Innanzi tutto: cos'è lo zen?
Non è che adesso arrivo io, the first pirla, a spiegare una filosofia millenaria.
Già solo chiedersi cosa significhi la parola dà l'idea del livello di perversione: è un termine giapponese ripreso da un ideogramma cinese derivato dal sanscrito... meditazione comunque, se ve lo state ancora chiedendo.
Significa meditazione, perseguita con l'obiettivo di giungere al satori, l'illuminazione.
Arrivato qui, da buon europoide, credendo di avere una base solida sotto i piedi potrei pensare di essere più vicino alla comprensione della materia; invece no.
Perchè la dottrina zen, a livello puramente semantico, non può essere ricondotta a sistema o struttura riconoscibile perché ciò equivarrebbe a fraintenderla e, quindi, a distruggerla, in quanto essa è pura astrazione spirituale, non-distinzione delle cose che conduce alla visione assoluta del tutto.
Praticamente LSD, se ricordiamo ciò che diceva Aldous Huxley fatto marcio di acido nelle sue "Porte della Percezione".
Però senza la sostanza in circolo, ecco perché il monaco zen passa la vita a cercare di riprodurre questo stato di coscienza (quando gli basterebbe passare un sabato sera all'Hollywood e leccare un francobollo).
Io, come molti altri incuriosito e affascinato, ho cercato di strisciare il più vicino possibile alla materia senza essere visto da lei leggendo quei due, tre testi canonici per dummies:
Questo, che hanno approcciato anche i sassi, per moda, per passaparola o perché la confezione dei libri Adelphi è sempre la più figa (e odorosa di buono), che ho lasciato al suo destino prima di metà, scoglionato dalle peripezie di un padre col figlio problematico che passano il tempo a discettare sulla misura della chiave per cambiare le candele mentre attraversano l'America.
Lo zen non ce lo trovai manco per il cazzo, ma fu evidentemente colpa mia perché il libro invece merita: leggetelo.
Cosa che rifarò anche io, tra un po'.
Il secondo è questo:
E qui le cose sono cambiate, all'improvviso l'illuminazione è arrivata, laddove l'autore scrive del lancio della freccia sotto gli occhi del maestro zen.
Lui, allievo, incocca la freccia, tende la corda, prende la mira e tira, l'altro apparentemente fa lo stesso ma in sostanza fa tutt'altro: entra in una dimensione nella quale la freccia LASCIA l'arco per colpire il bersaglio, non viene lasciata dall'arciere.
L'azione travalica il gesto, l'intenzione, origina dal tutto.
Sottilissima distinzione in apparenza, a pensarci invece sono chilometri e chilometri di differenza.
Anzi non a "pensarci" e basta, magari nei tre minuti abbondanti di una cagata, intendo proprio meditandoci con calma e in tranquillità (roba che farebbe bene a tutti riscoprire, va là).
Bel casino.
Ma la cosa più bella è che ciascuno può trovare in quest'esempio il primo barlume di comprensione alla faccenda, per me è stato così, mi è apparso lampante anche per una paio di cose che ho sperimentato personalmente nel passato sul fare qualcosa (trattavasi di gesto sportivo) attuato esattamente secondo questa descrizione, un atto che origina dopo aver superato l'esperienza che hai acquisito, non da essa.
Purtroppo la condizione non mi è più riuscito di raggiungerla, ma vabbè, è già grasso che cola aver avuto un fugace assaggino.
E qui faccio un salto verso un altro Zen, assai più ancorato al terreno, quello di Palermo.
Qui il significato non è "meditazione" ma Zona Espansione Nord.
Lo dobbiamo a questo signore qui:
Vittorio Gregotti, architetto.
Non fatevi ingannare da questa faccia da nonno buono che tutti vorremmo: quest'uomo ha commesso svariati altri crimini, tra i quali il quartiere Bicocca a Milano, ad esempio, e nonostante ciò è tutt'ora a piede libero.
Però, se la Bicocca s'è salvata per un pelo essendo a Milano, a Palermo lo Zen è andato incontro a ben diverso destino, stretto da subito tra influenze mafiose, racket delle case popolari e occupazioni abusive selvagge, prima ancora che fosse terminato (la fognatura non è completa, per dire) ed altre amenità, non ultima la galeotta gestione dell'affare da parte dell'amministrazione comunale.
