lunedì 8 dicembre 2014

L'immane succhiotto


Postassi fumetti o vignette alzerei più visite sul blog.
Il fumetto ha la dimensione ideale per questo media, lo riempie di giustezza senza distrarre e, se fatto bene, genera spontanee condivisioni, like, cazziemazzi social.
e son tutti contenti.
Ma io non faccio fumetti, scrivo.
Quindi ci metto quel che ho, e quel che ho qui è un racconto che nel 2006 mi venne pubblicato da Liberodiscrivere nella raccolta "I contorsionisti".
Gratis, ovvio.
Così altrettanto gratis vi presento:


L'IMMANE SUCCHIOTTO

Superato il casello la manò calò sulla patta del mio jeans.
Lei mi guardava con occhi lascivi, intorno a noi solo il fruscio del vento e Settimo Torinese, ad uscire, via verso Milano, poi, fra un'ora, si vedrà.
Fingo indifferenza, guardo il traffico, ma il turgore si manifesta subdolo.
La mano fruga, preme, indaga.
L'idea non mi dispiace.
Poi la strada che scorre sotto, sobbalzi e rappezzi, cantieri eternamente aperti e la sera che incombe lenta, ché è quasi estate.
Mi guarda morsicandosi il labbro: c'è buio abbastanza?
No, sì, forse.
Io guido, lei apre la zip cozzando con le unghie sulla carne lucida e tesa.
Io guardo davanti e poi dietro, dedicando tempo e attenzione ai tre specchi.
Il braccio sinistro alzato contro il vetro, tanto per schermare un po'.
Mi pare che ci vedano tutti.
E forse è così, chissà.
Su e giù, su e giù, parte l'implacabile operazione pneumatica.
Risucchi e sbuffi e gemiti, Milano novanta chilometri.
Passo dai cento ai centotrenta in continuazione, rallentando quando chi mi affianca lo fa con lentezza o accelerando per sfuggire senza essere notato dagli altrui abitacoli.
E i camion?
Vedranno il suo pompare mi sa.
E suda, anche.
La sento con la mano destra, che scorre dal pomello del cambio di fredda plastica alla fornace che ha tra le cosce.
Frugo anche io, maledizione a traffico e sobbalzi.
Luci abbaglianti nello specchietto: chi è?
Mi vede che godo?
Che figura di merda.
No, non mi ha visto.
Milano ottanta chilometri.
Su e giù, su e giù.
Sensazioni contrastanti dal profondo.
Un paio di volte sto per imboccare il bivio che porta all'eruzione ma sbaglio strada.
Sono distratto, forse.
Maledetto traffico di rientro.
Tengo la seconda corsia, a volte la terza, cercando spazio libero; dovessi venirmene all'improvviso non voglio testimoni se non lei.
La sua bocca piena di me, dai che arrivo.
No.
Un pullmann cambia corsia, lampeggiando pigro col giallo delle sue freccione.
Il ritmo scende appena appena.
Mi inarco allora, su che che ce la fai.
Su e giù, su e giù e settanta, anzi no, cazzo solo cinquantacinque chilometri a Milano.
Ma quant'è che va avanti?
E allora la sento che aumenta il ritmo, una guerra personale tra donna e cazzo.
Ecco, forse... forse, sento un rimescolìo nel ventre... dai, dai.
Niente.
Piccola onda di riflusso, il sangue torna in giro, falso allarme.
E su e giù e su e giù, ed anche intorno adesso, che maestria.
Quaranta chilometri a Milano, il cartello era Biandrate se non erro.
Ho anche il tempo di concentrarmi sulle località, brutto segno.
A volte perdo la cognizione del pene, mi pare che lei sia solo accoccolata sul mio grembo.
Accartocciata; meglio.
Bruttissimo segno.
E mettici un po' di buona volontà, dai.
Pensa ad un bel porno magari, aiutati, prima che comici a pensare che di lei non te ne importa più.
E' una donna, ha strani processi mentali.
E se per ripicca me lo morde?
Il su e giù ora è scomposto, lei suda come una scrofa ed i vetri vanno appannandosi. 
