martedì 9 agosto 2016

Giudicare.

"Chi sei tu per giudicare?".
Dai, adesso ditemi quante volte qualcuno vi ha rivolto la frase, ritenendola una di quelle definitive,  cassatorie di qualsiasi replica.
Beh, sappiate che le armi per difendervi ci sono e il latore della cosa un/una pirla che non ragiona.
Il giudizio è intrinseco al mio essere componente la razza umana, sta nell'elica del mio DNA.
L'uomo giudica, sempre, da sempre, senza possibilità di fare altro perché è questa la caratteristica che lo separa nettamente dal resto del mondo animale che viaggia per istinto puro.
Io ti giudico, eccome, sempre, in ogni momento, con pieno diritto naturale.
E tu, ipocrita, fai lo stesso, furbino...
Detto questo, adesso mi metto a citare pure Pasolini ed il suo "io so", l'inizio del pezzo sulla sua rubrica giornalistica (e che ritrovate qui se volete, negli "Scritti Corsari" che quegli interventi illuminanti, pedanti e corrosivi raccolgono) che per qualcuno ha segnato l'inizio del pestaggio fatale del Lido di Ostia nel 1975.






Io giudico e so il nome dei mandanti, ma per supremo orrore non li citerò, non gli farò questo favore, perché essi, dopo quarant'anni, con un estremo scossone mi hanno disarcionato dalla Marvel Comics e, quel che è peggio, mi hanno strappato da Peter Parker.
Per farlo si sono inventati una puttanata chiamata Battleworld, un caotico puzzle, un pianeta nato chissà sotto quali spinte (arcane dicono quando non sanno che cazzo inventarsi) ricomposto con i pezzi dei crossover più letti degli ultimi dieci, ven'tanni? delle varie testate.
AAAAAAAAAAAHHHHHHHHHH! Bestie.
Questa è la versione che ne forniscono di 'sto pastrocchio, sorridenti come una manica di stronzi felici immagino, coi loro bicchieroni di carta pieni di sciacquatura di caffè:



È che sono vecchio, questa la verità.
Ho iniziato a sei anni con una storia di Cap che correva con Falcon sotto la pioggia e che a malapena riuscivo a leggere perché stavo alla fase punto e virgola in prima elementare.
Leggiucchiavo la Dc , che allora pubblicava la Cenisio, perché ha sempre avuto quella vena fantastica più bambina, finché Stan Lee non ha cominciato a farle il culo con gente urbana con problemi urbani.
E per me tutto si risolve in questa copertina, del grande Romita Sr., quello del ciclo storico di Goblin, della morte di Gwen Stacy, arte signori, arte pop del secolo scorso.
Questa è stata la mia Marvel, il mio quarantennio Marvel:




 Qui comincia L'Uomo Ragno per me, no spiderman come usa ora, L'Uomo Ragno, uno che per tutta l'infanzia mi costringeva a raccogliere ragni ovunque, mettermeli in mano e sperare mi mordessero.
Ed ora Battleworld, un modo lecito, commercialmente ineccepibile per una multinazionale di svecchiare un parco lettori sfruttato e di aprirsi a nuovi spazi potenzialmente vergini e remunerativi, spinti dagli incassi della divisione cinematografica che pompa milioni ad ogni uscita.
Ci sta perfettamente, ma io il Peter di adesso, ridotto ad un clone sfigo di Tony Stark non lo accetterò mai e così, due mesi fa ho preso la fatale decisione: addio.
Mi rimane un locale stipato da migliaia di fumetti in buono stato che un giorno forse rivenderò o forse vorrò a ricoprire le mie spoglie mortali nella cassa che verà sotterrata, ve lo anticipo, nei terreni attigui alla Seconda di Lesmo di Monza.
E comunque, americanucoli, sappiatelo: - Io so, e vi giudico.

