lunedì 18 gennaio 2016
Brevi rabbiosi brainstorming
L'idea è arrivata.
Come sempre succede l'ha fatto dalla direzione che non ti aspettavi, come quando ti scontri con qualcuno che non hai visto nello specchietto:
- Ma veniva da lì?
- No, da là.
Il nome dell'untore verrà celato sotto pseudonimo, acciocché egli venga protetto dal torchio del successo, e lo stabiliamo qui ed ora in "Il Rude Evin".
Orbene, il Rude Evin che da un po' la remenava (neologismo meneghino che sta per "riproponeva esercitando educata ma costante pressione") svolge un delicato mestiere di contatto.
Contatto umano, quello della peggior specie, quello nel quale si discutono questioni di vita quotidianissima, lavando panni sporchi e regolando conti a viso aperto in fredde stanze illuminate da freddi neon.
Comunque, l'idea del Rude Evin ha messo in moto la mia e quindi ecco concepito il feto di quel che sarà l'ultimo tassello della trilogia milanese, iniziata con "Annegando Milano" e proseguita con "Le ragioni del colon".
Come al solito ho già il titolo prima ancora di capire da che parte andrà la storia: "La moglie dell'amministratore".
Odio, grettezza, un cadavere ammazzato male (quanto male? Suggerite pure), gente che fa e che disfa, gente che scopa (quanto scopa? Suggerite pure), varie ed eventuali.
Tutto il baraccone insomma.
Non ho scritto ancora una riga, le parti vanno densificando in testa al momento, quindi penso che troverete il libro sullo scaffale pronto alla vendita per il prossimo novembre, direi.
Contenti?
Non contenti?
Testimonierò convenientemente la gestazione con ecografie del manoscritto.
Le troverete sulla pagina Facebook e Instagram del sottoscritto a partire da tra un po'.
L'idea è di partire dal coito e proseguire fino all'università del nascituro, cioè il primo rendiconto di vendita fornito dalle librerie, sei od otto mesi dopo la pubblicazione.
Mi piace, spero anche a voi.
Altrimenti va bene lo stesso.
sabato 16 gennaio 2016
Sperimentare
Apprendo che Volo ha venduto 28.000 copie del suo libro in una settimana.
Sono sinceramente invidioso, s'intende, ma anche affascinato dai comportamenti ingiustificati di quella multiforme ameba che è la gente.
Che sono anche io, anche se non l'ho comprato, che ho invece trascorso gli ultimi giorni in uno stato di malinconica castrazione psicologica a causa del decesso del Duca Blanco e di un pernicioso raffreddore.
Blackstar sta vendendo tantissimo, ma Bowie è dovuto morire per arrivare a tanto.
Volo sta benissimo e vende lo stesso.
La vedo solo io la frizzante ironia?
Lunga vita a Volo comunque, ora che Ziggy è definitivamente ripartito per Marte, sperando che tragga ispirazione dal mito e provi magari a variare un pelo, solo un pelo, la struttura dei suoi romanzi, invero un po' ripetitivi.
Ma poi perché dovrebbe: vende comunque e quindi ha ragione lui.
Mi domando poi come si possa realmente sperimentare in letteratura, stretti come si è nelle regole della parola scritta: il flusso di coscienza l'ha già utilizzato Joyce, il cut upping Burroughs, la composizione sotto acido Hunter Thompson e quella sotto alcool un sacco d'altri.
Che cosa rimane da fare?
Eppoi conviene davvero?
Leggo le prose sconnesse della Santacroce, obbligate dal personaggio che s'è costruita, e mi chiedo perché lo faccia e chi riesca a leggerla, che già a star dietro a due paginette di Pinketts, per dire, è impresa titanica nonostante lui si prenda apparentemente meno sul serio.
Probabile sia così, oggi, che lo spazio di manovra sia terminato, tutti costretti a scrivere la rigida storia fantagiallarosanera stando ben allineati ché già trovare un editore così è un'impresa, figurati se mi metto a dar di matto
Non si può scrivere un equivalente di Low e me ne dispiaccio.
Poi vedo Messi che alza il quinto pallone d'oro e mi chiedo se davvero vale quattro volte di più del Maradona che mi ricordo di aver visto da ragazzino.
Mi sa di no, anche se la memoria fa sempre scherzi strani, santifica, perdona, innalza.
