lunedì 2 dicembre 2013

Alto, moro e spinàceo.

A Milano stanno venendo su dei grattacieli.
L'immagine qui sotto rende l'idea di come sarà tra un po' guardare in quella direzione.

 
Mi si è detto che l'anello è fuori moda: mi chiudo in uno sdegnoso silenzio.
Edifici di 150, 180, 200, millemila metri (quello alto un miglio sognato da Wright però ancora nessuno l'ha realizzato).
E chi andrà ad occuparli si sentirà senz'altro un po' speciale, lì nel grattacielo tutto storto e tecnologico.
Ma pensa a chi va a finire ai piani bassi.

- Stai nel grattacielo?
- Sì.
- Bello! Com'è il panorama?
- Mah... non so... sono al terzo piano...

Capito il dramma?
C'è pieno  di frustrati in giro per il mondo che la mattina o la sera entrano in un grattacielo ma si fermano ai piani bassi, sotto a quello che nella casa popolare stende le mutande sul filo.
O quelli che vedono passare una banda musicale fuori dalla finestra della cucina, ma stanno usando un frullatore e quindi quel che sentono è solo il frullatore e non la musica.
La vità è bella perché riserva sempre questi momenti di somma ironia, se siete in grado di riconoscerli ed apprezzarli.
Come Nanof per esempio.
Oreste Fernando Nannetti era in grado di farlo in quanto dotato di una sensibilità diversa che filtrava le banalità quotidiane per noi così importanti e gli permetteva di abbeverarsi alla fonte delle cose.
Ospite per quasi tutta la sua vita di ospedali psichiatrici (prevalentemente a Volterra, ottimo posto per essere internato aggiungo) Nanof si definiva in molti modi: colonnello astrale, scassinatore nucleare, alto moro e spinàceo (sic).
Era un grande Nanof, talmente grande da essere ricordato come graffitista, pittore, scrittore di fantascienza sperimentale.
Durante la degenza non smise mai di tracciare segni e graffiti sulle pareti dell'istituto servendosi della fibbia dei pantaloni, più di duecento metri di storie incredibili, disegni di macchine e robot, messaggi cifrati dall'altrove che qualche illuminato provvide a testimoniare per tutti e per sempre (un ex infermiere, sembra, dopo che la legge Basaglia pose fine alla stagione dei manicomi nel '73).

Particolare di uno dei graffiti. Tutto ciò copre più di 200 metri di parete.

Lo Studio Azzurro lo ha raccontato in un documentario dell'85, "L'osservatorio nucleare del Signor Nanof" che Feltrinelli mi pare abbia incluso in una raccolta di loro corti, qualche tempo fa.
Inutile dire che merita ogni attenzione vogliate dedicargli; del resto uno che scrive frasi come:"grafico metrico mobile della mortalità ospedaliera 10% per radiazioni magnetiche teletrasmesse 40% per malattie varie trasmesse o provocate 50% per odi e rancori personali provocati o trasmessi" è accostabile per libertà espressiva ad un futurista come Marinetti, ad un cutupparo come Burroughs, ad un beat come Kerouac.
Solo che questi stavano fuori dal manicomio. 
Del resto spesso, anzi molto spesso, il genio è secreto da anime disturbate, quasi che il disturbo stesso sia un prerequisito, un amplificatore di capacità, uno sciroppo rosa contro il virus della vita quotidiana.
Non mi tirerete dentro una discussione sul tema del genio e della sua natura.
Gente molto migliore di me l'ha già fatto ampiamente.
L'unico contributo che avrete dal MaschioPlastico sull'argomento è puramente istintivo (e visuale), non esaustivo e soprattutto personale.
Cè un dipinto di James Ensor che mi è sempre piaciuto molto perché dà una visione della vita immediata e folgorante.
È questo qui, e si intitola "Cristo entra a Bruxelles".

James Ensor, Cristo entra a Bruxelles 1889



Là nella massa c'è Cristo, si nota dopo un po', ma c'è.
Tra nani, puttane e impiegati del catasto, soldati e gentildonne, porta in giro l'aureola senza che a nessuno apparentemente gliene freghi molto.
Perché infatti siamo tutti particelle di un tutto, con lo stesso peso e lo stesso consumo di ossigeno, una gran baraonda in perenne corsa verso il boh.
Ma qualcuno è Cristo, anche se non lo vediamo e non ce ne frega niente, e lui riesce a scrutare per un attimo nelle feritoie, dietro gli angoli, sotto il tappeto.
Il genio è quell'attimo per me e mi piace pensare che anche Nanof l'avrebbe dipinto così.



venerdì 29 novembre 2013

Niente Supplementari.

