mercoledì 17 dicembre 2014

Essere una fermata d'autobus

Ho cominciato a scrivere con assiduità più o meno undici o dodici anni fa, grazie ad alcuni siti che permettevano il pubblico ludibrio dei pezzi proposti.
Liberodiscrivere e Scritturafresca sono i primi che mi vengono in mente.
La faccenda si presentava così: l'autore postava il suo parto letterario, in forma di racconto per motivi pratici di fruizione, poi attendeva con apprensione i giudizi del pubblico.
Mi ricordo con quale soddisfazione vedevo arrivare le singole notifiche di commento ricevuto, anche perchè erano generalmente positive.
Il mio antico spirito competitivo aveva trovato un nuovo campo d'azione nella corsa all'accumulo dei punti e relativa salita nelle classifiche di gradimento dei siti.
Un paio di pezzi erano poi riusciti ad uscire da lì ed a infilarsi in un libro vero, cartaceo dico, il che mi aveva gonfiato come un pallone ad elio.
Vabbè, preambolo nostalgico terminato.
Vado a proporre uno di quei pezzi là, scritto nel 2003, ripescato da una cartella sommersa nel computer e messo qui a sgocciolare lentamente.
Si intitola "Essere una fermata d'autobus"e mi pare di averlo scritto mosso dall'esigenza specifica di abbindolare gli utenti, che si dimostravano più attenti alle introspezioni ed alle storie cerebrali piuttosto che agli spargimenti di sangue.
Regola numero uno: capire cosa vuole il pubblico, indi cogitare.
Sale e pepe q.b. poi scrivere.
Non lo faceva Proust probabilmente, infatti morì barbone, lo fa la Rowlings invece, infatti cià le Rolls.

L'importante non è essere, ma farlo credere (triste ma vera verità).

Comunque, eccovi:


ESSERE UNA FERMATA D'AUTOBUS 


Sono isola, sono approdo, sono tronco d'albero che galleggia su di un fiume di cemento, sono quattro pali di ferro e lastre di vetro sporco, caldo o freddo io sto lì, non posso fare altro.
Sono una fermata d'autobus.
Poteva andarmi peggio in fondo: conosco alcune fermate di metropolitana che non hanno mai visto il sole di una giornata di maggio, ad esempio, sempre là sotto nella penombra e nel silenzio.
Non è molto, lo so, ma per me è già qualcosa e me lo tengo stretto.
Da anni svolgo il mio compito con professionalità.
Ho il mio palo arancione con l'orario e il percorso del bus e una bella pubblicità che mi cambiano mensilmente; è un po' pisciato, ma è colorato e rallegra l'ambiente.
Sono fiera del mio cartello pubblicitario, voglio che chi mi vede pensi di me che anch'io ho una dignità, uno scopo ed un posto rispettabile nella società, perché io accolgo gente, notte e giorno, la guardo aspettare, poi salire e scendere, senza fermarsi mai, senza poterla fermare mai.
Tutti i giorni, anche i festivi.
Alle volte cerco di farmi sentire, di iniziare un discorso ma quelli sono troppo presi dalle loro corse, dalle loro cose.
Viaggiano verso il capolinea, sperando che il bus non sia in ritardo, credendo di trovare qualcosa di nuovo ad aspettarli invece delle solite fermate che conoscono ormai a memoria. 
Alle mie spalle c'è un ristorante cinese.
Era già lì quando sono arrivata, qualche anno fa.
La signora, credo la proprietaria, esce ogni mattina e lava i vetri e lo fa con una professionalità direi pari alla mia.
Tutti i giorni, anche i festivi.
Si vede che il ristorante per lei è qualcosa, e se lo tiene stretto.
Un giorno, una mattina, la signora non è uscita a lavare i vetri.
Si è seduta qui, sotto la mia pensilina, e si è messa a guardare per un po' la gente che saliva e scendeva, senza fermarsi mai.
Nessuno ci ha fatto caso, tutti presi dalle proprie cose, ma la signora piangeva.
Avrei voluto dire, fare qualcosa, ma che volete, sono solo una fermata d'autobus.
Chissà per quale motivo piangeva.
Non l'ho  vista nemmeno la mattina dopo pulire la vetrina del ristorante, e nemmeno le mattine successive.
Il locale poi è stato chiuso qualche mese più tardi, mi pare fosse il periodo in cui sfoggiavo quel bel cartello pubblicitario della compagnia assicurativa.
Ero più fiera del solito con quella pubblicità, bei colori, belle persone raffigurate, sorridenti e felici.
A ben pensarci gente del genere io l'ho vista solo nelle pubblicità, mai nessuno che passasse sotto il mio tetto con quell'aria distesa, quel sorriso ostentato.
La vetrina del ristorante invece non l'ha più pulita nessuno, tanto che poi, giorno dopo giorno, è andata coprendosi di una brutta patina grigiastra.
Mi dà un po' fastidio questa immagine poco curata perché io ci tengo al decoro del mio tratto di marciapiede, ci mancherebbe.
Cosa penserebbe di me la gente se mi vedesse nelle stesse condizioni?
Sì d'accordo, sono presa di mira dai cani e dagli ubriachi, la notte, ma complessivamente cerco di mantenermi.
Poi a ben guardare, ed io di tempo per farlo ne ho a sufficienza, ho notato che quello strato di grigio polveroso lo conoscevo già.
Lo vedo da anni, avvolgere la gente che transita sotto i miei quattro pali di ferro.
Soprattutto vedo tanti, troppi occhi che non cercano altri occhi, che non vogliono o non possono vedere.
Mah, che volete, mi sbaglierò.
Dopotutto sono solo una fermata d'autobus.
Come voi.



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