Dove voglio andare a parare non lo so, infatti ho forti dubbi circa quello che devo scrivere nelle etichette, anche se poi serve ad un cazzo perché qua ci passano in quattro gatti e pure spelacchiati.
Che a ben guardare è un bel vantaggio perché sono libero di fare quello che mi pare, monellescamente anche bestemmiare duro e senza motivo alcuno (posto che c'è sempre un motivo per farlo).
Lo faccio?
Tiro il porcone?
Ma no, dai.
La prossima volta magari.
Se ci sarà, perchè questa faccenda del blog mi ha già bel che rotto le scatole.
Però dicono che serve... boh.
Un giornalista del Corriere in una recensione di "Annegando Milano" ha scritto del sottoscritto "cuore da blogger"...
Andiamo bene.
Anzi sai che ti dico, per questo post non metto nemmeno un'etichetta, niente che possa teoricamente farlo emergere su google e parenti suoi.
Vediamo cosa succede, se viene letto dai soliti cinque, oppure diventano quindici o magari zero.
Visto che posso sperimentare anche io?
Sono sinceramente invidioso, s'intende, ma anche affascinato dai comportamenti ingiustificati di quella multiforme ameba che è la gente.
Che sono anche io, anche se non l'ho comprato, che ho invece trascorso gli ultimi giorni in uno stato di malinconica castrazione psicologica a causa del decesso del Duca Blanco e di un pernicioso raffreddore.
Blackstar sta vendendo tantissimo, ma Bowie è dovuto morire per arrivare a tanto.
Volo sta benissimo e vende lo stesso.
La vedo solo io la frizzante ironia?
Lunga vita a Volo comunque, ora che Ziggy è definitivamente ripartito per Marte, sperando che tragga ispirazione dal mito e provi magari a variare un pelo, solo un pelo, la struttura dei suoi romanzi, invero un po' ripetitivi.
Ma poi perché dovrebbe: vende comunque e quindi ha ragione lui.
Mi domando poi come si possa realmente sperimentare in letteratura, stretti come si è nelle regole della parola scritta: il flusso di coscienza l'ha già utilizzato Joyce, il cut upping Burroughs, la composizione sotto acido Hunter Thompson e quella sotto alcool un sacco d'altri.
Che cosa rimane da fare?
Eppoi conviene davvero?
Leggo le prose sconnesse della Santacroce, obbligate dal personaggio che s'è costruita, e mi chiedo perché lo faccia e chi riesca a leggerla, che già a star dietro a due paginette di Pinketts, per dire, è impresa titanica nonostante lui si prenda apparentemente meno sul serio.
Probabile sia così, oggi, che lo spazio di manovra sia terminato, tutti costretti a scrivere la rigida storia fantagiallarosanera stando ben allineati ché già trovare un editore così è un'impresa, figurati se mi metto a dar di matto
Non si può scrivere un equivalente di Low e me ne dispiaccio.
Poi vedo Messi che alza il quinto pallone d'oro e mi chiedo se davvero vale quattro volte di più del Maradona che mi ricordo di aver visto da ragazzino.
Mi sa di no, anche se la memoria fa sempre scherzi strani, santifica, perdona, innalza.
Dove voglio andare a parare non lo so, infatti ho forti dubbi circa quello che devo scrivere nelle etichette, anche se poi serve ad un cazzo perché qua ci passano in quattro gatti e pure spelacchiati.
Che a ben guardare è un bel vantaggio perché sono libero di fare quello che mi pare, monellescamente anche bestemmiare duro e senza motivo alcuno (posto che c'è sempre un motivo per farlo).
Lo faccio?
Tiro il porcone?
Ma no, dai.
La prossima volta magari.
Se ci sarà, perchè questa faccenda del blog mi ha già bel che rotto le scatole.
Però dicono che serve... boh.
Un giornalista del Corriere in una recensione di "Annegando Milano" ha scritto del sottoscritto "cuore da blogger"...
Andiamo bene.
Anzi sai che ti dico, per questo post non metto nemmeno un'etichetta, niente che possa teoricamente farlo emergere su google e parenti suoi.
Vediamo cosa succede, se viene letto dai soliti cinque, oppure diventano quindici o magari zero.
Visto che posso sperimentare anche io?
lunedì 11 gennaio 2016
L'armadio di Bowie
E così è andato, chiudendosi in un armadio.