lunedì 8 agosto 2016

Rogo

La parola rogo ha cominciato ad impressionarmi il primo agosto del 1976.
Quel pomeriggio lì, verso le 14,30 un ragazzo austriaco, Niki Lauda, campione del mondo ed idolo di tutti i ragazzini italiani, perdeva la sua Ferrari per un fatale attimo alla piega del Bergwerk e si spetasciava contro la montagna, sul al Nurburgring, l'inferno verde.
In un attimo l'inferno diventò rosso, la Ferrari si sa, rimbalzò qua e là avvolta, appunto, in un rogo.
Chi lo salvò lo sappiamo, cosa perse (un orecchio e un metro quadro di faccia, anche, quel che guadagnò come immagine di superuomo e il lancio che la Formula 1 ancora gli deve oggi è incalcolabile).
Tra l'altro in quel '76 quella pista aprì e chiuse il mese di agosto con due avvenimenti storici ed indimenticabili: questa, drammatica e l'altra, il 29, per certi versi anche: l'ultima vittoria nel Mondiale 500 della gloriosa Mv Agusta guidata da Agostini (qui sulla 350, la foto della 500 quattro vincitrice non l'ho trovata, ma a parte le tabelle gialle ed uno scarico in più era uguale).




Unica quattro tempi davanti ad una muta di Suzuki Gamma e Yamaha Yz 2t, anche lui all'ultima affermazione in carriera.
Tutto lassù, tra le mille pieghe da paura di quella pista eterna e spietata.
Ma torniamo al rogo.
All'epoca Niki Lauda era dio.
La Polistil vendeva a pacchi il modello della sua monoposto, con la chiavetta per smontare pure le ruote, questa qui, che io avevo, al pari della M23 di Hunt e della P34 di Depailler.




Beh, ci crediate o no, in quegli anni lì l'idea di scrivere il nome del pilota in grande ed in corsivo lo trovo ancora di grandissima eleganza, dovrebbero riproporlo a Maranello, ed è lì che gira tutto il problema.
Quando rombavo per la mia stanzetta con il modellino, l'occhio cadeva su quel corsivo,  Niki Lauda, il pilota più veloce del mondo, il computer, seguito a debita distanza da Clay coi suoi baffi, in corsivo pure lui.
Quel giorno però, nel rogo, quel corsivo andò in fumo ed io ne rimasi scioccato.
Non ricordo se stessi vedendo la diretta, ma ricordo come fosse ieri le immagini serali del telegiornale, un carro attrezzi che senza nessun rispetto caricava i rottami anneriti della Ferrari, e quel corsivo, Niki Lauda bruciacchiato, perso, sconfitto dal fuoco.
Dal rogo.
La vera grande sfiga di Niki all'epoca si chiamò Agv in realtà.
Lauda, Fittipaldi e qualcun altro indossavano quell'anno il futuribile X1 dell'azienda italiana (combinazione, la stessa marca che indossava Ago ventotto giorni dopo, guarda tu la coincidenza).
Eccolo qui, in una riproduzione attuale che su ebay costicchia:



Il bell'elmetto con tutto il suo sistema di ventilazione venne scalzato nell'urto, e lo ritrovarono poi in condizioni un po' differenti, dalle parti dei rottami...



 In quel momento Lauda si ritrovò per un minuto con solo il sottocasco a proteggerlo, senza casco e senza il tubo dell'aria per evitare di inalare i fumi della combustione e quasi si ammazzò.
Magari con un cinturino progettato meglio, avrebbe ancora capelli ed orecchie, anzi è certo, perché sul corpo riportò pochissime ustioni di risibile importanza.
E quindi, ancora oggi rogo mi rumina dentro male, è una parola che odio, e che in quegli anni si è portata via parecchia gente impegnata a fare cose belle con le macchinine rumorose.
E quella scritta poi, quel corsivo annerito che rischiava di uccidere l'eroe della mia infanzia.
Dopo quarant'anni sono ancora qui a ricordarmelo.





C'è vita su Morte?


