Antonio Rezza è un genio e Flavia Mastrella pure, questo lo scrivo subito così mi tolgo il peso.
Uno è il più grande performer vivente (dice lui), l'altra la schiva sodale che costruisce sul palco l'unico mondo possibile nel quale lui può esprimersi.
Semplice, come sanno essere semplici tutte quelle cose che una volta viste sembra inevitabile dovessero essere esattamente così, ma che prima che qualcuno ci pensasse non esistevano.
Io ho visto "Fratto X" al Gaetano Pini, che è un ex istituto psichiatrico di Milano, qualche anno fa e lì ho capito che quell'uomo (e quella donna) andrebbero protetti, clonandoli per usi futuri quando gli originali si guasteranno per umana consunzione.
Se proprio non vi va di sfidare gli acari delle poltroncine di un teatro, consigliovvi la visione dei corti per farvi un'idea, corti che per fortuna sono in massa rappresentati su Youtube ma che andrebbero conservati in supporti più stabili per vederli e rivederli.
Qui posto solo "il Telefonetto", per titillare curiosità, poi il viandante di turno decida per il meglio e per il futuro: https://www.youtube.com/watch?v=romlySmAq5o
Ma non è esattamente di questo che mi premeva dire, piuttosto di una fatica cinematografica che probabilmente rappresenta anche il più grande fallimento al botteghino della storia: poco più di 200 euro versati da complessivi 48 spettatori (fonte: il dizionario del cinema, Frassinelli, 2004) nell'avventuroso passaggio in sala voluto da qualche eroe rivoluzionario consapevole del bagno di sangue cui andava incontro.
Girato nel 2002 e divenuto lungometraggio da 74 minuti, "Delitto sul Po" era nato inizialmente come sceneggiato, composto da puntate di 30 secondi.
La scansione però, anche tirata sul lungo, rimane quella originaria, con ogni miniblocco separato dall'altro da un nero di cinque secondi.
Non c'è sceneggiatura di partenza, anzi la storia prende forma direttamente al montaggio, tutti gli "attori" sono doppiati da Rezza stesso, l'obiettivo della macchina è nastrato sopra e sotto per simulare l'effetto cinemascope: è un delirio iconoclasta di fascino malsano, quel tipo di cose weird alle quali rimango regolarmente attaccato come una mosca alla cacca.
Non sto a parlare della trama, perché quella c'è ma conta poco o nulla, è una pura formalità di cui ci si dimentica in men che non si dica.
Sia chiaro, il film è quasi insostenibile, rende "2001" un'opera di scorrevole fruizione per dire, ma io conservo la sua vhs originale gelosamente, come una reliquia, guardandomi bene dal proporne una visione collettiva che superi i dieci minuti a chicchessia, almeno non prima di aver verificato la tenuta a certi spettacoli inusuali dei prescelti facendogli visionare in modalità Cura Ludovico: Freaks di Browning, Popeye di Altman con Robin Williams e Ratataplàn di Nichetti.
Delitto sul Po chiede dedizione e mente riposata, voglia di non prendersi troppo sul serio e desiderio di sperimentare modalità espressive alternative ad Amici o X Factor.
Con tutto il bene che si può dire di chi non perde una puntata né dell'uno né dell'altro, sia chiaro.
In uno dei miei sogni proibiti rivestivo il ruolo di potente direttore di rete con poteri illimitati, e dopo aver riformato il palinsesto spostavo Maria DeFilippi e Barbara D'Urso in seconda serata ad interpretare scene lesbo per anziani, promuovendo Rezza e Mastrella a direttori artistici di Canale 5 con libertà d'azione.
Una frase tratta dall'opera, una a caso ma pregna di significato per chiudere il post:
Molti mi chiedono a che età ho avuto il primo rapporto sessuale. Molti mi chiedono a che età ho avuto l'ultimo. Io mi ricordo solo che eravamo in quaranta.
domenica 1 maggio 2016
venerdì 22 aprile 2016
A volte nevica (in aprile)
Non so perché, ma quando mi ripenso giovane la prima immagine che viene è di me col vento tra i capelli.
Come se allora tirasse vento tutti i giorni.
Mah.
La seconda è l'estate del 1987.
Non tutta, solo un pezzo, piccolo, in giugno, solo i giorni che separavano il concerto di Prince da quello di Bowie.
Non so perché, ma quando penso all'estate l'estate è quei giorni là; né prima né dopo: quelli.