Il video di Lazarus ticchettava come un'arancia ad orologeria, per dirla col suo sodale Burroughs, e noi ignari che l'esplosione rivelatrice del suo reale significato sarebbe arrivata con la morte.
Dimenandosi in un letto, coi bottoni sugli occhi, urgente di scrivere e di non sprecare niente di ciò che la fine andava regalando al suo genio creativo.
Bowie 1 - Morte 0; se ne è partito con le valigie piene di lustrini e non con gli ultimi stracci rammendati.
Che stile, che invidia.
Tra l'altro già la faccenda l'aveva pensata nel 1996 col cinico investigatore Nathan Adler, quando mise in piedi tutto l'ambaradan di Outside e i suoi bravi omicidi artistici rituali, ma gli mancava l'ingrediente decisivo.
Un cancro glielo ha fornito vent'anni dopo, e lui l'ha piegato alle esigenze dell'arte.
Dannato Duca, quanto sei stato grande; fino all'ultimo minuto.
Mi mancherai un bel po'.
martedì 1 dicembre 2015
Le ragioni del colon
Il romanzo è uscito.
Avrei scommesso di dover lottare con l'editore per difendere il titolo, invece nemmeno un po', quindi LE RAGIONI DEL COLON.
E quali sono queste ragioni?
Quelle di un soggetto ingiustamente attaccato da un parassita fastidioso, un tumore.
Come sa chi ha già perso del tempo leggendo in questo blog, il cancro in questione è quello dell'autore stesso, che ha deciso di esorcizzare quella massa assolutamente esiziale facendola recitare in una storia giallostupida, che è come mi viene quasi tutto ciò che scrivo.
La faccenda sta in questi termini quindi, un claustrofobico e breve viaggio (170 stronze paginette) nel labirinto fantastico della corsia ospedaliera affrontata da protagonista, cioè da uno che non è detto ce la faccia ad uscirne vivo.
Praticamente hanno diagnosticato il cancro ad "Annegando Milano", il precedente romanzo, giacché è il suo mattatore ad esserne colpito e a doversi sottoporre alla tristemente nota trafila medica fatta di chemioterapie, radioterapie, interventi e strizze bestiali.
Ho costruito l'impalcatura il più stretto possibile, cercando di costringere il lettore nella claustrofobia tipica delle lunghe cure, delle malattie invalidanti, quelle che ti abbassano l'orizzonte sotto la sua linea naturale, limitandoti la vista sul mondo che viene.
E, già che ero in zona, armato di un ponderoso tomo sui seria-killer, ho alzato un po' la posta introducendo pure la figura dell'angelo della morte, cioè l'assassino in ambito medico ospedaliero, che andrà necessariamente disinnescato per non rischiare di morire a causa delle sue amorevoli "cure".
Se là, in "Annegando Milano", le indagini si svolgevano nel sottosuolo, qui la profondità aumenta, perché è dentro di sé che occorre scavare per trovare le motivazioni a procedere: indagare con una sonda nasogastrica addosso non è mica facile, garantisco.
La copertina, realizzata da Cristina Raiconi (aka La Dolce), è l'elaborazione grafica di una mia colonscopia; quando si dice darsi completamente ai fan, eh?
In ordine sparso, visto che occorre sempre e comunque dare il proprio parere non richiesto:
1) Sì, Marquez è stato stronzo.
2) No, non siamo in guerra. Lo è la Francia per colpe proprie semmai e non certo perché arrivano migliaia di disperati sui barconi.
martedì 30 giugno 2015
Bislacchi appunti letterari
Vedete la Quintuplette di Jarry là sopra?
Con un posto in più è diventata una Sestuplette e l'ho infilata in un pezzo che è in concorso per i tipi del Battello a Vapore.
Entro fine settembre saprò come è andata e se passerà al livello successivo, cioè tra i cinque finalisti.
Mi aspetto che passi in tromba, perché il contrappasso di tutta la sfiga che vado accumulando dovrà prima o poi manifestarsi e quando succederà il rinculo sarà mostruoso.
Quindi metterò le mani sui millecinquecento euro del premio, più il contratto di pubblicazione con annessi e connessi, che significa la serialità per il protagonista, certo Tazio Nuvolazzi.
Bello essere stupidi.
È come inforcare un paio di occhialetti con le lenti rosa e guardare il mondo con occhi nuovi.