Dai lo so, il titolo fa schifo e David si gira nella tomba (anzi no, l'han cremato), però vi voglio raccontare delle cose che poi chiariranno e magari il titolo diventerà un classico.
La mia nota malattia comincia a fare scherzacci inaspettati, tipo che ha cambiato scopo è si è insinuata tra ossa e cervello dopo aver rotto la minchia ad intestino e polmoni, perdendo ridicolmente il confronto.
Parato il colpo subito, per quanto riguarda le vertebre, anche se ho perso l'uso delle gambe per tre o quattro agghiaccianti giorni, prima di operarmi e tornare a sgambettare belluino, è stata la lesioncina rilevata al cervello a farmi riflettere.
Un chicco di riso infilato nel profondo dell'emisfero destro, dormiente, ticchettante, tipo cintura esplosiva dell'Isis pronta ma ancora senza detonatore.
Per la prima volta ho avuto paura, vera paura di morire.
Morire, morire neh, cioè quando dici buonanotte e la sveglia poi non la senti più.
Però una bella laserata one-shot ha risolto subito anche quello ed ora sto bene.
Anzi, sto benissimo.
Sto sperimentando davvero quel tristissimo (ma vero) adagio che dice che quanto più vedi la morte nelle vuote orbite tanto più apprezzi di vivere!
Infatti sono entrato in un periodo euforico come mai prima, sto producendo con qualità e abbondanza e la cosa ancora non si ferma.
Mi sveglio persino alle otto e già picchietto sui tasti pensando a cosa inventarmi.
Intanto ho completato l'ultima tessera della mia trilogia milanese che Eclissi editrice pubblicherà penso per Natale e che avrà titolo "Il triangolo quadrato", nella quale ci sarà anche un coccodrillo, poi ho impostato due libri grafici con e per le fatate manine della Dolce, "Il catalogone delle arrabbiature", una specie di Postalmarket infantile, una roba che vorrei i bambini usassero male, sbatacchiandola qua e là perché con copertina in cartoncino, poi un progetto per case francesi che tanto ci lodano ma che ancora non firmano, poi la storia di un uovo che si chiama Ovonzio, poi un manoscritto di fantascienza che ha in mano un agente in cui mi sono inventato la Trasmissione Schumann come futuro delle comunicazioni cerebrali connesse ( e che mi parla di due possibili contratti com medi editori), poi una serie di articoli preparati per propormi alla redazione di un giornale fighetto motoristico quale collaboratore esterno (ziocane, ho o non ho detenuto i record della pista a Monza (2 volte, miei cari....), al Mugello e a Misano quando i capelli non erano bianchi? Sì che l'ho!).
Fallirà tutto?
Possibile, chi lo sa, e soprattutto chi se ne frega?
Fare, fare, fare, questa è l'unica missione in questa vita breve, merdosa e di assoluto passaggio, sennò ci si rompono le palle.
Fortuna vuole non abbia optato per bambini scassacazzi e mangiavita e quindi ho un mare sconfinato di burrose possibilità davanti, grosse porte di mogano che mi si chiuderanno sul muso sfigurandomi ma anche pertugi dai quali magari passerò di giustezza.
E poi voglio la moto porca troia, perché il mio vecchio St 955 rubato ancora mi fa piangere e scaracchiare nel fazzoletto.
Uno dei misteri dell'universo, mai un suo pezzo apparso sui canali internet, e alcuni li avevo modificati in maniera evidentemente riconoscibile, mai niente di niente su tutta la rete, una moto che esiste in tre esemplari in Italia, che nessuno si caga, sparita, puff, senza un motivo apparente.
Adeso però, dopo una forte infatuazione per la Ducati Scrambler (gialla!), che quei puttani bolognesi ti vendono però a peso d'oro, sto pensando di rimanere fedele al tre, che suona come niente altro se debitamente lasciato cantare, una Street triple 675, prima versione fari tondi, al momento con 3500 ce la si accaparra ( e sono ancora il doppio di quel che potrei stanziare, ma vabbè) tutta wrappata, una bella pellicola sul serbatoio, con qualche motivo che mi aggradi, uno scarico basso, due dita sulla frizione e via a sgommare in faccia al cancro del cazzo.
Pensavo ad una cosa così, è abbastanza farabutta?
Io toglierei il monoposto, che costa, lo spoiler, che costa, il cupolino, che costa, ma mi terrei l'Arrow Low Boy che vedete montato lì sotto e poi la wrappizzo a rigoni, o a fiori hawayani, tipo l'Aprilia 250 di Valentino di secoli fa




Vedrai se poi la malattia non si leva dai coglioni.
Qui sotto invece il wrapping lo fanno per i ricchi, quel pessimo di Lapo Elkann, gran maestro di stile però, che sta avendo la bellissima idea di far riqualificare la splendida stazione Agip di Piazzale Accursio da De Lucchi, questa sotto, impiantandoci una società che si chiama Italia Custom o roba simile e tratta barche, moto, aerei allo stesso modo.