Alè, post autocelebrativo in occasione dei primi mille contatti del blog o giù di lì.

Il titolo è quello di un cortometraggio che realizzai nel 2008, scrivendo soggetto e sceneggiatura e poi dirigendolo col supporto del mio compar merendero, il Mida Boghetich (è un nome), che mise a disposizione il suo appartamento da scapolo.
Girammo tutto in due giornate spossanti, cibandoci di pizze fredde (una la si vede in scena col protagonista ed era gelata) e coca cola, dalle dieci di mattina a notte fonda.
Tutto ciò non avrei mai potuto realizzarlo senza l'apporto di un manipolo di splendidi loser come il sottoscritto (anzi no, scusatemi, qui l'unico loser sono io, gli altri sono tutti professionisti compiuti) e per noi Beck ha composto un inno.
L'illustratrice Cristina Raiconi al trucco (di seguito la mia Dolce), Matteo D'Agostini alla fotografia, Daniele Anniverno alla macchina da presa, al montaggio e, occasionalmente, al suono (il fonico sparì dopo il primo giorno fiaccato dalle emorroidi), Enrico a comporre la musichina iniziale, il Maestro Leonelli a far nulla e Fabio Di Dario a recitare.
Zero budget.
E quando intendo zero intendo 0.
Solo l'entusiasmo e la competenza che ognuno si portava dietro.
Risultato: Premio del Pubblico alla quarta edizione del concorso internazionale"Le Trottoir in corto", dove il trofeo ci venne consegnato dalla mano destra di Andrea G.Pinketts (con la sinistra reggeva il sesto mojito) che definì l'opera una "geniale puttanata"...

Visto che non ci credevate... oh Fabio, dato che lo volevi tenere tu, fatti vivo.

... e sfortunato, ma comunque finalista, due mesi dopo nell'I've seen film-International festival .
Mi si conceda un passo indietro, perché su Anniverno e Di Dario devo aprire la parentesi: Daniele lo ringrazio perché ha ripescato i vecchi file e ci ha messo in condizione di rivedere questa chicca e metterla in rete per i posteri, inoltre senza di lui MTV Italia potrebbe chiudere domani e quindi ringraziatelo pure voi.
Fabio è il personaggio che oggi in molti conoscerete per gli sketch a Zelig Off, Zelig prima serata e sarcazzo dove altro, ma allora era solo un attore con non molti capelli che avevo scovato in una  scuola di teatro nella quale ero di passaggio a fare tutt'altro che un casting.
 (Mode puttana On : se sfonda definitivamente in tv e fa magari un film coi Vanzina, da questo corto d'esordio cerco di farci qualche soldo sfruttandone indegnamente l'immagine... Mode puttana Off.)

Ma ora, signore e signori, mettetevi comodi, abbassate le luci e buona visione:
       


NIENTE SUPPLEMENTARI






mercoledì 27 novembre 2013

Bellezza mezza salvezza.

Berlusconi è appena decaduto da Senatore.
Le pasionarie del Pdl, appositamente nerovestite, vanno parlando in diretta tv di "lutto della Democrazia" tralasciando di citare anche il lutto per il loro cervello, della cui dipartita forse non se ne erano accorte visto ciò che stanno dicendo.
Ma  non è di questo che voglio parlare, ma dell'arte che è speranza e della bellezza che è l'unica salvezza del genere umano.
Il pensiero è tanto più forte quanto più guardo quelle lugubri immagini parlamentari.
Io, che mi sento affine al pessimismo cosmico leopardiano anche se teorizzo il Nichilismo Magico (di cui un dì pubblicherò qui il manifesto programmatico tipo Marinetti col Futurismo) rivendico il ruolo educativo (per i giovani), lenitivo (per gli adulti), consolatorio (per tutti gli altri) del Bello.
Il post sullo Zen e lo zen ha già spiegato molto di quel che intendo (andate a leggerlo).
Se già, ed è così, la vita è una specie di pendolo che un po' batte sul dolore e un po' sulla noia solo il Bello può aprire brevi squarci di piacere che ci sollevino almeno un po' al di sopra di 'sta miseria.
Brevi, perché la felicità non può che esserlo, e frequenti, un po' come la dieta equilibrata che prevede pasti leggeri e spesso.
E se lo dicono i dietologi deve essere vero.
Il Bello quindi.
Cercatelo, perseguitelo con tutte le forze, in tutte le sue incarnazioni: dalla statua di marmo al gesto cortese, dalla perfezione del fiore al profumo del basilico.
Aggrappatevi a queste piccole cose,  fatele durare e date loro spazio (libera citazione del sommo Calvino nell'imprescindibile "Le città invisibili") solo così tirerete un giorno il calzino con l'animo pulito di chi la propria parte l'ha fatta.