Bello anche scrivere per ragazzi, perché la faccenda è strana e stimolante.
Requisito numero uno: occorre scrivere la cosa più cretina che ti viene in mente, poi lasciare lì a decantare e quando la si riprende aggiungere ancora scemenza a scemenza.
Questo nella mia sensibilità compositiva.
Poi non è esattamente così, c'è tutto un lavoro di cesello che deve essere compiuto a seconda della fascia d'età per cui si scrive; il maledetto bambino ha esigenze maledettamente diverse a due anni rispetto ai quattro, a sette, a dieci ecc.
A quarantacinque non ne parliamo.
Quindi l'effetto, dopo aver magari appena finito e consegnato le revisioni de "Le ragioni del Colon", che uscirà il prossimo inverno per Eclissi, di mettersi al tavolo per concludere "La corsa dei diecimila chilometri" è quella di aver preso una craniata violenta che ti ha instupidito.
Ma poi passa la sensazione e quel che rimane si fa molto apprezzare perché scatena un flusso puro di fantasia che su di un testo per adulti è sempre mediato dalla merda che il mondo è.
Non posso dire in un romanzo "per cervelli (si spera) già formati" che l'auto del protagonista è spinta da un motore che funziona a "deliziosa melassa", né che il team francese cerca di favorire la Sestuplette spingendola con un gigantesco ventilatore col favore delle tenebre.
Invece in questo sì può ed alla fine il tutto ti estorce una piccola soddisfazione perché durante il percorso ti senti cretino a scrivere in quel modo ma la rilettura rimette a posto le cose (e la candela).
Invece bisogna essere zen, far fluire la storia, lasciandole tutto lo spazio di cui ha bisogno senza voler far con lei il saccente e pedante scassacazzi.
Vedremo un po' come andrà, intanto ringrazio il Grande Patafisico per l'ispirazione e mi scuso col suo spirito per aver modificato così brutalmente la sua creatura a pedali.
Per chiudere, voglio dire al ladro della mia motoretta, che non passa giorno senza che io scandagli il web sperando di leggere in un incidente stradale sanguinoso nel quale la sua testa viene schiacciata da un camion della spazzatura (che poi la raccoglie e la getta, come giusto, nell'umido) mentre la mia Triumph, magicamente, rimane in piedi e si ferma sul cavalletto a bordo strada.
GRAN VISIR DI TUTTI I FIGLI DI UNA MIGNOTTA!!!!!!!!
Con un posto in più è diventata una Sestuplette e l'ho infilata in un pezzo che è in concorso per i tipi del Battello a Vapore.
Entro fine settembre saprò come è andata e se passerà al livello successivo, cioè tra i cinque finalisti.
Mi aspetto che passi in tromba, perché il contrappasso di tutta la sfiga che vado accumulando dovrà prima o poi manifestarsi e quando succederà il rinculo sarà mostruoso.
Quindi metterò le mani sui millecinquecento euro del premio, più il contratto di pubblicazione con annessi e connessi, che significa la serialità per il protagonista, certo Tazio Nuvolazzi.
Bello essere stupidi.
È come inforcare un paio di occhialetti con le lenti rosa e guardare il mondo con occhi nuovi.
Bello anche scrivere per ragazzi, perché la faccenda è strana e stimolante.
Requisito numero uno: occorre scrivere la cosa più cretina che ti viene in mente, poi lasciare lì a decantare e quando la si riprende aggiungere ancora scemenza a scemenza.
Questo nella mia sensibilità compositiva.
Poi non è esattamente così, c'è tutto un lavoro di cesello che deve essere compiuto a seconda della fascia d'età per cui si scrive; il maledetto bambino ha esigenze maledettamente diverse a due anni rispetto ai quattro, a sette, a dieci ecc.
A quarantacinque non ne parliamo.
Quindi l'effetto, dopo aver magari appena finito e consegnato le revisioni de "Le ragioni del Colon", che uscirà il prossimo inverno per Eclissi, di mettersi al tavolo per concludere "La corsa dei diecimila chilometri" è quella di aver preso una craniata violenta che ti ha instupidito.
Ma poi passa la sensazione e quel che rimane si fa molto apprezzare perché scatena un flusso puro di fantasia che su di un testo per adulti è sempre mediato dalla merda che il mondo è.
