martedì 4 marzo 2014

L'amore appiccica.


Questo qui sopra è l'amore.
Da ieri sera mi è chiara qual'è la forma intellegibile del sentimento, che è poi quel sentimento, quello che ha arricchito cantanti, registi, scrittori, compositori, poeti (no, quelli fanno la fame comunque).
Dico "da ieri sera" perchè ieri sera ho visto Her ("Lei", nelle nostre sale) di Spike Jonze, film fresco della doppia investitura Oscar+Golden Globe per la migliore sceneggiatura.
Non ha vinto per caso.
E, aggiungo, se siete dell'umore giusto (cioè un po' lunare, un po' malinconico) prima di continuare  a leggere cliccate qui, e fate partire lo score originale di Her, opera degli Arcade Fire.



Il faccione è quello del camaleontico Joaquin Phoenix, l'uomo con le spalle più strette di Hollywood, qui con lenti colorate e baffo ad aiutare una ciclopica performance attoriale.
Quindi che è successo per riuscire a farmi vedere l'amore per quel che è?
È successo che nella storia un uomo si innamora di un sistema operativo e che questo fatto accada in un ipotetico futuro che non è abbastanza futuro da rendercelo alieno; al contrario, è un futuro che è solo "dopodomani" e che perciò ci inghiotte in un transfert potentissimo.
Ci si crede, e si capisce come l'imperfezione dell'essere umano condanni tutti, nessuno escluso,  all'esplorazione del dolore, che è parte integrante del nostro dna, anche invadendo i nuovi spazi che ci aprono le tecnologie di comunicazione.
Non già, quindi, un futuro più semplice, ma un futuro solo diverso, dove il dolore troverà nuovi spazi per tormentarci, spazi che noi stessi gli forniamo incessantemente.
Potrete non vederlo questo film, ma se sì preparatevi ad un volo all'interno, laddove ognuno ha molte domande, poche risposte e ancor meno voglia di mettervi piede.
 Eppoi l'amore, il cazzo di amore che uccide più del colera.


Mi è parso evidentissimo quindi che questo sentimento è solo un collante, assimilabile all'Attack, al Bostick, molto spesso al più debole Vinavil, un adesivo che è potentissimo proprio perché è chiamato ad unire forme dannatamente diverse, per quanto alcuni si descrivano "combacianti", "affini", anime gemelle...
Macchè anime gemelle, non ce n'é uno uguale all'altro al mondo, dove uno è liscio l'altro è ruvido e non c'è mai un incastro che sia uno che vada ad infilarsi al suo posto.
Buttaci dentro pure il sesso ed altri istinti basici legati alla libertà individuale e il mondo diventa quel bordello che è.
C'è l'amore però, e se la magia del suo equilibrio è sufficientemente potente, queste forme assurde rimangono in piedi a dispetto di tutto, sfidando logica, gravità, ragionevolezza.

Theodore soffre per l'ex moglie, ma soffre anche peggio per Samantha, che non esiste, essendo appunto un programma del computer... insomma soffre, ma quando l'amore si attiva, appiccica al muro qualsiasi forma vivente. Voilà.
Eppoi Jonze butta lì una bella frase ad un certo punto, che suona tipo il passato è solo un racconto che ognuno si fa. 
Normalmente sempre meglio del presente, aggiungo io.
Questo fa ben sperare il mio di presente, atterrito dalla sua attuale pochezza.
Arriverà un momento nel quale questo precario oggi mi parrà più bello e magari lo rimpiangerò, pensa te quanto coraggio ci vuole a sostenere che il nostro cervello è uno strumento portentoso...

Eppoi mi perde lo scaldabagno, ma confido nelle sue risorse e ho scalato l'altro giorno con inaspettata facilità una salita lariana con la bici, segno che il fisico, seppur fiaccato, è vivo e lotta con me.
E mi assale anche il dubbio che stia personalizzando troppo, errore da non fare dentro un blog, che è sì uno spazio mio, ma che è aperto a TUTTI e a TUTTI non frega niente se son vivo o morto o se il boiler sbroffa.
Giustamente.
Perdonatemi, non lo farò più.

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