E da ieri l'estate è finita, visto che il Principe ha pensato bene di lasciarci anche lui come già il Duca.
Pare un filo riduttivo, perché di cose poi ne sono seguite in abbondanza, ma la sensazione di termine di qualcosa è nettissima, come se fosse scesa una serranda.
Poi c'è che vedendo Fargo (seconda stagione), la faccenda dell'ufo mi ha entusiasmato al punto da inserire un coccodrillo nell'ultimo tassello della mia trilogia milanese.
Quelle cose che c'entrano niente con il resto, ma nelle quali il resto è talmente forte, valido e ben congegnato da renderle valore aggiunto di una storia.
Vediamo se ci riesco o viene fuori una cagata.
Dove e perché lo scoprirà chi vorrà, prima dovrei finire di scriverlo e consegnarlo allo svogliato, microscopico editore perché esca per la fine dell'anno però, e con tutti questi lutti non ho troppa voglia di scrivere.
In realtà è che sto mettendo a punto storie per bambini ed è un casino, perché io scrivo dritto ed asciutto per gli adulti, mi viene così e lavoro affinché quel tipo di narrazione sia sempre più dritta ed asciutta, ma 'sti bambini del cazzo vogliono forme più morbide e rassicuranti (almeno questo dicono quelle gran teste di minchia delle case editrici, e finché non avrò ragione di una di loro avranno buon gioco con le loro teorie del menga) e quindi passare in continuazione da un registro all'altro è impegnativo.
Però il tentativo di essere pubblicato dall'editoria per ragazzi è anche stimolante, è una sfida divertente, mi piace, nonostante la mole di porte in faccia ricevute finora, ed è una di quelle situazioni nelle quali se riesci, poi, di sassolini da estrarre dalla scarpa e tirare in testa a qualcuno ne avrai tanti.
Attendo quella povera soddisfazione con ansia, perché io sono gretto e meschino, poche balle, e godo di queste piccinerie.
E poi ho anche visto la sequenza di lotta più bella della storia, al pari solo di quella di Old Boy che sembra una striscia disegnata, ripresa com'è con un carrello laterale.
La scena è in Daredevil (prima stagione), serie che ho succhiato da Netflix con metodi truffaldini, stante la mia indigenza permanente, seconda o terza puntata e comincia da qui, con un piano sequenza magistrale:
Non scrivo "fidatevi", perché se c'è un momento in cui non mi fido è quando qualcuno lo scrive in coda ad una sua affermazione, però fatelo.
Matt pesta dei sedicenti russi con una grazia violenta e realistica commovente.
Guardo fuori, c'è il sole.
Anche in questo aprile non nevicherà.
Come se allora tirasse vento tutti i giorni.
Mah.
La seconda è l'estate del 1987.
Non tutta, solo un pezzo, piccolo, in giugno, solo i giorni che separavano il concerto di Prince da quello di Bowie.
Non so perché, ma quando penso all'estate l'estate è quei giorni là; né prima né dopo: quelli.
E da ieri l'estate è finita, visto che il Principe ha pensato bene di lasciarci anche lui come già il Duca.
Pare un filo riduttivo, perché di cose poi ne sono seguite in abbondanza, ma la sensazione di termine di qualcosa è nettissima, come se fosse scesa una serranda.
Poi c'è che vedendo Fargo (seconda stagione), la faccenda dell'ufo mi ha entusiasmato al punto da inserire un coccodrillo nell'ultimo tassello della mia trilogia milanese.
Quelle cose che c'entrano niente con il resto, ma nelle quali il resto è talmente forte, valido e ben congegnato da renderle valore aggiunto di una storia.
Vediamo se ci riesco o viene fuori una cagata.
Dove e perché lo scoprirà chi vorrà, prima dovrei finire di scriverlo e consegnarlo allo svogliato, microscopico editore perché esca per la fine dell'anno però, e con tutti questi lutti non ho troppa voglia di scrivere.
In realtà è che sto mettendo a punto storie per bambini ed è un casino, perché io scrivo dritto ed asciutto per gli adulti, mi viene così e lavoro affinché quel tipo di narrazione sia sempre più dritta ed asciutta, ma 'sti bambini del cazzo vogliono forme più morbide e rassicuranti (almeno questo dicono quelle gran teste di minchia delle case editrici, e finché non avrò ragione di una di loro avranno buon gioco con le loro teorie del menga) e quindi passare in continuazione da un registro all'altro è impegnativo.