Non posso dire in un romanzo "per cervelli (si spera) già formati" che l'auto del protagonista è spinta da un motore che funziona a "deliziosa melassa", né che il team francese cerca di favorire la Sestuplette spingendola con un gigantesco ventilatore col favore delle tenebre.
Invece in questo sì può ed alla fine il tutto ti estorce una piccola soddisfazione perché durante il percorso ti senti cretino a scrivere in quel modo ma la rilettura rimette a posto le cose (e la candela).
Invece bisogna essere zen, far fluire la storia, lasciandole tutto lo spazio di cui ha bisogno senza voler far con lei il saccente e pedante scassacazzi.
Vedremo un po' come andrà, intanto ringrazio il Grande Patafisico per l'ispirazione e mi scuso col suo spirito per aver modificato così brutalmente la sua creatura a pedali.
Per chiudere, voglio dire al ladro della mia motoretta, che non passa giorno senza che io scandagli il web sperando di leggere in un incidente stradale sanguinoso nel quale la sua testa viene schiacciata da un camion della spazzatura (che poi la raccoglie e la getta, come giusto, nell'umido) mentre la mia Triumph, magicamente, rimane in piedi e si ferma sul cavalletto a bordo strada.
GRAN VISIR DI TUTTI I FIGLI DI UNA MIGNOTTA!!!!!!!!
lunedì 29 giugno 2015
La vita è una merda
La moto è andata.
È durata sette notti giù in strada e puff.
Auguro al ladro e ai suoi eventuali complici di morire male, subito e soffrendo molto, consci del fatto che gliel'ho tirata io e che non li salverei nemmeno se strisciassero ai miei piedi supplicando.
I soldi non garantiscono una vita felice.
La povertà garantisce una vita di merda.
È durata sette notti giù in strada e puff.
Auguro al ladro e ai suoi eventuali complici di morire male, subito e soffrendo molto, consci del fatto che gliel'ho tirata io e che non li salverei nemmeno se strisciassero ai miei piedi supplicando.
I soldi non garantiscono una vita felice.
La povertà garantisce una vita di merda.
lunedì 15 giugno 2015
Barbuti
I post vanno diradandosi, un po' come i capelli.
Però con grande maestria raccolgo le fila e le tiro pure dei due precedenti, quelli sulla moto e sul "non buttare via niente".
La mot l'ho trovata.
Paro paro quella della foto, pagata pure molto meno del previsto, ma con un difetto: usata ma tenuta bene, come diceva Luca Carboni.
Perchè dovrà stare in strada la notte e quella oltre che consiglio porta sciami di ladriemmerda ahimé, quindi non vorrei sparisse immantinente.
Si vedrà.
Per l'altra cosa, quella della teoria del porco, annuncio l'uscita per Natale di "Le ragioni del colon", romanzo che senza il mio cancro non sarebbe stato scritto.
Sì, a queste condizioni avrei preferito non scriverlo, ma è successo e quindi, almeno, sfruttiamo le circostanze, visto che loro non lesinano nello sfruttare me.
Di cosa si tratta avremo modo e tempo di discettare, adesso mi preme parlare di una cosa che comincia a farmi girare i coglioni ed ha a che fare con le riviste patinate che stanno spuntando funghesche in edicola sul tema "motospecial vintage stile di vita fico" ecc.ecc.
Essendo finalmente rientrato a pieno titolo nella grande famiglia la cosa mi turba.
Capostipite del mescolare pere e mele e farle sembrare ben accordate la rivista “Riders“, diretta da un uomo che in anni di prove serie per riviste tradizionali aveva dissimulato l'animo fighetto come il miglior Fantomas, che propugna lo slogan "due ruote spostano l'anima", frasona generata immagino da furioso brainstorming redazionale.
Ad essa si vanno accodando altre realtà più o meno recenti, "Ferro", "Cafè Racer" e compagnia, che vanno seguendo il solco cercando di raccogliere quel che resta del mercato.
Qual'è infine 'sto mercato?
Quello dei barbuti, tatuati, stilosi, mezzi questi e mezzi quelli che non abitano mai "a" ma "tra" e non devono chiedere mai, come diceva il profumato claim.
E che viaggiano, tutti, solo su special che paiono tenute col filo e costruite in garage (varie foto dei barbuti sporchi di grasso dovrebbero testimoniarlo) ed invece pagate a peso d'oro da preparatori professionisti, ai quali non par vero di fare soldi rendendo oneste motociclette delle bare da bar.