Quindi voilà, un progetto pesante di suo dieci tonnellate (organizzato per "insulae" che sono l'agiografia dell'esclusione) come da tradizione gregottiana, s'è trasformato in un laboratorio antropologico a cielo aperto (come le fogne, appunto), laddove lo spaccio di droga e tutte le altre più edificanti attività umane vengono portate avanti come unica risorsa.
(Red Bull organizza un evento "no limits" allo Zen: si tratta di andare porta a porta a verificare la raccolta differenziata. Iscrivetevi sul sito.)
Posto che, conoscendo l'Italia e gli italiani niente si farà mai per migliorare le condizioni di vita dei residenti, ci sono da rilevare alcuni inquietanti punti di contatto con il romanzo di James G.Ballard "Il condominio" (High-Rise), questo qui:
In un grattacielo nuovo di zecca, dopo i primi tempi avvengono crescenti episodi di intolleranza tra condomini per cause futili, inesorabilmente tutti scivolano verso la perdita delle inibizioni, liberando la violenza animalesca che soffochiamo con educazione e convenzioni.
Continueranno per un po' a lavorare e condurre vite normali, ma avvertendo sempre più il bisogno di rientrare nel Condominio per vivere la vita vera, per saccheggiare, stuprare e agire come le bestie che in fondo siamo, isolandosi dal mondo esterno e godendone.
Leggetelo, merita imho.
Chiudo dedicando ai palermitani dello Zen questa storiella zen, perché nella loro condizione l'illuminazione potrebbe essere dietro l'angolo:
" C'è un allievo che da tre anni vive su di un'isola col maestro, ma che, non avendo avuto risultati, gli comunica di volersene andare.
- Sei stato qui tre anni, prova ancora per tre mesi - dice il Maestro.
Passano tre mesi inutilmente, quindi torna a manifestare l'intenzione di lasciarlo.
- Sei stato qui tre anni e tre mesi, fermati ancora tre settimane.
Ma ancora niente progressi, e di nuovo prepara il fagotto.
- Sei stato qui tre anni, tre mesi e tre settimane: fermati ancora tre giorni. Se saranno inutili, suicidati.
Al secondo giorno l'allievo trovò l'illuminazione. "
P.s.
Chi dovesse dirmi su che moto viaggia il protagonista del libro di Pirsig me lo faccia sapere e si vedrà regalare una copia di Nuvola Nove (vedi home page per i dettagli).
giovedì 14 novembre 2013
mercoledì 13 novembre 2013
TRE VOLTE NATALE
Per motivi vari ed eventuali mi sono trovato a riprendere in mano "Neuromante" di William Gibson.
Di lui, il libro, mi ricordavo solo la beffarda espressione dell'uomo pennuto in copertina, nell'edizione degli Oscar Mondadori del 2004.
Questa:
E rileggerlo mi ha ricordato perchè.
Il testo è considerato capostipite del Cyberpunk, faccende tese di realtà virtuali, programmi assassini e protesi artificiali.
C'è uno, Case, che lì dentro è molto nel futuro ma è anche il nonno dei nerd smanettoni attuali, anche se questo tromba (e più volte), nella fattispecie una bella sicaria con gli occhi a specchio di nome Molly.
Non dirò altro per evitare spoiler sennonchè, fantasia saltami addosso, piove ogni due per tre.
Il libro lo comprai nel 2004 appunto e nel riaprirlo ho notato con sommo piacere che la bella carta utilizzata s'è tutta ingiallita come piace a me, prendendo quel profumino che mi fa nasare il libro prima di leggerlo.
Com'è, come non è, anche alla seconda passata non è la storia a prendermi ma qualcosa di contorno: la copertina al primo giro, le pagine lise al secondo.
I quasi dieci anni trascorsi hanno però dilatato la frequenza delle orecchie piegate in cima alla pagina: non mi capacito di quanto a singhiozzo fossi andato la prima volta (e neppure l'avevo finito).
Sarà che oggi come allora al Cyber preferisco lo Steampunk, che poi lo dobbiamo sempre a lui, Gibson, grazie a "La macchina della realtà" del '90.
A proposito di cyberpunk, mi ricordo l'ondata modaiola di quegli anni lì, mi ricordo un locale a Milano che strombazzava 'sta fava della realtà virtuale e tutti si andava là, dove i tavoli erano messi strategicamente ai lati per lasciare al centro il magnifico zimbello di turno a brancolare emozionato nell'aria, con un guanto a sensori ed un paio di occhiali tipo binocoli, ignaro che nel mentre gli avventori lo facevano oggetto di sputazzi.