E poi l'integrazione.
Che maroni leggere banalità continue, questo sì che mi scoraggia, perché la gente reitera nella stupidità, banalizzando il pensiero senza approfondire mai una sega.
C'è un quartiere di Milano, che per la cronaca, come città, sta rinascendo su bene devo dire, riempiendo lentamente spazi abbandonati da decenni con cura e idee, che si chiama San Siro.
Da una parte la zona delle ville nobili, gente che il 675 wrappizzato ce l'ha già, contiguo al quadrilatero di case popolari sorte nel dopoguerrra per ficcarvi gli sfollati e che nei decenni sono diventate molte cose, tutte brutte e degradanti e che ora sono una succursale di Islamabad.
E si parla di integrazione, che manca, che serve...
Lo dico subito e lo dico chiaro: L'INTEGRAZIONE NON ESISTE E MAI ESISTERA'.
La società umana è composta da individui, lo dice la parola, unici ed inintegrabili.
Accoppiabili, sì, affini forse, ma non integrabili.
Per quello esistono, in ogni nazione civile, le leggi.
Tu vieni qui col velo, senza velo, col sandalo con quel che vuoi, però segui i cartelli e fai la differenziata, parcheggi dove devi, non pisci sulle auto in sosta.... segui ciò che la legge prescrive e in Italia ce n'è una per ogni minchiata, e sei a posto (tipo togliere i crocifissi da scuole e ospedali ad esempio, che sono lì abusivamente, costituzionalmente parlando, non perché lo dice un muslim).
Semplice.
Si tratta di adeguamento, non sconfitta, non integrazione e i problemi spariscono.
Se poi la donna velata viene a chiedervi la farina perché l'ha finita tanto meglio, ma è un dettaglio insignificante, non è un kibbutz quello che dobbiamo edificare ma una società civile.
Il problema semmai è che si vigili sul rispetto delle regole e qui, ahi ahi, qui sì che siamo italioti del menga.
Detto questo, al momento, nel temuto quadrilatero arabo stretto tra le vie Preneste, Tracia, Civitali si spaccia garruli come in tutta la città, come sempre è successo nei secoli dei secoli, ma le uniche bombe che tirano sono quelle da tre punti nel campetto (bello e riqualificato) di Piazza Selinunte.
E sapete perché?
Perché nel rettangolo tutti rispettano le stesse regole.
Bye bye.

domenica 1 maggio 2016

Delitto sul Po

Antonio Rezza è un genio e Flavia Mastrella pure, questo lo scrivo subito così mi tolgo il peso.
Uno è il più grande performer vivente (dice lui), l'altra la schiva sodale che costruisce sul palco l'unico mondo possibile nel quale lui può esprimersi.
Semplice, come sanno essere semplici tutte quelle cose che una volta viste sembra inevitabile dovessero essere esattamente così, ma che prima che qualcuno ci pensasse non esistevano.
Io ho visto "Fratto X" al Gaetano Pini, che è un ex istituto psichiatrico di Milano, qualche anno fa e lì ho capito che quell'uomo (e quella donna) andrebbero protetti, clonandoli per usi futuri quando gli originali si guasteranno per umana consunzione.




Se proprio non vi va di sfidare gli acari delle poltroncine di un teatro, consigliovvi la visione dei corti per farvi un'idea, corti che per fortuna sono in massa rappresentati su Youtube ma che andrebbero conservati in supporti più stabili per vederli e rivederli.
Qui posto solo "il Telefonetto", per titillare curiosità, poi il viandante di turno decida per il meglio e per il futuro:  https://www.youtube.com/watch?v=romlySmAq5o

Ma non è esattamente di questo che mi premeva dire, piuttosto di una fatica cinematografica che probabilmente rappresenta anche il più grande fallimento al botteghino della storia: poco più di 200 euro versati da complessivi 48 spettatori (fonte: il dizionario del cinema, Frassinelli, 2004) nell'avventuroso passaggio in sala voluto da qualche eroe rivoluzionario consapevole del bagno di sangue cui andava incontro.