Però il tentativo di essere pubblicato dall'editoria per ragazzi è anche stimolante, è una sfida divertente, mi piace, nonostante la mole di porte in faccia ricevute finora, ed è una di quelle situazioni nelle quali se riesci, poi, di sassolini da estrarre dalla scarpa e tirare in testa a qualcuno ne avrai tanti.
Attendo quella povera soddisfazione con ansia, perché io sono gretto e meschino, poche balle, e godo di queste piccinerie.
E poi ho anche visto la sequenza di lotta più bella della storia, al pari solo di quella di Old Boy che sembra una striscia disegnata, ripresa com'è con un carrello laterale.
La scena è in Daredevil (prima stagione), serie che ho succhiato da Netflix con metodi truffaldini, stante la mia indigenza permanente, seconda o terza puntata e comincia da qui, con un piano sequenza magistrale:
Non scrivo "fidatevi", perché se c'è un momento in cui non mi fido è quando qualcuno lo scrive in coda ad una sua affermazione, però fatelo.
Matt pesta dei sedicenti russi con una grazia violenta e realistica commovente.
Guardo fuori, c'è il sole.
Anche in questo aprile non nevicherà.
lunedì 22 febbraio 2016
L'intestino di Giulia è felice
Mi hanno regalato questo libro:
:
L'ho affrontato senza sospetti, ridacchiando per l'impostazione e rompendomene le balle dopo venti pagine.
Poi però approfondisco la cosa e scopro che Giulia Enders, che lavora in campo medico e ne è l'autrice, in Germania ha venduto una milionata di copie del libro in questione.
Allora smetto di ridere e ci rifletto un po' su.
La ragazza, la vedete, si pone acqua e sapone, quasi adolescenziale e la scrittura riflette questa impostazione.
Il libro parla di merda, tutto il tragitto che questa fa dalla bocca al water, però, appunto con stile gné gné, ammiccante, tipo chiamare le feci "cacca" tutto il tempo e i vari organi interni in mille modi simpatici, buffi, ruffiani.
C'è anche quella che chiama "la scala di Bristol", pare codificata nel 1997, con l'analisi dei vari tipi di cacca, così che il lettore possa alzarsi dalla tavoletta, guardare in basso e cercare il suo gruppo di appartenenza senza timore.
Indubbiamente un'operazione meritoria per quanto riguarda la divulgazione, si parla dell'intero ciclo digestivo, dei disturbi (sotto forma di intolleranze a questo e quello) e degli attori di tutto il processo con parole semplici ed alla portata di tutti.
Però, mi chiedo, è mai possibile vendere un milione di copie di questa roba?
Perché?
In fondo si tratta di un libro che parla dell'intestino.
Stop.
Certo, ci sono i simpatici disegni della sorella di Giulia, Jill, a corredo, ma non credo che la cosa sia dirimente, no?
Un milione di copie di un libro che parla dell'intestino, di una storia che non c'è.
Come può svilupparsi un passaparola abbastanza potente da far volare le vendite in questo modo?
Mi sarei aspettato, dopo averlo letto, che esaurito lo zoccolo duro dei salutisti e degli impallinati del bio e del ritorno alla naturalità la cosa si arrestasse, perché dopo tre capitoli che mi descrivono i villi intestinali e la peristalsi, anche con tutte le paroline simpa che vuoi, uno prenda e lo metta via, magari senza nemmeno finirlo... invece no, a quanto pare.
E per me è un mistero, più ancora delle sfumature di grigio o nero, perché è si scritto molto meglio di quelli, ma parla di un argomento che dire "di nicchia" è fargli un complimento.
Però è così.
Se ne ricava, ma questa è una certezza che molti già conoscono, che riuscire in un campo qualsiasi, che sia quello letterario o quello che volete voi è legato ad una serie di fattori così impalpabili, così imponderabili da autorizzare a dire una parola che li riassume e racchiude tutti: CULO.
Questa la lezione che, per l'ennesima volta, ci viene impartita: nella vita ci vuole culo, e senza il culo non si va lontanissimo.
Magari un po' più distante di altri, ma certo non molto lontano.
Quindi sforzatevi sì, qualsiasi cosa facciate, ma non fatevene una malattia: senza la botta di, c'è poco da fare guys.
Proooot.
:

L'ho affrontato senza sospetti, ridacchiando per l'impostazione e rompendomene le balle dopo venti pagine.