Il locale è sempre là, la realtà virtuale è scomparsa da un bel pezzo, superata ampamente da quella semplice quanto a situazioni fantascientifiche.
Tipo quella del presidente venezolano Maduro, che pochi giorni fa ha dichiarato di voler anticipare il Natale per fare felice il popolo, "vaccino contro chi inventa situazioni di confusione e violenza".
Io gli batto le mani a questo, ma forte.
Nemmeno Dalla, che era Dalla eh, mica Maduro, s'era spinto tanto oltre.
Lui al massimo proponeva "Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno".
Peccato che Lucio non fosse Presidente della Repubblica, ne avremmo guadagnato tutti.
Al genio malvagio di Maduro invece, per il suo sereno Natale farlocco, vorrei donare un esemplare del Santa Claus di McFarlane come quello che ho qui e che espongo usualmente sotto l'albero, augurandogli di incontrarlo mentre scende dal suo caminetto
Per chiudere con Neuromancer, è una storia nella quale il 90% di ciò che accade è poco chiaro ed il restante dieci ininfluente: leggetelo.
Anche Gibson c'ha del bisogno suppongo.
Di lui, il libro, mi ricordavo solo la beffarda espressione dell'uomo pennuto in copertina, nell'edizione degli Oscar Mondadori del 2004.
Questa:
E rileggerlo mi ha ricordato perchè.
Il testo è considerato capostipite del Cyberpunk, faccende tese di realtà virtuali, programmi assassini e protesi artificiali.
C'è uno, Case, che lì dentro è molto nel futuro ma è anche il nonno dei nerd smanettoni attuali, anche se questo tromba (e più volte), nella fattispecie una bella sicaria con gli occhi a specchio di nome Molly.
Non dirò altro per evitare spoiler sennonchè, fantasia saltami addosso, piove ogni due per tre.
Il libro lo comprai nel 2004 appunto e nel riaprirlo ho notato con sommo piacere che la bella carta utilizzata s'è tutta ingiallita come piace a me, prendendo quel profumino che mi fa nasare il libro prima di leggerlo.
Com'è, come non è, anche alla seconda passata non è la storia a prendermi ma qualcosa di contorno: la copertina al primo giro, le pagine lise al secondo.
I quasi dieci anni trascorsi hanno però dilatato la frequenza delle orecchie piegate in cima alla pagina: non mi capacito di quanto a singhiozzo fossi andato la prima volta (e neppure l'avevo finito).
Sarà che oggi come allora al Cyber preferisco lo Steampunk, che poi lo dobbiamo sempre a lui, Gibson, grazie a "La macchina della realtà" del '90.
A proposito di cyberpunk, mi ricordo l'ondata modaiola di quegli anni lì, mi ricordo un locale a Milano che strombazzava 'sta fava della realtà virtuale e tutti si andava là, dove i tavoli erano messi strategicamente ai lati per lasciare al centro il magnifico zimbello di turno a brancolare emozionato nell'aria, con un guanto a sensori ed un paio di occhiali tipo binocoli, ignaro che nel mentre gli avventori lo facevano oggetto di sputazzi.
Il locale è sempre là, la realtà virtuale è scomparsa da un bel pezzo, superata ampamente da quella semplice quanto a situazioni fantascientifiche.
Tipo quella del presidente venezolano Maduro, che pochi giorni fa ha dichiarato di voler anticipare il Natale per fare felice il popolo, "vaccino contro chi inventa situazioni di confusione e violenza".
Io gli batto le mani a questo, ma forte.
Nemmeno Dalla, che era Dalla eh, mica Maduro, s'era spinto tanto oltre.
Lui al massimo proponeva "Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno".
Peccato che Lucio non fosse Presidente della Repubblica, ne avremmo guadagnato tutti.
Al genio malvagio di Maduro invece, per il suo sereno Natale farlocco, vorrei donare un esemplare del Santa Claus di McFarlane come quello che ho qui e che espongo usualmente sotto l'albero, augurandogli di incontrarlo mentre scende dal suo caminetto
Per chiudere con Neuromancer, è una storia nella quale il 90% di ciò che accade è poco chiaro ed il restante dieci ininfluente: leggetelo.