filare a leggerlo!



Mentre sto scrivendo queste liriche parole mi arriva una mail da questi qua:

Ma chi cazzo siete, chi vi ha dato la mia mail?
Sono astemio per giunta.
delete.

Non so per quale strana associazione di idee, ma  pensando al "bello"mi vengono in mente alcuni esempi di architetture trasparenti, forse perché il bello naturale è quello più semplice da apprezzare e al quale pensare senza doversi sentire carenti di istruzione (sbagliando, perché la bellezza è l'unica vera democrazia esistente).
Una è solo parzialmente trasparente, la sinagoga Beth Sholom di Frank Lloyd Wright (ho visto t-shirts con scritto F.L.Wrong sopra foto di alcune sue architetture crollate che mi hanno fatto ridere assai, se cogliete il gioco), "la montagna di luce", dal cui tetto traslucido il mondo entra leggermente filtrato all'interno dell'ambiente




la Glass House, residenza privata di Philip Johnson, il supremo grattacielista statunitense (che nel celare il cesso dietro l'unico schermo di mattoni denuncia la sua codardia):





e la assai meno blasonata Chiesa di Vetro di Bollate, area metropolitana di Milano:



Se non vedete il nesso tra loro, oppure col tema non preoccupatevi: non c'è.
Non serve.



attenzione:
Ho dovuto mollare la stesura del post alle ore 19.23 per uscire a vedere un film d'animazione bellissimo.
Insieme alla mia Dolce e ad una autrice dai molti nomi e altrettanti progetti in testa abbiamo passato un'oretta e mezza rubata a Leopardi, rubata a Berlusconi, rubata al dolore ed alla noia.
Se voleste provare l'ebbrezza densa di un'esperienza simile individuate la sala della vostra città in cui si proietta questo (se non ci fossero sale cambiate città, quella non vi merita):


Caro Regista Alessandro Rak, non sapevo esistessi. Ora sì e sto un po' meglio.


andateci, e poi fatelo durare e dategli spazio.



Questa sarebbe stata la chiusa alle 19:23...
Adesso però sono le 23:06, quindi la metto in corsivo:

Noto due cose: i politici dicono "intepetrare" anziché "interpretare", ponderosa e paludata versione   del termine ormai in disuso (conformemente a quanto sono loro medesimi) e che, durante gli interventi, intercalano ormai sempre con "e concludo", pronunciato per giustificare il seguente sproloquio cercando di garantirsi più tempo possibile prima di essere interrotti.
Chissà chi ha codificato 'sto stratagemma da poveri disperati che usano tutti quanti da un po'.
È meglio che spenga la tv; anzi metto su un Daitarn3 va: Aran Banjo premier, cazzo!


martedì 26 novembre 2013

Suono, buono.



Questi signori qui sopra, apparentemente, non hanno nulla in comune.
Quello a sinistra si chiama Sean Cassidy, irlandese, è stato agente dell'Interpol, ufficiale della polizia di New York nonché membro degli X-Men col nome di Banshee.
In ossequio al suo nome di battaglia, Banshee era un mutante in grado di volare ed emettere un urlo sonico devastante.
È scomparso in un incidente aereo.
L'altro si chiama Efstràtios Dimitrìu, greco, è stato cantante dei Ribelli nonché voce degli Area col nome di Demetrio Stratos.
Anche Stratos era un mutante, ma a differenza di Banshee non sapeva volare.
L'urlo sonico invece, era lo stesso.
È scomparso a causa di una malattia improvvisa.
Il problema è che se nel primo caso una resurrezione non è esclusa, alla Marvel non si muore mai per molto, nel secondo la cosa è proprio definitiva.
Stratos faceva cose con la voce che nessuno ha mai più ripetuto; lo si può apprezzare nell'artisticamente monumentale parabola degli Area (ascoltateli, please), ma ancor di più nei suoi lavori da solista, sperimentazione pura sul suono, quello buono, prodotto dalle corde vocali.
Io, incuriosito, mi sono procurato tempo fa questi due album
 