Poi però approfondisco la cosa e scopro che Giulia Enders, che lavora in campo medico e ne è l'autrice, in Germania ha venduto una milionata di copie del libro in questione.
Allora smetto di ridere e ci rifletto un po' su.
La ragazza, la vedete, si pone acqua e sapone, quasi adolescenziale e la scrittura riflette questa impostazione.
Il libro parla di merda, tutto il tragitto che questa fa dalla bocca al water, però, appunto con stile gné gné, ammiccante, tipo chiamare le feci "cacca" tutto il tempo e i vari organi interni in mille modi simpatici, buffi, ruffiani.
C'è anche quella che chiama "la scala di Bristol", pare codificata nel 1997, con l'analisi dei vari tipi di cacca, così che il lettore possa alzarsi dalla tavoletta, guardare in basso e cercare il suo gruppo di appartenenza senza timore.
Indubbiamente un'operazione meritoria per quanto riguarda la divulgazione, si parla dell'intero ciclo digestivo, dei disturbi (sotto forma di intolleranze a questo e quello) e degli attori di tutto il processo con parole semplici ed alla portata di tutti.
Però, mi chiedo, è mai possibile vendere un milione di copie di questa roba?
Perché?
In fondo si tratta di un libro che parla dell'intestino.
Stop.
Certo, ci sono i simpatici disegni della sorella di Giulia, Jill, a corredo, ma non credo che la cosa sia dirimente, no?
Un milione di copie di un libro che parla dell'intestino, di una storia che non c'è.
Come può svilupparsi un passaparola abbastanza potente da far volare le vendite in questo modo?
Mi sarei aspettato, dopo averlo letto, che esaurito lo zoccolo duro dei salutisti e degli impallinati del bio e del ritorno alla naturalità la cosa si arrestasse, perché dopo tre capitoli che mi descrivono i villi intestinali e la peristalsi, anche con tutte le paroline simpa che vuoi, uno prenda e lo metta via, magari senza nemmeno finirlo... invece no, a quanto pare.
E per me è un mistero, più ancora delle sfumature di grigio o nero, perché è si scritto molto meglio di quelli, ma parla di un argomento che dire "di nicchia" è fargli un complimento.
Però è così.
Se ne ricava, ma questa è una certezza che molti già conoscono, che riuscire in un campo qualsiasi, che sia quello letterario o quello che volete voi è legato ad una serie di fattori così impalpabili, così imponderabili da autorizzare a dire una parola che li riassume e racchiude tutti: CULO.
Questa la lezione che, per l'ennesima volta, ci viene impartita: nella vita ci vuole culo, e senza il culo non si va lontanissimo.
Magari un po' più distante di altri, ma certo non molto lontano.
Quindi sforzatevi sì, qualsiasi cosa facciate, ma non fatevene una malattia: senza la botta di, c'è poco da fare guys.
Proooot.
domenica 7 febbraio 2016
Trapezio
Le associazioni spontanee che il cervello fa sono sempre degne di attenzione.
Ad esempio, oggi, reduce da una visita al Mudec, me ne torno a casa con una foto nel cellulare.
La foto è questa:

Si tratta di una statuina di legno, africana.
A parte tutto ciò che di lei si poteva dire, a me della sua africanità interessava poco.
Quel che più mi colpiva era qualcosa che l'oggetto aveva messo in moto ai piani alti, quelle cose, appunto, che il cervello si mette ad elaborare quasi di nascosto, mentre manda avanti la baracca e sovrintende a tutto il resto, salvo poi risputarti fuori l'argomento quando ha deciso cosa farci.
In sostanza la postura mi ricordava qualcosa di ben più europeo e contemporaneo che inizialmente non focalizzavo.
Poi ecco la luce:

Il tipo fotografato sul retro di Transformer, album del...boh 73? di Lou Reed.
La sbandata glam di Lou Reed per precisare, quando lui, truccato da Ziggy in persona, si presentava con zeppe, ombretto e unghie dipinte di nero.
I pezzi inclusi, che lì potete vedere, vi danno la misura dell'opera.
E la foto, quella della minchia del soggetto, invero atomica.
Tutto soddisfatto dell'intuizione mi dispongo ad accendere la Playstation, salvo poi sentire che il parto non é concluso, forse un gemello?
Sì, perché subito mi viene il pensiero di un'altra immagine, questa:

Che è invece la copertina di The Idiot, Iggy Pop anno '77.