Anche Gibson c'ha del bisogno suppongo.
lunedì 11 novembre 2013
ONIRYCON nr.4
Trovo particolarmente utile la pratica di scrivere la cronaca del sogno da poco svaporato la mattina appena alzati, se si ha la capacità di ricordarselo abbastanza a lungo.
Riprendere quei testi anni dopo è fonte di continue ispirazioni per romanzi, racconti o qualsiasi altro arnese stia costruendo in quel momento.
Dato che ho appena recuperato uno di questi Onirycon, il nr.4 sognato la notte del 28 ottobre 2008
(l'Italia non era ancora in recessione!) mi prude riportarlo qui, pari pari a come lo fermai su carta.
Mi pare abbia dignità di simpatico racconto che può andar da solo sulle sue svelte gambe.
"Partecipo alle prove libere di una gara di Bmx all'autodromo di Monza.
Provo e riprovo, anche contromano, ma sono molto lento.
Penso che potrei forse migliorare la prestazione gonfiando molto le gomme della bicicletta, ma gli altri vanno tutti molto più forte e sono ragazzini.
Fatico a spingere i pedali.
Quando leggo che l'iscrizione costa 70 euro trovo la scusa per non partecipare.
L'avviso è scritto su di un pezzo di carta appeso ad un filo (e qui feci un disegnino ndr.).
Intorno molto verde, quasi giungla, forse influenzato dalla visione intensiva di 18 puntate di Lost in un solo giorno.
Solita grande inquietudine mista a malinconia che accompagna tutti questi sogni competitivi."
Voilà.
Bellino no?
Ci si potrebbe attaccare sopra o sotto tutto un libro di quelli che poi vendono anche, quelli che parlano di disagio sociale, di traumi infantili o di tutt'e due, che è anche meglio.
Roba che se il mio agente amico dell'amico dell'amico mi fa andare da Fazio ci vendo anche i diritti per un film e forse (ma forse forse) ci rimedio un paio di scopate.
Il meccanismo è sempre quello, nessuna mistica particolare.
Ma il sogno, ah! quello è pulito, sgorga dal cervello nella sonnolenta modalità theta, mica cazzi.
Che poi, riguardando il microtesto, ne ricavo solo che i complessi d'inferiorità nei confronti delle aspettative e il timor panico della Turpe Vecchiezza erano già tutti schierati al loro posto.
Per concludere degnamente questo inutile svolazzo onirico, sono indeciso tra un Odilon Redon e un boh.
Scelgo Redon.
"Il sogno" 1904, olio su tela 56.0x43.0 cm. Collezione privata.
Riprendere quei testi anni dopo è fonte di continue ispirazioni per romanzi, racconti o qualsiasi altro arnese stia costruendo in quel momento.
Dato che ho appena recuperato uno di questi Onirycon, il nr.4 sognato la notte del 28 ottobre 2008
(l'Italia non era ancora in recessione!) mi prude riportarlo qui, pari pari a come lo fermai su carta.
Mi pare abbia dignità di simpatico racconto che può andar da solo sulle sue svelte gambe.
"Partecipo alle prove libere di una gara di Bmx all'autodromo di Monza.
Provo e riprovo, anche contromano, ma sono molto lento.
Penso che potrei forse migliorare la prestazione gonfiando molto le gomme della bicicletta, ma gli altri vanno tutti molto più forte e sono ragazzini.
Fatico a spingere i pedali.
Quando leggo che l'iscrizione costa 70 euro trovo la scusa per non partecipare.
L'avviso è scritto su di un pezzo di carta appeso ad un filo (e qui feci un disegnino ndr.).
Intorno molto verde, quasi giungla, forse influenzato dalla visione intensiva di 18 puntate di Lost in un solo giorno.
Solita grande inquietudine mista a malinconia che accompagna tutti questi sogni competitivi."
Voilà.
Bellino no?
Ci si potrebbe attaccare sopra o sotto tutto un libro di quelli che poi vendono anche, quelli che parlano di disagio sociale, di traumi infantili o di tutt'e due, che è anche meglio.
Roba che se il mio agente amico dell'amico dell'amico mi fa andare da Fazio ci vendo anche i diritti per un film e forse (ma forse forse) ci rimedio un paio di scopate.
Il meccanismo è sempre quello, nessuna mistica particolare.
Ma il sogno, ah! quello è pulito, sgorga dal cervello nella sonnolenta modalità theta, mica cazzi.
