martedì 2 maggio 2017

Il signor Gramatica

Il Signor Gramatica la notte prima è andato di corpo.
Si è stupito perché la stitichezza lo accompagna fedele nella sua ultima tratta, ostinata e contraria.
Ma molto c'entra il metallo.
È sempre stato molto importante per Gramatica, perchè ci ha plasmato l'esistenza e da quello ne è stato plasmato.
Quarant'anni da battilastra, un mestiere nobile e segreto, rovente come un antro magico, sempre con un martello in una mano e l'altra a scorrere su quelle pelli duttili.
Sotto una maschera di legno, sopra un foglio di alluminio, dritto come un lenzuolo inamidato.
Poi una serie di corteggiamenti, diminuendo la grandezza dello strumento, battendo, picchiettando, accogliendo tensioni, fino a far sparire bugne e imperfezione e tendere il lenzuolo in altro modo, come una colata d'argento che riempie le narici e il cuore.
Ne ha battute di carrozzerie Gramatica, quando ancora un'auto valeva un abito di sartoria.
Ora non più, da tanto tempo.
Un tempo lunghissimo, proprio lunghissimo, nel quale ha solo fluttuato.
L'armatura è lì, appoggiata ad un busto.
Lastre acquistate all'ingrosso, scelte un po' così, perché non è più il tempo delle antiche ferrazze, a volte al Brico, a volte da scarti di fabbri amici suoi, vecchi di scintille spente quanto il Signor Gramatica.
Ha imparato tecniche nuove vecchie di secoli, il bulino e l'azzurratura, lavorando la notte perché il sonno ormai è un miraggio.
S'è sentito di nuovo giovane, Gramatica, vivo e diretto da qualche parte, non sa dove e non gli importa.
L'elmo l'ha voluto semplice, solo due corna in cima, giusto ai lati del pennacchio.
E gli spallacci, beh, quelli li ha rifiniti per giorni e giorni, con girali d'acanto che ha scovato su certi libri presi al Castello dando fondo alla pensione minima.
La notte in cui le forme hanno preso il loro ordine sul suo corpo rattrappito è stata la migliore che Gramatica ricordi.
Con eccitazione s'è dato alla politura, pasta abrasiva sempre più fine e passate continue, come onde del mare, avanti e indietro, avanti e indietro, fino alla luce.
L'armatura ora brilla come cromo sotto la lampadina, insieme con la lama, uno spadone che Gramatica ha ben bilanciato servendosi dei pesini di un attonito gommista.
Non ha previsto scudo.
Non servirà.
Attende Gramatica, attende un segno, con quell'eccitazione che si accumula nel solo pensiero dell'atto rendendo delizioso il tormento e l'attesa trattenuta.
Domenica mattina il sole splende.
Tutti pezzi vanno al loro posto, serrati da cinghie di cuoio e moschettoni d'ottone.
Spessore variabile sulla panziera, mobilità flessibile per mani e piedi coi loro anelli d'acciao dolce ripiegati come spirali infinite.
È il lavoro migliore del Signor Gramatica, la sintesi di una vita spesa nel metallo.
Esce presto per la strada, sferragliando come un commesso del ferramenta che frughi cercando brugole nel retro.
Sale sulla metropolitana, tenendo la spada inguainata nel fodero di tessuto ricamato.
Poca gente assonnata, lo guarda e commenta in cento lingue, sorride perché quel cavaliere anacronistico mette di buon umore con tutto quel luccicare.
Sale le scale mobili e chiude la visiera prima di vedere il Duomo.
Da lì dietro la facciata bianca è ancora più frastagliata, filtrata da aperture a forma di croce latina.
Poi, lentamente sguaina la lama, con un suono puro e definitivo.
Scciuum, una cosa così.
Il primo a cadere è orientale,
Di netto la femorale, con un getto perfettamente paralello al terreno che stupisce sia lui sia Gramatica.
Cade urlando a terra, rotolandosi in una pozza che va allargandosi sotto i calzari di ferro.
Scivola sul rosso Gramatica, ma subito si rialza, pieno di energia creativa, di vita.
La testa di una grassa turista inglese è la seconda.
Il marito pare sorpreso vedendola spiccata con così tanta precisione e con aplomb osserva il capo della moglie rotolare sul sagrato, facendo sollevare qualche piccione, fissarlo negli occhi.
Il cavaliere ora mulina con tutta la forza, sollevando schizzi di sangue dai corpi che cercano la fuga, brandelli di materia cerebrale, ossa, il metallo non ha occhi, non esprime giudizi.
Definisce.
Sirene, polizia, armi da fuoco.
La pelle non riluce più, il cromo è rosso, sgocciola anime da ogni ribattitura, da ogni anello di maglia.
Gramatica ansima, inquadrando dalla feritoia la Polizia schierata con le armi spianate.
Prende un respiro, poggiando la punta della spada a terra.
Poi la rialza, alzandola verso il cielo e va.
Crepitio, contraccolpi, proiettili deviati e la spada sempre davanti a sé.
Bruciore, al petto, spessore troppo ridotto, pensa Gramatica, altro bruciore al braccio, ma la spada non si abbassa, pochi metri ancora.
Avanzando si sentono le esplosioni secche delle armi da fuoco, lo sferragliare delle giunture e il rimbalzo dei frammenti di metallo che schizzano via scintillando.
A due metri dalla linea di fuoco si fa tutto nero.
Si trova in ginocchio senza quasi rendersene conto.
Avanza ancora qualche centimetro grattando con le ginocchiere, poi inquadra il selciato attraverso una delle croci.
L'ultima cosa che vede.
Che ridere, lui comunista ateo e bestemmiatore.




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