giovedì 8 maggio 2014

L'Automobile

In vita mia ho posseduto svariate automobili.
Ora non ne ho manco una ma, statisticamente, dai 18 ai 41 anni se ne sono succedute sette direttamente riconducibili a me.
Alcune le ricorderò sempre con molto affetto, altre meno, ma UNA, una per me rimarrà l'AUTOMOBILE, quella che vorrei avere ancora, che rimpiango e che per certi versi più mi ha rappresentato.
L'oggetto è questo:


Stessa capote, stesse ruote e stessi interni della mia... nostalgia bagascia! 

Si tratta di una Jeep Cj-5.
Una linea senza tempo, mutuata dalle Willy's della Seconda Guerra, con quei fari tondi e le sette feritoie frontali classiche quanto le cariatidi del Partenone.
Già allora dovetti scontrarmi con la crassa ignoranza della vulgata.
Jeep è un nome da sempre percepito come definizione del segmento fuoristrada, (che se grossi diventano gipponi...) come lo scotch per il nastro adesivo, cosi quando mi chiedevano che macchina avessi e rispondevo "una Jeep" andava in scena invariabilmente il seguente cabaret:
"Sì ma che marca".
"Jeep".
"Ho capito ma Mitsubishi, Land Rover...".
"Jeep".
 "Stronzo, non me lo vuoi dire...".
"JEEEEEEP".
Comunque, la vettura in questione la trovai sulle pagine di una rivista in quel di Cremona e per lei vendetti una moto e qualcos'altro che non ricordo più.
Mi scontrai con un po' di problemi, io che all'epoca volevo fare l'americano a Milano, e cioè che il vero desiderata, il SUO motore d'elezione, non si trovava in giro facilmente e quindi dovetti ripiegare sulla prima che trovai a prezzo per me abbordabile ma col motore sbagliato.
Si sappia che questo sbaglio era un sottosviluppatissimo Isuzu a gasolio ASPIRATO (!) duemila e quattro che erogava poco più di cinquanta cavalli...
Leggi non andava un cazzo.
E quando dico "cazzo" credeteci.
Centodieci orari in scia ai Tir se in buona, altrimenti qualcosa meno, nel traffico della città mi salvavano il discreto tiro in basso e le marce rapportate sul corto ma era comunque un esercizio buono per l'autocontrollo quello di contenere le bestemmie ad ogni affondata sull'acceleratore.
In compenso, e questa era una caratteristica di quei mezzi, lo sterzo era preciso come la mano di un ubriaco e i freni più che frenare "suggerivano" un rallentamento (anche alle velocità comiche che si potevano tenere).
Ma vi assicuro signori e signore, che procedere in tutto relax con una Cj completamente aperta (cioè senza tetto né portiere) e vedere ogni ostacolo sparire sotto l'alto cofano dava una sensazione di piacere fisico  e libertà di movimento che ancora ricordo con vivida emozione e che nessun altro mezzo a motore mi ha mai più regalato (nemmeno le moto per dire).
Una volta mi colse un temporale in autostrada mentre viaggiavo in quel modo.
Finchè procedetti l'aerodinamica convogliò la pioggia alle mie spalle, lasciandomi asciutto e giulivo sotto gli occhi invidiosi degli altri, chiusi nelle loro scatolette di sardine.
Poi arrivai al casello e smisi di ridere.
E un'altra volta feci il viaggio Milano - Misano Adriatico en plein air, coi capelli scompigliati dal vento ed il sole su (un lato) della faccia.
Arrivai in Riviera che sembravo il Barone Ashura, pallido di qua e ustionato di là, e con le alghe al posto dei capelli, ma che figata e che nostalgia... ero il monarca dell'Autosole.
La volli bordeaux metallizzato, da oro pallido che era con fregi adesivi arancio-marroni (troppo yankee per i miei nobili gusti), con i cerchi bianchi.
Ruote da 31pollici, grandi ma non grandissime (la morte sua, di un Cj, avviene con le 33'' ed un leggero rialzo) così,




Per contenere i costi mi fidai di un cretino e la portai da un amico suo che era carrozziere come io ero panettiere.
Riuscì nella non facile impresa di farla diventare per tre quarti metallizzata e per uno pastello (negli angolari posteriori) senza che riuscissi mai a capire come aveva fatto.
Ma tant'è, era bellissima coi suoi interni di panno beige, il soft top nero e tutti gli accessorietti che le avevo donato (essendo un Renegade aveva finiture verniciate in nero, io montai ganci e cerniere cromati del Laredo), non ultimo uno scarico laterale che scimmiottava quelli del benzina, che però erano uno per lato contro il mio solitario a sinistra.
E gli interni?
Adesso si storce il naso se manca il navigatore o la telecamera per il parcheggio... guarda qua com'è la situazione in uno di quei mezzi fantastici:

Se montavi lo stereo eri già un signore... io l'avevo e anche l'inclinometro a mercurio che 'sto barbone non ha.