Che poi, riguardando il microtesto, ne ricavo solo che i complessi d'inferiorità nei confronti delle aspettative e il timor panico della Turpe Vecchiezza erano già tutti schierati al loro posto.
Per concludere degnamente questo inutile svolazzo onirico, sono indeciso tra un Odilon Redon e un boh.
Scelgo Redon.
"Il sogno" 1904, olio su tela 56.0x43.0 cm. Collezione privata.
domenica 10 novembre 2013
HANNO MAI FREGATO IL TENENTE COLOMBO?
Per cercare di rispondere al quesito mi necessita una situazione ambientale adeguata.
Tento con luci basse e "Colombo" dei Baustelle per trovare ispirazione.
Lo spiegazzato poliziotto interpretato da Peter Falk ha cominciato ad indagare nel 1968, incastrando, teoricamente, più di sessanta assassini che si credevano inincastrabili (chiaramente in Italia le sue medie gol sarebbero state assai più basse, per motivi ovvi).
Il Tenente Colombo ha una macchina di merda, una moglie che chiama "moglie" ed un cane che chiama "cane", fuma dei toscani da due soldi ed è la negazione ambulante della teoria di Peter sull'avanzamento fino al proprio livello di incompetenza: debutta Tenente e finisce Tenente, pur carico di onori e gloria.
Fosse stato totalmente italiano e non solo per metà, il Tenente Colombo sarebbe stato sicuramente promosso prima a Capo della Polizia e poi, dopo tutti quei casi risolti, Ministro dell'Agricoltura o A.D di Finmeccanica dove avrebbe senz'altro messo a frutto le sue brillanti doti.
Ma il problema qui è un altro: qualcuno sa se il Tenente è mai stato beffato dall'assassino?
C'è qualche macchia su quel triste impermeabile beige?
Boh, io non lo so, non mi è mai capitato di vedere un episodio del genere.
È che gli autori della serie, Levinson e Link (non cliccatelo) organizzarono il plot secondo uno schema ripetitivo, costruire il caso che il Tenente sistematicamente smonta iniziando sempre dalla fine, cioè mostrando identità e modi dell'assassino, cosa che nelle intenzioni dovrebbe fare istintivamente prendere le distanze dal cattivo in attesa del suo ineluttabile sbugiardamento.
Ed in effetti è così.
All'inizio.
Però dopo anni e anni di visioni ed arresti eccellenti, tutta questa abilità comincia ad offendere.
In un mondo sempre più sovraffollato di mediocri, come si permette questo sgorbio di sfuggire alla realtà non sbagliando mai un colpo?
Passi una volta, passi due, alla fine non se ne può più, si finisce per tifare apertamente per l'assassino, sperando che non ceda alle incalzanti domande del Tenente, che riesca a nascondergli almeno un po' il dettaglio decisivo, che resista fino alla fine della puntata senza essere arrestato (magari dopo sì, ma lasciandoci l'illusione di averla fatta franca).
I RIS ci vorrebbero, con quelle loro tutine di carta bianca che si aggirano sul luogo del delitto con passo felpato ed occhio di lince.
Loro forse riuscirebbero a neutralizzarlo il Tenente, loro, che quando passano nei pressi di un cadavere fanno tirare un sospiro di sollievo al colpevole che verrà assolto non per mancanza di prove ma per sovrabbondanza.
Peccato che Falck sia defunto.
Un Colombo vs. RIS sarebbe stato uno scontro senza fine, come un numero periodico, come un gatto imburrato che ruota perpetuo.
Ti odio Tenente, perché mi hai costretto ad odiarti.
sabato 9 novembre 2013
NUDA POLITICA
Lord Byron, già noto per le poesie, la tendenza all'ingroppata trasgressiva e il piede equino (per tacere di quanto si sia divertito nel tirar scemo il povero Ugo Pagliai nello sceneggiato "Il Segno del Comando"), soleva, come quasi tutti gli intellettuali romantici inglesi del 19° secolo, calare nell'allora Bel Paese sollazzandosi spesso con giovani fanciulli e sapide sgualdrine tra le rovine e gli affreschi, poetando a tutto spiano.
Tra le varie perle, la frase attribuitagli "In Italia non ci sono né leggi né governo ed è meraviglioso come tutto continui a funzionare", ci regala l'esatta estensione temporale del mare di merda nel quale nuotiamo a dorso quotidianamente.