Barriera di Milano a dieci chilometri.
Cosa?
Non ci credo, io ho ancora i pantaloni alle ginocchia.
Lei poco fa mi ha lanciato un'occhiata, ne sono certo.
Quel che ho visto non mi è piaciuto nemmeno un po'.
Mi odia o forse si odia.
Cristosanto, ma perchè non vengo?
Un attimo di oblìo e risolviamo la situazione, no?
E invece qui si configura un dramma, una scena madre, già lo vedo.
Tutto per un miserabile pompino.
Ti prego, reagisci maledetto, non senti che lei sta cedendo?
La vuoi vedere sconfitta, ho capito.
Una erezione di cento e passa chilometri.
Un po' sono orgoglioso però.
Decido in un attimo: accosto, scagliando la freccia di destra più che accenderla.
Mi infilo mezzo di traverso nella piazzuola di sosta, luci di posizione accese.
Anzi tengo il freno, gli stop li vedono meglio.
E se mi tampona un tir?
Succede spesso.
Tutto appannato, non vedo più niente fuori, solo i fari delle auto che sfrecciano come delle comete.
Penseranno che son fermo a scopare.
Abbasso di un pelo i finestri, per cercare di salvare le apparenze.
I vetri si puliscono un po', allora socchiudo il tettuccio e richiudo il finestrino di destra.
Nel silenzio solo i clic! dei tasti e il fric! dei cristalli, oltre al risucchio, certo, che ora è disperato .
Che situazione di cacca.
Su e giù, su e...
Si rialza, dopo un'ora di esercizio estenuante.
Le ha tentate tutte ed ha perso.
Mi guarda come un cerbiatto fa con il furgone che lo sta per investire.
Cerco di alleggerire la tensione.
- Che caldo, eh?
Lei non cambia espressione.
- Anche i finestrini. Quando ho sentito con quale precisione manovravi i finestrini dopo un'ora di pompa ho capito che era finita.
Come "pompa"
Non ha mai detto una parolaccia prima d'ora. 
Poi si butta indietro, in preda ad atroci dolori.
Mi sa che s'è infiammata qualche nervo, poverina.
Riparto mestamente.
Lei si lamenta con le mani a coppa sull'occhio destro: - Ahia, ahia, mi scoppia la testa.
Siamo in città ora e nessuno dice nulla, solo lamenti suoi ed imbarazzo mio.
Con tutto ciò mi accorgo che ce l'ho ancora di fuori, dritto come un palo.
Totemico quasi. 
Rinfodero senza dare nell'occhio.
Mi fermo sotto casa sua e tento un bacio distensivo.
Mi evita uggiolando, sempre con la mano sull'occhio.
Esce e gira dietro la macchina, perchè mi sono fermato troppo vicino a quelle parcheggiate e dal davanti non ci passa.
Barcolla un po' sui tacchi a palafitta.
Mi sento una merda.
Butto l'occhio nel retrovisore e non vedo nulla, perchè lei nell'esatto istante s'è piegata in due per una fitta d'emicrania più intensa.
Ingrano la retro e scatto con un po' di imprevista rabbia.
Sento un tonfo ma lo ignoro, perchè voglio arrivare a casa in fretta per dimenticare tutta la faccenda con una salomonica sega.
Non guardo nemmeno alle spalle, sono sconvolto.
C'eravamo tanto divertiti oggi, e poi era solo...solo un pompino, niente di che.
Guarda cosa ti va a succedere.




Appena dopo la sega di cui parlavo, ho deciso di chiamarla.
Questione di coscienza, volevo rassicurarla sulla solidità del sentimento.
Non risponde, me l'aspettavo.
Mi chiama un paio d'ore dopo dall'ospedale.
Le ho fratturato il bacino e le hanno messo anche un collarino semirigido, senza spiegarsi la connessione tra le due patologie traumatiche.
Quella me la spiego io.
Mi metto a letto e spengo la luce.
Domani vado a trovarla con un mazzo di fiori.
Le donne...
   

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