il cui ascolto suscita in me opposti stati d'animo.
Trasporto emozionale oppure profondo scassamento di coglioni.
Dipende in massima parte dal tempo atmosferico, perché sono fortemente metereopatico, non certo dal valore dei due lavori.
In perfette giornate novembrine (non quelle farlocche attuali, intendo grigio, foschia e freddo) è una catarsi, con sole e brezzolina profumata una galera.
Per uscirne indenni, per risalire da quelle profondità cerebrali, necessita poi l'ascolto di qualcosa di Fedez o Jake La Furia, al massimo Emma, acqua fresca insomma.  
In "Recitarcantando", Stratos divide il palco di un teatro con Lucio Fabbri: voce, violino e stop. 
Interessante l'impasto, anzi affascinante, ma mai come "Cantare la voce", che si compone di puri esercizi fonetici: diplofonie, triplofonie, melodie infantili (che sono anche i titoli stessi dei "pezzi").
Spesso i suoni che il cantante produce sconfinano nel "non umano", non c'è altro modo di dirlo, ma vanno ineffabilmente a titillare zone del cervello che a questi stimoli rispondono in qualche modo.
Stratos era un virtuoso del suo strumento (un po' come Siffredi qualche anno dopo), che spingeva ai limiti espressivi grazie allo studio della sua fisiologia e a quello, ferreo, di materiali sonori tra i più disparati, melodie e canti popolari asiatici antichi e moderni, musica "colta"europea, jazz americano.
Tutto ciò fu reso possibile da Demetrio ovviamente, ma anche dalla benemerita Cramps Records






etichetta milanese nata nel '72 che aveva un catalogo eccezionale per qualità, quantità e coraggio (Area, Pfm, Cage, Stratos...), defunta, risorta trent'anni dopo ( ed io è lì che mi inserii coi miei acquisti on line, meritandomi due pins gadget ), ridefunta ed ora di proprietà Sony (quindi zombie).
Per quei casi della vita, Stratos non era l'unico ad emettere suoni melodiosi, una sua omonima riuscì  a fare altrettanto: era un'auto e la costruiva la Lancia

La mano è dell'autore. Il modello è della Kyosho.

 
La macchina, qui ritratta nella sua più classica incarnazione, in livrea Alitalia equipaggio Munari- Maiga Campione del Mondo Rallye '77, è quel che si dice un'opera d'ingegno, una di quelle davanti alle quali io mi scappello (doppiamente).
È uno dei non rari esempi, in tutti i campi, di quel che gli italiani riescono a fare quando si affidano alla creatività lasciando fuori ipocrisia, meschineria, codardìa, arroganza, ignoranza, supponenza, presunzione, prevaricazione... insisto?
Insomma, la cosiddetta "furbizia italica" (che raccoglie tutte le definizioni precedenti), quella che mi costringe a dominarmi dal menare gran fendenti sul viso del genitore che dice al figlio in pieno imprinting: "fatti furbo". 
Cane/cagna! Così lo rovini! A lui e a noi! Non deve essere furbo, deve essere tonto piuttosto!!!!!
Scusate, ho perso il controllo.
La Stratos quindi, una roba che non s'era mai vista prima, concepita distillando l'ardita Zero di Bertone (genio), miscelandola con meccanica Ferrari (genio) lasciata fermentare sotto la guida del D.s Lancia Cesare Fiorio e dell'Ing.Piero Gobbato (geni) e infine servita fredda dal sommelier Sandro Munari, detto "il Drago" (genio).
Risultato: annichilita la concorrenza mondiale.
Per sentire i gorgheggi del v6 2.4 DinoFerrari della Stratos è sufficiente premere il link (alzate il volume, anche se il pilota è una chiavica totale), una volta occorreva prendere un sacco di freddo lungo una prova speciale.
Bella roba l'internèt, eh?


lunedì 25 novembre 2013

Espressionismo toscano

Nello scemeggiato del 1975 "Gamma" si narra di un trapianto di cervello.