Ai più non sfuggirà il dettaglio che, dopo un secolo e mezzo, la seconda parte dell'affermazione stia discretamente perdendo di valore, comunque, in questo spazio democraticamente plastico propongo la mia soluzione, il Sacro Mocio con cui lavare via 'sti zozzi che ci assediano: la nudità.
Da nudi non riusciremmo a mentire come facciamo abitualmente da vestiti.
Nemmeno noi che, essendo italiani, abbiamo nell'elica del Dna il mendacio, la truffa, la meschineria.
Nudi quindi, tutti.
Si attrezzi un'apposita area all'ingresso del Palazzo con ampi spogliatoi dove deporre l'armamentario di smorte cravatte e stanche grisaglie e via, cazzi e fiche al vento sui banchi dell'emiciclo.
Al Senato, vista l'età media dei sauropodi, concederei l'utilizzo di appositi ausili , che a Roma in fatto di braghettoni ne sanno (vedi il Braghettone).
Anyway, vedreste Gasparri alzarsi fiero, lo scroto penzolante, a sostenere che Berlusconi "è un perseguitato?".
No, certo, gli verrebbe giustamente da ridere nello spararla così grossa privo dell'armatura istituzionale, anzi probabile che nemmeno si alzerebbe, impegnato come sarebbe a celare il tirone causato dalle nude pudenda della Pitonessa compagna di banco.
E una Maria Elena Boschi, riuscirebbe a mantenere la necessaria concentrazione nel sostenere la candidatura di Renzi sapendo di dover esporre le tettine alle lubriche occhiate di Franceschini?
Difficile, probabilmente dopo un iniziale cincischiare le scapperebbe che il sindaco di Firenze è solo un Berluschini affamato di potere.
Potrebbe addirittura accadere che Vendola riuscisse a dire finalmente qualcosa di intellegibile scosso dalla tensione di vedere Capezzone prendere la parola.
Applausi. Sgomento tra i media mondiali, tette culi e minchie che corrono impazzite qua e là, cercando un modo di coprirsi che il Popolo Sovrano non gli concede più.
Italia nuovamente Bel Paese nel quale i pronipotini di Byron amerebbero svernare.
REFERENDUM SUBITO!
* nella foto Ansa in apertura: Pippo Civati, scortato dagli stewards della Camera, si dirige verso la bouvette.
giovedì 7 novembre 2013
ORZOWEI IN TAZZA GRANDE.
Da pochi giorni sono stato iniziato all'orzo.
Con quel nome così tozzamente rozzo (giusto uno che si chiama Rocco può bere l'orzo...) m'era sempre risultato sospetto, mellifluo sosia del caffè che manco bevo, peraltro.
Invece no.
Sbagliavo.
Il tapino si presenta di gusto meno acuto del collega e, non contenendo caffeina, mi permette di berne dalla tazza fumante di notte, mentre scrivo, facendomi sentire come James Ellroy mentre butta giù L.A Confidential (col Borsalino in testa ovviamente, ché io quelli come lui, Chandler e compagnia me li immagino tutti così, con la faccia e il cappello di Bogart) senza pericoli d'insonnia.
Eppoi protegge l'intestino mi si dice, utile in questi momenti di crisi disperata.
Ma è dell'intestino di Alberto Manzi che vorrei dire.
Che poi si chiamava Isa, Orzowei significa "il trovato" dato che venne appunto rinvenuto abbandonato nella foresta dai Bantù che prima l'adottarono poi, luridi razzisti, lo allontanarono.
Ah, sì, se siete nel dubbio si può dire razzisti anche a neri, gialli o rossi, se del caso, non è che loro abbiano per forza il copyright.
La canzoncina della sigla, adesso che l'avete riconosciuto, ve la siete ritrovata ancora nelle orecchie vero? sempre quei geni dei fratelli De Angelis ovviamente.
Comunque, passi la dubbia frangetta (il telefilm del '77 era tedesco), ma il torace da riformato stride proprio con la pelle di leopardo, naturale che prendesse gran calci nel culo ad ogni puntata.
Povero Isa, chissà che fine ha fatto, certo oggi in Italia avrebbe certamente un incarico di governo dato che già all'epoca dichiarava: «Io non so cosa sono. Sono Swazi, sono Boscimano, sono bianco. E forse non sono niente di tutti e tre o sono tutti e tre messi insieme».
Fossi Grillo manderei Casaleggio a cercarlo, avrei il primo deputato con le idee chiare che contemporaneamente buca lo schermo (con la lancia).