Posizione assimilabile al minchiuto e quindi alla statuina apotropaica, ma anche legata in qualche modo a Lou Reed attraverso Bowie, che, non pago di creare quel che creava per sé, aveva pure prodotto il lavoro di Reed e addirittura scritto questo per l'Iguana...
Dico addirittura perché, nel secondo caso, in quel 1977, il Duca Bianco ebbe la forza creativa sufficiente per comporre Low, Heroes, The idiot e pure Lust For Life, sempre per Pop.
Come ci sia riuscito non lo so, ma giustifica pienamente quello che il mondo ha detto di lui dopo che se ne è andato a gennaio.
Ma, dato che le contrazioni continuavano, ho riaperto le gambe e ho spinto, per vedere cosa ancora dovevo partorire:

Questo.
Notate analogie con la copertina di The Idiot?
Esatto, si ispira a questo dipinto di Erich Heckel che si intitola Roquairol, dei primi anni del novecento, figlio di un movimento, l'espressionismo tedesco, che ha segnato pittura, cinema, grafica e chissà cos'altro.
Questa faccenda di trovare un aggancio tra cose diverse mi ha fatto visualizzare fugacemente un trapezio, che deve essere afferrato al volo per non cadere di sotto e continuare le evoluzioni, esattamente come si afferra un pensiero per la coda scoprendo che si porta appiccicati addosso altri pensieri, altri mondi.
A questo serve leggere, brutti stronzi che non lo fate, a conoscere più cose del mondo e a stupirsene, e goderne, e a sentirsi meno di passaggio, meno precari in questo nonsense che viviamo.
Uhm... trapezio pensavo... trapezio... e di nuovo una contrazione:

Voilà, Trapezio: Renatone anno 1976, terzo album della carriera, che ha, guarda caso, punti di contatto col resto del discorso fatto, non foss'altro per il fatto che allora il suo travestitismo era stato accostato proprio al glam di Bowie del '72-'73 (con anni di ritardo, ma siamo italiani, non scordiamolo mai).
Basta, credo.
Il filone mi pare si esaurisca qui.
Certo che se una singola statuina fa questo effetto, chissà cosa può sortire una statuona?
Ad esempio, oggi, reduce da una visita al Mudec, me ne torno a casa con una foto nel cellulare.
La foto è questa:

Si tratta di una statuina di legno, africana.
A parte tutto ciò che di lei si poteva dire, a me della sua africanità interessava poco.
Quel che più mi colpiva era qualcosa che l'oggetto aveva messo in moto ai piani alti, quelle cose, appunto, che il cervello si mette ad elaborare quasi di nascosto, mentre manda avanti la baracca e sovrintende a tutto il resto, salvo poi risputarti fuori l'argomento quando ha deciso cosa farci.
In sostanza la postura mi ricordava qualcosa di ben più europeo e contemporaneo che inizialmente non focalizzavo.
Poi ecco la luce:

Il tipo fotografato sul retro di Transformer, album del...boh 73? di Lou Reed.
La sbandata glam di Lou Reed per precisare, quando lui, truccato da Ziggy in persona, si presentava con zeppe, ombretto e unghie dipinte di nero.
I pezzi inclusi, che lì potete vedere, vi danno la misura dell'opera.
E la foto, quella della minchia del soggetto, invero atomica.
Tutto soddisfatto dell'intuizione mi dispongo ad accendere la Playstation, salvo poi sentire che il parto non é concluso, forse un gemello?
Sì, perché subito mi viene il pensiero di un'altra immagine, questa:

Che è invece la copertina di The Idiot, Iggy Pop anno '77.
Posizione assimilabile al minchiuto e quindi alla statuina apotropaica, ma anche legata in qualche modo a Lou Reed attraverso Bowie, che, non pago di creare quel che creava per sé, aveva pure prodotto il lavoro di Reed e addirittura scritto questo per l'Iguana...
Dico addirittura perché, nel secondo caso, in quel 1977, il Duca Bianco ebbe la forza creativa sufficiente per comporre Low, Heroes, The idiot e pure Lust For Life, sempre per Pop.
Come ci sia riuscito non lo so, ma giustifica pienamente quello che il mondo ha detto di lui dopo che se ne è andato a gennaio.
Ma, dato che le contrazioni continuavano, ho riaperto le gambe e ho spinto, per vedere cosa ancora dovevo partorire:

Questo.
Notate analogie con la copertina di The Idiot?