Girato nel 2002 e divenuto lungometraggio da 74 minuti, "Delitto sul Po" era nato inizialmente come sceneggiato, composto da puntate di 30 secondi.
La scansione però, anche tirata sul lungo, rimane quella originaria, con ogni miniblocco separato dall'altro da un nero di cinque secondi.
Non c'è sceneggiatura di partenza, anzi la storia prende forma direttamente al montaggio, tutti gli "attori" sono doppiati da Rezza stesso, l'obiettivo della macchina è nastrato sopra e sotto per simulare l'effetto cinemascope: è un delirio iconoclasta di fascino malsano, quel tipo di cose weird alle quali rimango regolarmente attaccato come una mosca alla cacca.
Non sto a parlare della trama, perché quella c'è ma conta poco o nulla, è una pura formalità di cui ci si dimentica in men che non si dica.
Sia chiaro, il film è quasi insostenibile, rende "2001" un'opera di scorrevole fruizione per dire, ma io conservo la sua vhs originale gelosamente, come una reliquia, guardandomi bene dal proporne una visione collettiva che superi i dieci minuti a chicchessia, almeno non prima di aver verificato la tenuta a certi spettacoli inusuali dei prescelti facendogli visionare in modalità Cura Ludovico: Freaks di Browning, Popeye di Altman con Robin Williams e Ratataplàn di Nichetti.
Delitto sul Po chiede dedizione e mente riposata, voglia di non prendersi troppo sul serio e desiderio di sperimentare modalità espressive alternative ad Amici o X Factor.
Con tutto il bene che si può dire di chi non perde una puntata né dell'uno né dell'altro, sia chiaro.
In uno dei miei sogni proibiti rivestivo il ruolo di potente direttore di rete con poteri illimitati, e dopo aver riformato il palinsesto spostavo Maria DeFilippi e Barbara D'Urso in seconda serata ad interpretare scene lesbo per anziani, promuovendo Rezza e Mastrella a direttori artistici di Canale 5 con libertà d'azione.
Una frase tratta dall'opera, una a caso ma pregna di significato per chiudere il post:

Molti mi chiedono a che età ho avuto il primo rapporto sessuale. Molti mi chiedono a che età ho avuto l'ultimo. Io mi ricordo solo che eravamo in quaranta.




venerdì 22 aprile 2016

A volte nevica (in aprile)

Non so perché, ma quando mi ripenso giovane la prima immagine che viene è di me col vento tra i capelli.
Come se allora tirasse vento tutti i giorni.
Mah.
La seconda è l'estate del 1987.
Non tutta, solo un pezzo, piccolo, in giugno, solo i giorni che separavano il concerto di Prince da quello di Bowie.
Non so perché, ma quando penso all'estate l'estate è quei giorni là; né prima né dopo: quelli.
E da ieri l'estate è finita, visto che il Principe ha pensato bene di lasciarci anche lui come già il Duca.
Pare un filo riduttivo, perché di cose poi ne sono seguite in abbondanza, ma la sensazione di termine di qualcosa è nettissima, come se fosse scesa una serranda.

Poi c'è che vedendo Fargo (seconda stagione), la faccenda dell'ufo mi ha entusiasmato al punto da inserire un coccodrillo nell'ultimo tassello della mia trilogia milanese.




