martedì 17 dicembre 2013

La pentola a pressione.

L'ho sempre temuta, sempre guardata con sospetto fin dalle prime volte.
E non l'ho mai capita veramente, mai saputo quali misteriose forze la governassero.
La pentola a pressione.



Quando ero piccolo io l'oggetto era di quelli premianti, la casalinga non sovralimentata dal vapore era una povera sfigata, una massaia anzi, nell'accezione più tordellesca del termine.
 

 
Era il corrispettivo femminile dell'uomo che maneggia il trapano sì, ma con la percussione.
Dopo di lei solo il visone, la Coppa dei Campioni delle mogli italiane dell'epoca, anche se molte si sarebbero fermate alla Uefa cioè la volpe grigia (o rossa).
Se ne stava là, in mezzo alle altre ma molto più tronfia, più lucida, conscia della forza esplosiva che dimostrava sbuffando e soffiando dai suoi orifizi in acciaio 18/10 Aeternum, mentre lessava nella metà del tempo quel che le stava dentro.
Nei confronti del pentolame plebeo che la circondava la pentola a pressione manteneva un regale distacco giustificato dall'essere il top di gamma: rispetto ad un'umile padella mi ha sempre dato l'idea di un anabolizzata steroidata con esoscheletro, un effetto che ritrovai poi nella mia adolescenza in esempi automobilistici come questi qua sotto:




205 base vs. 205 Turbo 16: pignatta semplice vs pentola a pressione


Sono auto anni '80 perché se pensate che vivo nel passato non avete tutti i torti: il presente fa schifo e il futuro non esiste, rimane altro?


Insomma ci guardavamo con rispetto (io, lei non mi calcolava).
Quelle poche volte che la trovavo leggermente in déshabillé, fredda e col coperchio appoggiato di lato, le scrutavo le pudenda cercando di capire, ma senza mai il coraggio di toccarla.
Timido e inesperto.
Quando poi mia Matre mi esortava con voce dolce: "Dai cretino, spegni la pentola a pressione!", io da una parte covavo odio nei suoi confronti per la maniera, dall'altro mi cacavo, avvicinandomi al fornello come oggi alla sede di Equitalia.
E quasi mai riuscivo a ruotare il pomello, impegnato com'ero a ripararmi la faccia perché certo che l'ordigno, proprio in quel momento, sarebbe esploso.
Credo sia nata lì nella genitrice la convinzione che non avrei vinto il Nobel.
E in me una certa avversione per la cucina, intesa sia come luogo che come occupazione.
Ora la situazione si sta ripresentando.
Perché il passato non ti lascia mai veramente, trova sempre il modo di riacchiapparti prima o poi.
Sappiatelo, voi ottimisti dei miei collioni, non è mai finita!
La Dolce, nell'ottica di una riorganizzazione energetica se ne sta per dotare.
Ed io, già lo so, verrò richiesto di spegnere il fornello una volta o l'altra ed allora succederà di nuovo che, riparandomi la faccia e trascinando la ciabatta, mi avvicinerò al pomello del gas temendo per la mia vita e per l'integrità del minuscolo appartamento.
Già nel 2014 verrò sbattuto fuori da uno, non vorrei essere espulso esplosivamente anche dall'altro: mi rimarrebbe solo la vecchia Matre (che ha ancora la vecchia pentola a pressione) per ricominciare un ciclo vizioso periodico, cioè infinito.
E la colpa è tutta di questo stronzo qua sotto, Denis Papin:


Nonostante la capigliatura da fan dei Led Zeppelin questo a fine 1600, quasi millesette non ti va ad inventare l'ordigno infernale che trecento anni dopo segnerà la mia vita?
Non avevo già abbastanza problemi?

Non potevi inventare la chitarra elettrica invece, con quella parrucca?
Maledetto.

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