Esatto, si ispira a questo dipinto di Erich Heckel che si intitola Roquairol, dei primi anni del novecento, figlio di un movimento, l'espressionismo tedesco, che ha segnato pittura, cinema, grafica e chissà cos'altro.
Questa faccenda di trovare un aggancio tra cose diverse mi ha fatto visualizzare fugacemente un trapezio, che deve essere afferrato al volo per non cadere di sotto e continuare le evoluzioni, esattamente come si afferra un pensiero per la coda scoprendo che si porta appiccicati addosso altri pensieri, altri mondi.
A questo serve leggere, brutti stronzi che non lo fate, a conoscere più cose del mondo e a stupirsene, e goderne, e a sentirsi meno di passaggio, meno precari in questo nonsense che viviamo.
Uhm... trapezio pensavo... trapezio... e di nuovo una contrazione:

Voilà, Trapezio: Renatone anno 1976, terzo album della carriera, che ha, guarda caso, punti di contatto col resto del discorso fatto, non foss'altro per il fatto che allora il suo travestitismo era stato accostato proprio al glam di Bowie del '72-'73 (con anni di ritardo, ma siamo italiani, non scordiamolo mai).
Basta, credo.
Il filone mi pare si esaurisca qui.
Certo che se una singola statuina fa questo effetto, chissà cosa può sortire una statuona?
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venerdì 29 gennaio 2016
Lobstros
Una delle gioie più violente della mia vita è stata, una mattina piuttosto presto che era Natale, alzarmi dal letto, sentire la moquette meno ruvida di quanto fosse per l'euforia, accendere la luce e osservare la piccola distesa di pacchi sotto l'albero.
Stranezza vuole che anche una delle delusioni più cocenti sia legata al Natale, cioè passarlo in ospedale (l'ultimo, per inciso), ché a me di stare a casa a vedere Eddie Murphy in poltrona per l'ennesima volta piace assai e mi è pesato perderlo per stare lì con un drenaggio addosso.
Comunque, giudico che quella grande felicità appartenga al triennio '79-'81, i natali migliori perché nella fascia magica in cui hanno convissuto la consapevolezza che i desiderata passano dalla porta e non dal camino e l'amore per il gioco non ancora travolto da quello per la figa.
Comunque, quella mattina scarto e trovo il Baron Karza, il capo degli Evil Acroyear diceva la scatola, e il Force Commander, quell'altro.
Tutti e due facevano parte della linea dei Micronauti ed io, come la stragrande maggioranza dei bambini dell'epoca ad essi anelavo.
Mi ricordo ancora esattamente quanti e quali possedevo, menzione d'onore per il Terraphant e l'Hornetroid ma soprattutto l'Ampzilla, con cui sterminavo i nemici in sanguinosi combattimenti.
Cazzo, l'Ampzilla che nostalgia.
Chissà dove e quando è sparito, magari schiacciato magari no, boh, fatto sta che qualche tempo fa, in un afflato di stronzaggine ne ho digitato il nome su Ebay, quasi vergognandomi, per capire se ci fosse la possibilità di mettermene di nuovo uno sul comodino insieme al Viagra.
Bum.
Il passato è ritornato prendendomi a sganassoni; tutti quei nomi, quei personaggi erano lì in attesa, pronti a saltare di nuovo fuori e prendermi per il collo: li rivolevo tutti!
E l'Ampzilla, il dinosauro a rotelle, è uno dei pezzi più ambiti che spunta quotazioni scandalose.
Il mio comodino rimarrà quindi orfano ancora per molto, ma in compenso ho scoperto l'esistenza del Lobstros!
Ecco il perchè del titolo; un granchione rosso mattone che sarebbe dovuto essere pilotato da Lobros (che fantasia) che io avevo e che potete intravedere sdraiato nella creatura (proveniente dal lontano pianeta Hydra, apprendo dalla scatola).
Potete immaginare la mia espressione in quel momento di scoperta.
Allora le possibilità di informarsi erano confinate alle pagine dei cataloghi, a quelle di Topolino (che non leggevo) o direttamente alle vetrine dei negozi.
In nessuno dei tre casi avevo avuto notizia della sua esistenza, e il potere della scoperta, seppure fatta a quarantacinque anni ha avuto lo stesso sapore di quelle di allora: lo voglio!
Peccato che si tratti del pezzo in assoluto più ricercato dai collezionisti di cose Micronaute e come tale sia irraggiungibile; anzi meglio, perché questa mia triste reazione bambina va punita e ripunita.