"Bare da bar" significa esattamente quello che avete intuito.
Vengono utilizzate per raggiungere il sacro luogo deputato all'aperitivo e poco altro, perchè alla prima curva presa in allegria la mietitrice è li che attende, e ivì lasciate alla golosa visione degli avventori, nella più meneghina delle manifestazioni, più ancora del risotto giallo.
Ma che hanno di così ammaliante le moto in questione?
Sono bellissime, sì, con ciclistiche stravolte da sospensioni accrocchiate, coperture tassellate (perchè adesso va lo scrambler mentre fino a ieri mattina la cafè racer) pensate per altro e non per tirare pieghe sul duro della strada, manubri fachireschi con bracci di leva da ergastolo o stendipanni con frecce e specchietti alle estremità per centrare tutto quel che c'è al semaforo e via così.
Ma questo è il meno.
Il più è che tutte queste leggiadre creature de fèro, cavalcate da uomini dall'occhio che uccide la fiemmena o il masculo indifferentemente, nella vita reale non possono esistere.
Le pagine di queste riviste ed i loro account FB tracimano di mezzi senza frecce, solo a volte con targa, scarichi tassativamente vuoti, pneumatici non previsti dal libretto, selle da sciatica, ecc.ecc.
Belle neh, ma un'uscita con la suddetta prevede la ferrea necessità di NON incrociare neppure per sbaglio una divisa per strada pena tornare a casa col tram, né di cadere, perché l'Assicuratore del caso, alla vista della special, viene colto da potente erezione e desiderio carnale di voi.
Ma questo l'editoria di genere non lo dice mica, l'importante è spostare l'anima e avere vite avventurose.
Il tutto si completa con il tocco di demenzialità mai assente in questi casi: l'abbigliamento.
Tecnico?
Macché... davvero vuoi spendere uno stipendio, soffrire col cellophane a protezione per una settimana e poi nascondere il tattoo?
Dài.
Io guido con gli avambracci fuori per massimizzare l'investimento, e col jet più striminzo sul mercato, perché devono starci gli occhialetti fighi, (che tanto poi quando mi verrà la congiuntivite guarderò nella bottiglia dell'olio come diceva la nonna), e lasciar troneggiare la barba da hipster, tagliata e lozionata da altri hipsters, tatuati e specialmotati anch'essi, in un loop psichedelico ed inarrestabile.
Completo col giubbottino vintage, pelle fine senza paraschiena, senza gomitiere o spalle omologate cosicché possa, in un colpo solo (quello ricevuto dal bordo del marciapiede sul quale planerò grazie a quelle gomme del cazzo che monto) riportare il calendrio al 1976 ed azzerare tutto ciò che Lino Dainese s'è inventato da allora per salvarmi dalla sedia.
Sono ragazzi, che volete farci.
Però nelle foto in bianconero 'sti qua vengono bene devo dire.
Un po' li invidio.
Meno quelli nelle varie redazioni che devono inventarsi storie da hard boiled per vendere.
Auguri.
Meno invidio ATP che s'è fracassato una gamba col suo GranPasso e che da qui saluto con mugliera.
Pistola, non avevi abbastanza tatuaggi!
Però con grande maestria raccolgo le fila e le tiro pure dei due precedenti, quelli sulla moto e sul "non buttare via niente".
La mot l'ho trovata.
Paro paro quella della foto, pagata pure molto meno del previsto, ma con un difetto: usata ma tenuta bene, come diceva Luca Carboni.
Perchè dovrà stare in strada la notte e quella oltre che consiglio porta sciami di ladriemmerda ahimé, quindi non vorrei sparisse immantinente.
Si vedrà.
Per l'altra cosa, quella della teoria del porco, annuncio l'uscita per Natale di "Le ragioni del colon", romanzo che senza il mio cancro non sarebbe stato scritto.
Sì, a queste condizioni avrei preferito non scriverlo, ma è successo e quindi, almeno, sfruttiamo le circostanze, visto che loro non lesinano nello sfruttare me.
Di cosa si tratta avremo modo e tempo di discettare, adesso mi preme parlare di una cosa che comincia a farmi girare i coglioni ed ha a che fare con le riviste patinate che stanno spuntando funghesche in edicola sul tema "motospecial vintage stile di vita fico" ecc.ecc.