Adesso mi faccio una tazza d'orzo, va, anzi, meglio, posto un'immagine di Renzo Zorzi.
Con quel nome così tozzamente rozzo (giusto uno che si chiama Rocco può bere l'orzo...) m'era sempre risultato sospetto, mellifluo sosia del caffè che manco bevo, peraltro.
Invece no.
Sbagliavo.
Il tapino si presenta di gusto meno acuto del collega e, non contenendo caffeina, mi permette di berne dalla tazza fumante di notte, mentre scrivo, facendomi sentire come James Ellroy mentre butta giù L.A Confidential (col Borsalino in testa ovviamente, ché io quelli come lui, Chandler e compagnia me li immagino tutti così, con la faccia e il cappello di Bogart) senza pericoli d'insonnia.
Eppoi protegge l'intestino mi si dice, utile in questi momenti di crisi disperata.
Ma è dell'intestino di Alberto Manzi che vorrei dire.
L'eccezionalità del signor maestro la potete valutare da soli, cliccando pigri, il fatto è che ad Ello, è dovuto anche il romanzo (di "formazione" diranno i rompicollioni) Orzowei. Lui lui, questo qui sotto
Che poi si chiamava Isa, Orzowei significa "il trovato" dato che venne appunto rinvenuto abbandonato nella foresta dai Bantù che prima l'adottarono poi, luridi razzisti, lo allontanarono.
Ah, sì, se siete nel dubbio si può dire razzisti anche a neri, gialli o rossi, se del caso, non è che loro abbiano per forza il copyright.
La canzoncina della sigla, adesso che l'avete riconosciuto, ve la siete ritrovata ancora nelle orecchie vero? sempre quei geni dei fratelli De Angelis ovviamente.
Comunque, passi la dubbia frangetta (il telefilm del '77 era tedesco), ma il torace da riformato stride proprio con la pelle di leopardo, naturale che prendesse gran calci nel culo ad ogni puntata.
Povero Isa, chissà che fine ha fatto, certo oggi in Italia avrebbe certamente un incarico di governo dato che già all'epoca dichiarava: «Io non so cosa sono. Sono Swazi, sono Boscimano, sono bianco. E forse non sono niente di tutti e tre o sono tutti e tre messi insieme».
Fossi Grillo manderei Casaleggio a cercarlo, avrei il primo deputato con le idee chiare che contemporaneamente buca lo schermo (con la lancia).
Adesso mi faccio una tazza d'orzo, va, anzi, meglio, posto un'immagine di Renzo Zorzi.
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mercoledì 6 novembre 2013
57
Ero tentato di emulare John Cage con i suoi 4'33'' di silenzio o Robert Rauschenberg con le tele bianche, ma essendo io un ominicchio ho desistito, accontentandomi di aspirare al grado superiore della scala Sciasciana, quello di mezz'uomo.
Quindi calo le braghe e scrivo.
L'idea era quella di inaugurare questo posto con un bel testo che non c'era, una bella robina intellettuale, ma sono stato bruciato sul tempo... ancor prima di decidere cosa fare il blog contava 57 visite!
La robina intellettuale l'hanno fatta quelli lì, senza nemmeno avvisarmi.
Cinquantasette persone che hanno osservato il nulla, la pagina bianca, probabilmente ascoltando l'eco dei loro scazzi di giornata, come spesso accade quando ti trovi all'improvviso dell'inaspettato spazio vuoto davanti.
Riempire lo spazio non è da tutti, ascoltare il silenzio nemmeno, visto che non esiste.
Restare completamente soli con se stessi può atterrire, mica facile, nemmeno per pochi secondi.
Infatti il primo che eseguì il "brano" di Cage nel '52 a New York, David Tudor, si prese ortaggi e forse una scarpa nella nuca dal gentile pubblico disorientato.
Quanto tempo in media avranno speso davanti al niente quei 57?
Mah.
Mi avranno mandato a cagare perché si aspettavano qualcosa che non c'era (anzi non c'era proprio niente) oppure avranno apprezzato la mia arguzia artistica (e non c'era manco quella) nel proporgli solo del bianco da colorare a piacere?
Chissà, mi sembra una cosa affine al lasciare messaggi sulla bacheca o nella casella di un defunto, un miracolo che la Rete ha reso possibile, l'immortalità, l'esserci comunque anche quando non c'è (più) niente.
Vabè, adesso ci sono neh?
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