La complessa operazione ha esiti controversi per il protagonista, che non sto ora a dirvi perchè potete guardarvelo da soli, e non è stata propedeutica all'apertura di un nuovo filone neurochirurgico, ahimè.
Diversamente tale intervento, se reso magari mutuabile, sarebbe andato via come il pane oggi che ci tocca vedere Matteo Renzi vincitore delle primarie e prossimo Segretario del PD.
Con un bel cervello nuovo, magari di piccolo cabotaggio, insensibile, utile a soffrire meno in questa vita galera, potremmo forse riuscire a scambiare il "pistolone inconcludente" (definizione suggeritami da tre diversi interlocutori fiorentini interrogati sulla reputazione del loro sindaco) per l'alternativa giovane e liberista per cui lui si vuol far passare.
Magari rispondere una volta ad una semplice domanda facendo capire la risposta aiuterebbe, ma questa emozione ancora, da lui, non ci è stato dato provarla.
"Tutto dipende dal team" (F.Alonso, 2013 circa).  
Infatti se magari Baricco s'impegnasse un po' di più coi testi, ché già il giubbino di pelle nera pro De Filippi suggerito da Gori era stato un buon inizio, qualche sorpresa potremmo averla.
Basterebbe una citazione da Oceano Mare, al limite.
Forza, dai!
Intanto aspettiamo con ansia medio alta un politico che pensi e parli di politica e non di comunicazione ed aria fritta; gli ultimi vent'anni sono stati più che sufficienti per tutti, ma pare ce ne saranno ancora parecchi dello stesso tenore (Brasile, Costarica, Belize... ovunque, aspettatemi).

Rilevo appena che Renzi possiede una straordinaria somiglianza con l'Obliquomo di Sergio Ponchione, questo qui

 
Edito da Coconino Press, benemeriti del fumetto di qualità: sostenere cazzo!!


e come lui viva in un universo parallelo, un po' sghembo, diagonale, dove accadono obliquamente cose che vede solo lui.
Del resto l'obliquità è la cifra del politico professionista (ed anche l'ubiquità, se ha due, o più, televisioni).
Ah, il fumetto è molto denso di neri, prospettive stravolte e atmosfere stranianti e se a voi, come a me, piace l'atmosfera del cinema espressionista tedesco, parlo di Murnau (Nosferatu) o Wiene (Il gabinetto del Dr. Caligari) per dirne due, fateci un pensiero.
Il" Caligari" inoltre, ha la particolarità di non essere in bianco e nero, ma di essere stato girato con filtri colorati per sottolineare i diversi momenti del film, quindi se vi capita un versione non colorata vi stanno gabbando (probabilmente c'è Renzi al proiettore).
Lo vidi per la prima volta in un corso all'università e mi addormentai.
Allora ero irrimediabilmente pirla, oggi solo pirla.

Chiudo con un paio di immagini.
La prima, inviatami da un corrispondente a Verona è questa:



Lui, il corrispondente, l'ha scattata per l'entusiasmo nel leggere "Tubi or not tubi, this is the question" sul tubo, appunto.
Io, invece, mi sono entusiasmato per la scritta graffiata sotto, un richiesta disperata che trova tutta la sua ragion d'essere nell'invero ardito accostamento di colori della compagine tubo/parete.
Eppoi, chissà cosa sfugge a noi lettori delle intenzioni troncate dall'inquadratura: fuori da dove?
E allora gridiamolo tutti insieme, liberiamoci e affratelliamoci nella protesta: FUORI I DALTONICI!

La seconda è mia personale, tragica testimonianza di una presa di coscienza:

L'Autore prende coscienza del suo problema fisico

Perché i miei piedi alieni riducono le scarpe, prima o dopo, in queste condizioni?





