
La mia ha subito senz'altro meno il mio pernicioso fancazzismo (almeno spero... mamma?)
Abbiamo sbagliato entrambi, ma io ho fatto meno danno...
Insomma l'equilibrio, il segreto è l'equilibrio: a tavola, nella vita, sul filo teso dell'esistenza.
L'ultima cosa su Ono e i suoi sushi è che per un pranzo ti chiede 250 euro.
250 per 19-20 pezzi di sushi che al ritmo di un minuto e mezzo l'uno per mangiarli trasformano l'esperienza nel più costoso pasto consumabile in 20 minuti, preparazione compresa.
Ora, io non credo che possa esserci nulla che giustifichi un prezzo simile per un sushi, per quanto possa essere preparato con il meglio che c'è in giro.
Allora mi viene il sospetto che Jiro mi metta nel conto pure la nevrosi sviluppata in una vita monodimensionale spesa nel migliorare quotidianamente la qualità del suo cibo, il peso di una scelta premiante sul lunghissimo termine ma oppressiva per tutto il resto, una prigione su rotelle nella quale si è volontariamente chiuso e nella quale ha chiuso i familiari.
Eh no, caro carissimo Jiro!
Che cazzo vuoi da me?
Se ti fossi comprato la Four quel giorno là, e anziché in cucina avessi tirato due pieghe sul monte Fuji adesso il tuo sushi costerebbe un po' meno e tu staresti forse un po' meglio.

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