Quelle cose che c'entrano niente con il resto, ma nelle quali il resto è talmente forte, valido e ben congegnato da renderle valore aggiunto di una storia.
Vediamo se ci riesco o viene fuori una cagata.
Dove e perché lo scoprirà chi vorrà, prima dovrei finire di scriverlo e consegnarlo allo svogliato, microscopico editore perché esca per la fine dell'anno però, e con tutti questi lutti non ho troppa voglia di scrivere.
In realtà è che sto mettendo a punto storie per bambini ed è un casino, perché io scrivo dritto ed asciutto per gli adulti, mi viene così e lavoro affinché quel tipo di narrazione sia sempre più dritta ed asciutta, ma 'sti bambini del cazzo vogliono forme più morbide  e rassicuranti (almeno questo dicono quelle gran teste di minchia delle case editrici, e finché non avrò ragione di una di loro avranno buon gioco con le loro teorie del menga) e quindi passare in continuazione da un registro all'altro è impegnativo.
Però il tentativo di essere pubblicato dall'editoria per ragazzi è anche stimolante, è una sfida divertente, mi piace, nonostante la mole di porte in faccia ricevute finora, ed è una di quelle situazioni nelle quali se riesci, poi, di sassolini da estrarre dalla scarpa e tirare in testa a qualcuno ne avrai tanti.
Attendo quella povera soddisfazione con ansia, perché io sono gretto e meschino, poche balle, e godo di queste piccinerie.
E poi ho anche visto la sequenza di lotta più bella della storia, al pari solo di quella di Old Boy che sembra una striscia disegnata, ripresa com'è con un carrello laterale.
La scena è in Daredevil (prima stagione), serie che ho succhiato da Netflix con metodi truffaldini, stante la mia indigenza permanente, seconda o terza puntata e comincia da qui, con un piano sequenza magistrale:



Non scrivo "fidatevi", perché se c'è un momento in cui non mi fido è quando qualcuno lo scrive in coda ad una sua affermazione, però fatelo.
Matt pesta dei sedicenti russi con una grazia violenta e realistica commovente.


Guardo fuori, c'è il sole.
Anche in questo aprile non nevicherà.




lunedì 22 febbraio 2016

L'intestino di Giulia è felice

Mi hanno regalato questo libro:

:

L'ho affrontato senza sospetti, ridacchiando per l'impostazione e rompendomene le balle dopo venti pagine.
Poi però approfondisco la cosa e scopro che Giulia Enders, che lavora in campo medico e ne è l'autrice, in Germania ha venduto una milionata di copie del libro in questione.
Allora smetto di ridere e ci rifletto un po' su.
La ragazza, la vedete, si pone acqua e sapone, quasi adolescenziale e la scrittura riflette questa impostazione.
Il libro parla di merda, tutto il tragitto che questa fa dalla bocca al water, però, appunto con stile gné gné, ammiccante, tipo chiamare le feci "cacca" tutto il tempo e i vari organi interni in mille modi simpatici, buffi, ruffiani.
C'è anche quella che chiama "la scala di Bristol", pare codificata nel 1997, con l'analisi dei vari tipi di cacca, così che il lettore possa alzarsi dalla tavoletta, guardare in basso e cercare il suo gruppo di appartenenza senza timore.
Indubbiamente un'operazione meritoria per quanto riguarda la divulgazione, si parla dell'intero ciclo digestivo, dei disturbi (sotto forma di intolleranze a questo e quello) e degli attori di tutto il processo con parole semplici ed alla portata di tutti.
Però, mi chiedo, è mai possibile vendere un milione di copie di questa roba?
Perché?
In fondo si tratta di un libro che parla dell'intestino.
Stop.
Certo, ci sono i simpatici disegni della sorella di Giulia, Jill, a corredo, ma non credo che la cosa sia dirimente, no?
Un milione di copie di un libro che parla dell'intestino, di una storia che non c'è.
Come può svilupparsi un passaparola abbastanza potente da far volare le vendite in questo modo?
Mi sarei aspettato, dopo averlo letto, che esaurito lo zoccolo duro dei salutisti e degli impallinati del bio e del ritorno alla naturalità la cosa si arrestasse, perché dopo tre capitoli che mi descrivono i villi intestinali e la peristalsi, anche con tutte le paroline simpa che vuoi, uno prenda e lo metta via, magari senza nemmeno finirlo... invece no, a quanto pare.
E per me è un mistero, più ancora delle sfumature di grigio o nero, perché è si scritto molto meglio di quelli, ma parla di un argomento che dire "di nicchia" è fargli un complimento.
Però è così.
Se ne ricava, ma questa è una certezza che molti già conoscono, che riuscire in un campo qualsiasi, che sia quello letterario o quello che volete voi è legato ad una serie di fattori così impalpabili, così imponderabili da autorizzare a dire una parola che li riassume e racchiude tutti: CULO.
Questa la lezione che, per l'ennesima volta, ci viene impartita: nella vita ci vuole culo, e senza il culo non si va lontanissimo.
Magari un po' più distante di altri, ma certo non molto lontano.
Quindi sforzatevi sì, qualsiasi cosa facciate, ma non fatevene una malattia: senza la botta di, c'è poco da fare guys.
Proooot.