Sembra una melanzana (la sinistra un po' meno).
AIUTATEMI, e vi regalerò un Nuvola Nove (per ora ne son partiti solo due... quanto ad interventi fate schifo).

venerdì 22 novembre 2013

Chiusi nella camera chiusa

Ignorate i pruriti porni che il titolo può indurvi, nella camera chiusa non si fornìca bensì s'indaga.
Trattasi di una perversione che i giallisti hanno sviluppato a furia di inventarsi ammazzamenti ed intrighi sempre più spinti.
Più o meno si indica nel "Delitto alla rovescia" di Ellery Queen il capostipite, una storia nella quale, oltre al delitto commesso già di per sé incasinato, la vittima viene trovata con gli abiti al contrario... delirio (e non posso dire molto perché ce l'ho lì ancora da leggere, se non che ipotizzo sia stato il maggiordomo).
Per quelli che apprezzano il genere o, se mai l'hanno frequentato, se ne sentono naturalmente attratti, consiglio una doppietta di rara cerebralità letteraria, scritta da Herry Stephen Keeler (e vi beccate wiki in inglese, perché in Italia lo conoscono in tre).

Un plauso al grafico della Shake per l'imponente lavoro svolto intanto, e la fantasia dimostrata...



 

















 Li ho messi così, ma avrei potuto invertire l'ordine, perché questi due libri sono un raro esempio di storia leggibile prima l'una e poi l'altra, prima l'altra poi l'una, paralellamente.
Come vi va, perché l'ammazzato è il medesimo e gli investigatori due (e non si incontrano mai).
Keeler pare fosse talmente torrenziale dietro la macchina da scrivere che, quando si metteva a creare un romanzo, produceva talmente in eccedenza da poter mettere insieme un secondo libro col materiale che restava fuori dal primo.
Come col maiale, praticamente.
E le storie sono da fanatici eh, con tanto di schema disegnato del luogo del delitto, un campo da croquet sul retro della villa dell'ineffabile anziano Andrè Marceau, sul quale la vittima (lui) viene trovata garrotata.
Tutto qui?
No, il fatto è che Marceau era intento a spianare il campo con un rullo ed intorno a lui non ci sono altre impronte oltre alle sue, tranne alcune lontano dal campo, piccole, apparentemente lasciate da un neonato (!).
Fa già ammattire così ma aspettatevi il peggio poi, quando, a botte di schemini e teorie, il poliziotto Aleck Snide risolve il caso.
Ed è talmente un meccanismo ad orologeria che ti trovi a convenire che sì, quella è l'unica soluzione possibile, incredibile, come avevi fatto a non pensarci, eh eh eh... che roba!
Tutto bene quindi.
Una ceppa; perché quando ormai la tensione è svanita e tu, lettore, stai per allungare le gambe sul divano pregustando "Amici" per riprenderti da tanto ragionare, leggi che un altro, l'Ispettore Jones ha risolto il caso ed in maniera completamente diversa... nell'altro libro.
Io l'ho letto nell'ordine CasoMarceau-OmicidioQuartaDim, ma come avrete capito fate un po' come razzo vi pare, tanto è lo stesso.

Ieri sera guardavo Santoro, anzi lo guardava la mia nuca perché io scrivevo "Encefalonight", che sarebbe il mio secondo romanzo che forse un dì vedrete se il primo venderà qualcosa, e sentivo gli interventi di un paio di imprenditori che, dalla sede della propria azienda fallita raccontavano, col "coer in man" e i dipendenti stretti attorno,  del fatto che dietro il Presidente di Equitalia, Befera, in realtà si pensa sia celato Stanislao Moulinsky.
Dato che, come vado vaticinando da un po', non ne usciremo vivi perché tra breve cominceranno a sparare, tiro però un sospiro di sollievo nell'attesa del gioioso momento nel quale il Santoro si leverà nuovamente dalle palle per mancanza di soggetti disperati ai quali dare la parola per tre minuti prima di interromperli (qualsiasi cosa stiano dicendo, tipo che se non cambia nulla si impiccherano per debiti, detto con occhi lucidi e groppo in gola) annunciando la pubblicità.
Se questi accettano ancora l'umiliazione delle telecamere nell'azienda pignorata è perché sperano in qualcosa, un appiglio di qualche tipo (e quello di ieri sera era uno spettacolare ossimoro per giunta, con padrone e dipendenti affettuosamente abbracciati e accomunati nello stesso destino straccionaro), che arrivi dal giornalista-anchorman (o così si crede lui) dalle scarpe brutte (fateci caso, evidentemente il vestito e la cravatta glieli mettono sul letto in camerino, così non sbaglia, poi lui calza le scarpe sue e crolla) a farli sperare.
Invece zero, manco un sospiro, solo
- Io ho trecentomila euro di cartella esattoriale e non posso pag..
- Pubblicità!
- Sì ma ho qui trenta dipendenti senza liquidazione che...
- Pubblicità.
- È' che Equitalia mi ha sequestrato i conti correnti senza possibilità di...
- Me lo dice dopo... Pubblicità!
E come lui, oggi, ce n'è a pacchi e molti, udite udite evadono per obbligo mica per la barca, perché o paghi le tasse oppure paghi i dipendenti e i fornitori.
Poi ci sono quelli con la barca certo, e anche di quelli ce n'è a pacchi, però, strano, a loro Equitalia non si rivolge quasi mai e se lo fa è con tatto felpato.
Avvisando.
Ma tanto alla fine, la giustizia la trionferà, perché per ogni Befera-Moulinsky c'è un Nick Carter...