Il Lobstros... ma pensa a scrivere qualcosa che venda, cretino.
p.s.
Se però, beninteso, qualche fan volesse, anziché inviarmi un paio di mutandine, spedirmi un Lobstros io mi sentirei di accettare.
Stranezza vuole che anche una delle delusioni più cocenti sia legata al Natale, cioè passarlo in ospedale (l'ultimo, per inciso), ché a me di stare a casa a vedere Eddie Murphy in poltrona per l'ennesima volta piace assai e mi è pesato perderlo per stare lì con un drenaggio addosso.
Comunque, giudico che quella grande felicità appartenga al triennio '79-'81, i natali migliori perché nella fascia magica in cui hanno convissuto la consapevolezza che i desiderata passano dalla porta e non dal camino e l'amore per il gioco non ancora travolto da quello per la figa.
Comunque, quella mattina scarto e trovo il Baron Karza, il capo degli Evil Acroyear diceva la scatola, e il Force Commander, quell'altro.
Tutti e due facevano parte della linea dei Micronauti ed io, come la stragrande maggioranza dei bambini dell'epoca ad essi anelavo.
Mi ricordo ancora esattamente quanti e quali possedevo, menzione d'onore per il Terraphant e l'Hornetroid ma soprattutto l'Ampzilla, con cui sterminavo i nemici in sanguinosi combattimenti.
Cazzo, l'Ampzilla che nostalgia.
Chissà dove e quando è sparito, magari schiacciato magari no, boh, fatto sta che qualche tempo fa, in un afflato di stronzaggine ne ho digitato il nome su Ebay, quasi vergognandomi, per capire se ci fosse la possibilità di mettermene di nuovo uno sul comodino insieme al Viagra.
Bum.
Il passato è ritornato prendendomi a sganassoni; tutti quei nomi, quei personaggi erano lì in attesa, pronti a saltare di nuovo fuori e prendermi per il collo: li rivolevo tutti!
E l'Ampzilla, il dinosauro a rotelle, è uno dei pezzi più ambiti che spunta quotazioni scandalose.
Il mio comodino rimarrà quindi orfano ancora per molto, ma in compenso ho scoperto l'esistenza del Lobstros!
Ecco il perchè del titolo; un granchione rosso mattone che sarebbe dovuto essere pilotato da Lobros (che fantasia) che io avevo e che potete intravedere sdraiato nella creatura (proveniente dal lontano pianeta Hydra, apprendo dalla scatola).
Potete immaginare la mia espressione in quel momento di scoperta.
Allora le possibilità di informarsi erano confinate alle pagine dei cataloghi, a quelle di Topolino (che non leggevo) o direttamente alle vetrine dei negozi.
In nessuno dei tre casi avevo avuto notizia della sua esistenza, e il potere della scoperta, seppure fatta a quarantacinque anni ha avuto lo stesso sapore di quelle di allora: lo voglio!
Peccato che si tratti del pezzo in assoluto più ricercato dai collezionisti di cose Micronaute e come tale sia irraggiungibile; anzi meglio, perché questa mia triste reazione bambina va punita e ripunita.
Il Lobstros... ma pensa a scrivere qualcosa che venda, cretino.
p.s.
Se però, beninteso, qualche fan volesse, anziché inviarmi un paio di mutandine, spedirmi un Lobstros io mi sentirei di accettare.
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giovedì 21 gennaio 2016
Turpe vecchiezza
Così la chiamava D'Annunzio, e se lo diceva uno che secondo la vulgata s'era fatto togliere una costola per potersi spompinare... ah, la vulgata.
La vulgata è veramente uno schifo.
Col tempo si è distillata in "gossip", così come molte altre cose che, com'è come non è, adesso vanno pronunciate in inglese, che sì, sarà l'originale però... perchè?
Una volta leggevo i Vendicatori e l'Uomo Ragno, adesso al cinema o dico "Avengers" e "SpiderMan" oppure non mi staccano il biglietto.
Sui fumetti idem.
Vuoi vedere che devo cominciare a farmi chiamare Alexander?
Che poi Alessandro Belloni come potrebbe diventare?
Alex Prettiest?
Mi piace, peccato che il titolo del post è già "turpe vecchiezza" altrimenti ci avrei visto bene 'sto Alex Prettiest.
Chissà che provando a proporre qualche manoscritto con quel nome straniero non sortisca migliore effetto che col mio tristo originale.