Essendo finalmente rientrato a pieno titolo nella grande famiglia la cosa mi turba.
Capostipite del mescolare pere e mele e farle sembrare ben accordate la rivista “Riders“, diretta da un uomo che in anni di prove serie per riviste tradizionali aveva dissimulato l'animo fighetto come il miglior Fantomas, che propugna lo slogan "due ruote spostano l'anima", frasona generata immagino da furioso brainstorming redazionale.
Ad essa si vanno accodando altre realtà più o meno recenti, "Ferro", "Cafè Racer" e compagnia, che vanno seguendo il solco cercando di raccogliere quel che resta del mercato.
Qual'è infine 'sto mercato?
Quello dei barbuti, tatuati, stilosi, mezzi questi e mezzi quelli che non abitano mai "a" ma "tra" e non devono chiedere mai, come diceva il profumato claim.
E che viaggiano, tutti, solo su special che paiono tenute col filo e costruite in garage (varie foto dei barbuti sporchi di grasso dovrebbero testimoniarlo) ed invece pagate a peso d'oro da preparatori professionisti, ai quali non par vero di fare soldi rendendo oneste motociclette delle bare da bar.
"Bare da bar" significa esattamente quello che avete intuito.
Vengono utilizzate per raggiungere il sacro luogo deputato all'aperitivo e poco altro, perchè alla prima curva presa in allegria la mietitrice è li che attende, e ivì lasciate alla golosa visione degli avventori, nella più meneghina delle manifestazioni, più ancora del risotto giallo.
Ma che hanno di così ammaliante le moto in questione?
Sono bellissime, sì, con ciclistiche stravolte da sospensioni accrocchiate, coperture tassellate (perchè adesso va lo scrambler mentre fino a ieri mattina la cafè racer) pensate per altro e non per tirare pieghe sul duro della strada, manubri fachireschi con bracci di leva da ergastolo o stendipanni con frecce e specchietti alle estremità per centrare tutto quel che c'è al semaforo e via così.
Ma questo è il meno.
Il più è che tutte queste leggiadre creature de fèro, cavalcate da uomini dall'occhio che uccide la fiemmena o il masculo indifferentemente, nella vita reale non possono esistere.
Le pagine di queste riviste ed i loro account FB tracimano di mezzi senza frecce, solo a volte con targa, scarichi tassativamente vuoti, pneumatici non previsti dal libretto, selle da sciatica, ecc.ecc.
Belle neh, ma un'uscita con la suddetta prevede la ferrea necessità di NON incrociare neppure per sbaglio una divisa per strada pena tornare a casa col tram, né di cadere, perché l'Assicuratore del caso, alla vista della special, viene colto da potente erezione e desiderio carnale di voi.
Ma questo l'editoria di genere non lo dice mica, l'importante è spostare l'anima e avere vite avventurose.
Il tutto si completa con il tocco di demenzialità mai assente in questi casi: l'abbigliamento.
Tecnico?
Macché... davvero vuoi spendere uno stipendio, soffrire col cellophane a protezione per una settimana e poi nascondere il tattoo?
Dài.
Io guido con gli avambracci fuori per massimizzare l'investimento, e col jet più striminzo sul mercato, perché devono starci gli occhialetti fighi, (che tanto poi quando mi verrà la congiuntivite guarderò nella bottiglia dell'olio come diceva la nonna), e lasciar troneggiare la barba da hipster, tagliata e lozionata da altri hipsters, tatuati e specialmotati anch'essi, in un loop psichedelico ed inarrestabile.
Completo col giubbottino vintage, pelle fine senza paraschiena, senza gomitiere o spalle omologate cosicché possa, in un colpo solo (quello ricevuto dal bordo del marciapiede sul quale planerò grazie a quelle gomme del cazzo che monto) riportare il calendrio al 1976 ed azzerare tutto ciò che Lino Dainese s'è inventato da allora per salvarmi dalla sedia.
Sono ragazzi, che volete farci.
Però nelle foto in bianconero 'sti qua vengono bene devo dire.
Un po' li invidio.
Meno quelli nelle varie redazioni che devono inventarsi storie da hard boiled per vendere.
Auguri.
Meno invidio ATP che s'è fracassato una gamba col suo GranPasso e che da qui saluto con mugliera.
Pistola, non avevi abbastanza tatuaggi!
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