 
E L'ULTIMO CHIUDA LA PORTA!  (cit.)

p.s

Ho messo una ruota da 26'' davanti, alla bici da palo, che è fatta per le 28''.
Per pura libidine estetica.
Esperimenti sono in corso per capire come frenarla.
Chi crede che mi ci accartoccerò lo dica chiaro e si aggiudicherà un Nuvola Nove al proprio domicilio.

giovedì 21 novembre 2013

Alcuni grandi ritratti

"Cosa sarebbe un grande uomo senza una grande donna al suo fianco?
Sarebbe un grande uomo coi calzini bucati."

Scusatemi.
Mi pento profondamente di ciò che ho scritto.
Non vorrei risultare falsamente maschilista (è così) tantopiù che per me la donna è un tempio e mi ci accosto solo a capo chino e coperto, conscio della mia pochezza di genere.
Volevo solo avvicinarmi di soppiatto a due coppie tipo, così da corroborare l'assunto di partenza.
Silvio
Superciuk
                            

Costoro ad esempio, sono entrambi grandi uomini.
Diversamente da quanto si possa credere possiedono un gran numero di affinità: sono entrambi benefattori (entrambi rubano ai poveri per dare ai ricchi), personalità stimate pubblicamente, l'uno come supereroe, l'altro come statista ( nella vita privata invece uno è spazzino, l'altro pregiudicato), entrambi consumano grandi quantità di barbera (uno perché è noto, l'altro dimostrandolo ogni volta che apre bocca).
Ed infatti, come dicevo, tale eccezionalità non può essere considerata senza l'altra metà del loro cielo, eccezionale anch'esso.
                                                                                           








Beppa Giosef
Veronica Lario
Personalità altrettanto forti di quelle dei mariti: donne di grande fermezza entrambe (usa all'utilizzo di armi la prima, attrice mancata la seconda ma altrettanto usa all'utilizzo di armi specie dopo il divorzio l'altra) e simili nelle esperienze coniugali, nelle quali, restando più o meno nell'ombra, hanno sorretto i loro uomini quando erano dubbiosi, spronati quando erano tentennanti, accolti quando erano sperduti.
Una s'è poi stufata e ha preteso anche, ma per una forma di perniciosa galanteria non vi dirò chi.

Mentre vergo queste poche righe, ascolto Iggy Pop.
Non c'è nessun collegamento tra le due cose, solo sono incredulo nel leggere 1970 come data di pubblicazione di questo album di Iggy e degli Stooges, il loro secondo, che si chiama FUN HOUSE  e suona duro e puro come e più di tutto l'hard rock e protopunk del decennio (il primo, omonimo, è bello uguale).
E poi Iggy Pop è stato il primo a fare stage diving, oltre a vomitare e mostrare lo scroto sul palco (no, forse l'aveva anticipato Morrison... boh*) 
Lui è un altro di quelli che fa una cosa perché gli piace così, poi tutti si accorgono che nessuno prima ci aveva pensato e ci si buttano.
Qui da noi si ascoltavano Sergio Endrigo e Orietta Berti per dire, in quello stesso momento, paura eh?

*p.s.

Un Nuvola NOve regalato a chi mi toglie il dubbio su chi prima abbia estratto i coglioni on stage.