Proverò.
Però il titolo è per altro: da poco sono reduce dalla visione di Guerre Stellari (pardon: Star Wars), un'ora o poco più.
"E allora?" direte, ormai l'hanno visto già tutti il film.
Esatto, è proprio questo il nodo: pellicola uscita il 16 di dicembre che io, per motivi meramente fisici ho potuto vedere solo stasera, ad un pelo dalla sua discesa dal cartellone.
Pallottoliere alla mano ho trascorso dal 10 di dicembre un totale di quattordici giorni in ospedale (Natale compreso) ed altrettanti a casa semi allettato.
Un po' questo, un po' quello, per non annoiarmi, un campionario completo sul disfacimento fisico in atto che spero non sia ancora irreversibile.
Da qui il titolo, ma la magia, nonostante 'sta turpitudine, c'è stata ancora.
Filtrata, ridimensionata, compressa ma c'è stata.
Una lacrima interiore però l'ho versata, perché questa riproposizione in scala maggiore dello stesso concetto (tra il primo Guerre e questo non c'è poi questa gran differenza di plot) ha evidenziato l'enorme sproporzione di queste due ore nel buio della sala su di me ora e su di me (all)ora.
Me lo ricordo perfettamente quel pomeriggio al Cinema Manzoni di Milano nel 1977: il cartellone con Skywalker e la spada sollevata sopra la testa, il salone gremito, le scale e la massa di spettatori che le salivano diretti in sala, poi il buio.
Due ore che non ho mai più dimenticato, un viaggio fantastico in uno Spazio finalmente reale nella sconfinata grandezza dello schermo cinematografico, uno shock per quel settenne che ero, che avrei poi rinforzato con i giocattoli dei personaggi e dei mezzi del film.
Quando in cameretta facevo volare il mio Millennium Falcon di plastica tornavo là dentro, in quel buio magico e straordinario.
Questa sera no, ho goduto compostamente di quel che vedevo e sono uscito soddisfatto.
Ecco quello che perdiamo nel viaggio, anche quando ci sforziamo di mantenere vivo il bambino che c'era, da qualche parte, dentro.
La magia.
D'Annunzio ci aveva preso in pieno, ecco perchè aveva pensato di ovviare autociucciandoselo.
Ammesso che la vulgata... ecc.ecc.
lunedì 18 gennaio 2016
Brevi rabbiosi brainstorming
L'idea è arrivata.
Come sempre succede l'ha fatto dalla direzione che non ti aspettavi, come quando ti scontri con qualcuno che non hai visto nello specchietto:
- Ma veniva da lì?
- No, da là.
Il nome dell'untore verrà celato sotto pseudonimo, acciocché egli venga protetto dal torchio del successo, e lo stabiliamo qui ed ora in "Il Rude Evin".
Orbene, il Rude Evin che da un po' la remenava (neologismo meneghino che sta per "riproponeva esercitando educata ma costante pressione") svolge un delicato mestiere di contatto.
Contatto umano, quello della peggior specie, quello nel quale si discutono questioni di vita quotidianissima, lavando panni sporchi e regolando conti a viso aperto in fredde stanze illuminate da freddi neon.
Comunque, l'idea del Rude Evin ha messo in moto la mia e quindi ecco concepito il feto di quel che sarà l'ultimo tassello della trilogia milanese, iniziata con "Annegando Milano" e proseguita con "Le ragioni del colon".
Come al solito ho già il titolo prima ancora di capire da che parte andrà la storia: "La moglie dell'amministratore".
Odio, grettezza, un cadavere ammazzato male (quanto male? Suggerite pure), gente che fa e che disfa, gente che scopa (quanto scopa? Suggerite pure), varie ed eventuali.
Tutto il baraccone insomma.
Non ho scritto ancora una riga, le parti vanno densificando in testa al momento, quindi penso che troverete il libro sullo scaffale pronto alla vendita per il prossimo novembre, direi.
Contenti?
Non contenti?
Testimonierò convenientemente la gestazione con ecografie del manoscritto.
Le troverete sulla pagina Facebook e Instagram del sottoscritto a partire da tra un po'.
L'idea è di partire dal coito e proseguire fino all'università del nascituro, cioè il primo rendiconto di vendita fornito dalle librerie, sei od otto mesi dopo la pubblicazione.
Mi piace, spero anche a voi.
Altrimenti va bene lo stesso.
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