domenica 7 febbraio 2016

Trapezio

Le associazioni spontanee che il cervello fa sono sempre degne di attenzione.
Ad esempio, oggi, reduce da una visita al Mudec, me ne torno a casa con una foto nel cellulare.
La foto è questa:



Si tratta di una statuina di legno, africana.
A parte tutto ciò che di lei si poteva dire, a me della sua africanità interessava poco.
Quel che più mi colpiva era qualcosa che l'oggetto aveva messo in moto ai piani alti, quelle cose, appunto, che il cervello si mette ad elaborare quasi di nascosto, mentre manda avanti la baracca e sovrintende a tutto il resto, salvo poi risputarti fuori l'argomento quando ha deciso cosa farci.
In sostanza la postura mi ricordava qualcosa di ben più europeo e contemporaneo che inizialmente non focalizzavo.
Poi ecco la luce:



Il tipo fotografato sul retro di Transformer, album del...boh 73? di Lou Reed.
La sbandata glam di Lou Reed per precisare, quando lui, truccato da Ziggy in persona, si presentava con zeppe, ombretto e unghie dipinte di nero.
I pezzi inclusi, che lì potete vedere, vi danno la misura dell'opera.
E la foto, quella della minchia del soggetto, invero atomica.
Tutto soddisfatto dell'intuizione mi dispongo ad accendere la Playstation, salvo poi sentire che il parto non é concluso, forse un gemello?
Sì, perché subito mi viene il pensiero di un'altra immagine, questa:



Che è invece la copertina di The Idiot, Iggy Pop anno '77.
Posizione assimilabile al minchiuto e quindi alla statuina apotropaica, ma anche legata in qualche modo a Lou Reed attraverso Bowie, che, non pago di creare quel che creava per sé, aveva pure prodotto il lavoro di Reed e addirittura scritto questo per l'Iguana...
Dico addirittura perché, nel secondo caso, in quel 1977, il Duca Bianco ebbe la forza creativa sufficiente per comporre Low, Heroes, The idiot e pure Lust For Life, sempre per Pop.
Come ci sia riuscito non lo so, ma giustifica pienamente quello che il mondo ha detto di lui dopo che se ne è andato a gennaio.
Ma, dato che le contrazioni continuavano, ho riaperto le gambe e ho spinto, per vedere cosa ancora dovevo partorire:



Questo.
Notate analogie con la copertina di The Idiot?
Esatto, si ispira a questo dipinto di Erich Heckel che si intitola Roquairol, dei primi anni del novecento, figlio di un movimento, l'espressionismo tedesco, che ha segnato pittura, cinema, grafica e chissà cos'altro.
Questa faccenda di trovare un aggancio tra cose diverse mi ha fatto visualizzare fugacemente un trapezio, che deve essere afferrato al volo per non cadere di sotto e continuare le evoluzioni, esattamente come si afferra un pensiero per la coda scoprendo che si porta appiccicati addosso altri pensieri, altri mondi.
A questo serve leggere, brutti stronzi che non lo fate, a conoscere più cose del mondo e a stupirsene, e goderne, e a sentirsi meno di passaggio, meno precari in questo nonsense che viviamo.
Uhm... trapezio pensavo... trapezio... e di nuovo una contrazione:




Voilà, Trapezio: Renatone anno 1976, terzo album della carriera, che ha, guarda caso, punti di contatto col resto del discorso fatto, non foss'altro per il fatto che allora il suo travestitismo era stato accostato proprio al glam di Bowie del '72-'73 (con anni di ritardo, ma siamo italiani, non scordiamolo mai).

Basta, credo.
Il filone mi pare si esaurisca qui.
Certo che se una singola statuina fa questo effetto, chissà cosa può sortire una statuona?