lunedì 2 dicembre 2013

Alto, moro e spinàceo.

A Milano stanno venendo su dei grattacieli.
L'immagine qui sotto rende l'idea di come sarà tra un po' guardare in quella direzione.

 
Mi si è detto che l'anello è fuori moda: mi chiudo in uno sdegnoso silenzio.
Edifici di 150, 180, 200, millemila metri (quello alto un miglio sognato da Wright però ancora nessuno l'ha realizzato).
E chi andrà ad occuparli si sentirà senz'altro un po' speciale, lì nel grattacielo tutto storto e tecnologico.
Ma pensa a chi va a finire ai piani bassi.

- Stai nel grattacielo?
- Sì.
- Bello! Com'è il panorama?
- Mah... non so... sono al terzo piano...

Capito il dramma?
C'è pieno  di frustrati in giro per il mondo che la mattina o la sera entrano in un grattacielo ma si fermano ai piani bassi, sotto a quello che nella casa popolare stende le mutande sul filo.
O quelli che vedono passare una banda musicale fuori dalla finestra della cucina, ma stanno usando un frullatore e quindi quel che sentono è solo il frullatore e non la musica.
La vità è bella perché riserva sempre questi momenti di somma ironia, se siete in grado di riconoscerli ed apprezzarli.
Come Nanof per esempio.
Oreste Fernando Nannetti era in grado di farlo in quanto dotato di una sensibilità diversa che filtrava le banalità quotidiane per noi così importanti e gli permetteva di abbeverarsi alla fonte delle cose.
Ospite per quasi tutta la sua vita di ospedali psichiatrici (prevalentemente a Volterra, ottimo posto per essere internato aggiungo) Nanof si definiva in molti modi: colonnello astrale, scassinatore nucleare, alto moro e spinàceo (sic).
Era un grande Nanof, talmente grande da essere ricordato come graffitista, pittore, scrittore di fantascienza sperimentale.
Durante la degenza non smise mai di tracciare segni e graffiti sulle pareti dell'istituto servendosi della fibbia dei pantaloni, più di duecento metri di storie incredibili, disegni di macchine e robot, messaggi cifrati dall'altrove che qualche illuminato provvide a testimoniare per tutti e per sempre (un ex infermiere, sembra, dopo che la legge Basaglia pose fine alla stagione dei manicomi nel '73).

Particolare di uno dei graffiti. Tutto ciò copre più di 200 metri di parete.

Lo Studio Azzurro lo ha raccontato in un documentario dell'85, "L'osservatorio nucleare del Signor Nanof" che Feltrinelli mi pare abbia incluso in una raccolta di loro corti, qualche tempo fa.
Inutile dire che merita ogni attenzione vogliate dedicargli; del resto uno che scrive frasi come:"grafico metrico mobile della mortalità ospedaliera 10% per radiazioni magnetiche teletrasmesse 40% per malattie varie trasmesse o provocate 50% per odi e rancori personali provocati o trasmessi" è accostabile per libertà espressiva ad un futurista come Marinetti, ad un cutupparo come Burroughs, ad un beat come Kerouac.
Solo che questi stavano fuori dal manicomio. 
Del resto spesso, anzi molto spesso, il genio è secreto da anime disturbate, quasi che il disturbo stesso sia un prerequisito, un amplificatore di capacità, uno sciroppo rosa contro il virus della vita quotidiana.
Non mi tirerete dentro una discussione sul tema del genio e della sua natura.
Gente molto migliore di me l'ha già fatto ampiamente.
L'unico contributo che avrete dal MaschioPlastico sull'argomento è puramente istintivo (e visuale), non esaustivo e soprattutto personale.
Cè un dipinto di James Ensor che mi è sempre piaciuto molto perché dà una visione della vita immediata e folgorante.
È questo qui, e si intitola "Cristo entra a Bruxelles".

James Ensor, Cristo entra a Bruxelles 1889



Là nella massa c'è Cristo, si nota dopo un po', ma c'è.
Tra nani, puttane e impiegati del catasto, soldati e gentildonne, porta in giro l'aureola senza che a nessuno apparentemente gliene freghi molto.
Perché infatti siamo tutti particelle di un tutto, con lo stesso peso e lo stesso consumo di ossigeno, una gran baraonda in perenne corsa verso il boh.
Ma qualcuno è Cristo, anche se non lo vediamo e non ce ne frega niente, e lui riesce a scrutare per un attimo nelle feritoie, dietro gli angoli, sotto il tappeto.
Il genio è quell'attimo per me e mi piace pensare che anche Nanof l'avrebbe dipinto così.



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