Non c'è niente!
Che sogno.
Dovetti venderla ad un certo punto ad un rude edile veneto che voleva impiegarla nei cantieri, perchè la conta dei piccoli problemucci che saltavano fuori cominciava ad essere oltre le mie possibilità.
Il detto "chi più spende meno spende" è più vero del vero.
La salutai per sempre una sera, sul piazzale di San Siro, dove anzichè il suo sottile volante mi rimasero in mano un pacco di centomila.
Non ho foto di lei e me ne dispiaccio.
Nei miei sogni spesso la guido ancora qua e là con immutato buonumore.
Se dovessi vincere al totocalcio o ereditare da un parente che purtroppo non ho però saprei che fare.
Mi ero dovuto accontentare del Cj-5 ma esteticamente gli preferivo il 7, quello a passo lungo, benché un po' più pesante (perchè a parer mio il pezzo in più equilibrava la linea e metteva in maggior risalto le ruote, anche grazie al suo assale posteriore più largo che le spingeva libidinosamente fuori dai parafanghini).
Così, per capirci:

A questo Cj-7, oltre alla parola, mancano solo gli scarichi laterali.

Me lo farei fare nero opaco stavolta, con gli scarichi laterali cromati e con sotto al cofano il suo originale AMC 304 a benzina, un primordiale otto cilindri a v di 4980 cc, possente e gorgogliante come una pentola di fagioli.
Ascoltare per credere.





150 cavalli, coppia come i turbodiesel moderni e il carter dipinto vezzosamente di blu, vorace carburatore Edelbrock doppio corpo per fare poco più dei cinque con un litro a starci attento e vaffanculo a tutte le Aree C del mondo.
Anzi, visto che son qua a sognare, farei come molti fanno con quei favolosi trattori, gli monterei sotto il 360, cioè un 5800, che era lo stesso blocco motore ma destinato al modello Gran Wagoneer, l'ammiraglia della gamma.
Allora sì che sarei a posto fino alla fine dei miei giorni.
Ora scusatemi, ma tutto questo fantasticare sul Cj mi ha portato ad una inconsapevole polluzione diurna.
Vado a fare un bidet.

martedì 6 maggio 2014

Cibo Matto

Le Cibo Matto sono queste qua:



Insiema ai Pizzicato Five, che sono invece questi,





 avevano fatto parlare di sé una decina d'anni fa mi pare, più per il nome che per la musica che facevano.
Ma non è di loro che volevo dire, era solo un'alibi per arrivare a parlare di quest'era del cibo sempre e comunque che stiamo vivendo.
In Italia non c'è altro argomento di discussione in questi ultimi tempi.
Viviamo in un parossismo gastronomico, in un orgiastico banchetto diffuso.
Vai a cena da amici e mentre stai mangiando un primo od un secondo qualcuno salta su ricordando lo spaghetto di Tizio e la torta di Caio con doviziosa descrizione della preparazione.
E il bello è che tutti partecipano, tutta la tavola, anche gente di cui non avresti detto, tutti lì a farsi le pulci sulla cottura o sulla quantità e con vero interesse, mica per una questione di educazione.
Una volta i programmi di cucina in tv si contavano sulle dita di una mano monca.
Lo so perchè erano i miei favoriti all'ora dei pasti, (al limite mi facevo andar bene Corrado col Pranzo è servito)





perchè mi scatenavano un extra appetito che rendeva pantagruelico anche il mio smunto panino col prosciutto.
Sì, perchè mia madre aveva intuito le potenzialità di un figlio che si accontentava di quel che trovava al ritorno da scuola nell'ottica di un certo fancazzismo, e aveva introdotto lestamente un regime a base di rapidi panini imbottiti che io non sono mai più riuscito a spezzare.
Per questo poi, da grande, mi sono sempre ben guardato dall'andare "a pranzo dalla mamma la domenica" (con suo grande sospiro di sollievo).
Oggi invece c'è da uscirne obesi solo sedendosi davanti allo schermo e a qualsiasi ora.
Ma com'è che si finisce sempre per abusare delle cose?
L'equilibrio è la dote più rara in natura.
Inoltre la figura emergente non è quella del cuoco pingue e amichevole, della Nonna o della Sora Lella della situazione, non dico una moderna epigona dell'Ave Ninchi dei tempi che furono


Ave Ninchi, appunto. 

macché, oggi va di brutto l'uomo con barba di qualche giorno ed occhio intenso che arrivato a tiro di un fornello, magicamente, si arrotola le maniche di una camicia bianchissima e comincia a tagliare pomodori con mano ferma e tocchi rapidissimi.
Un po' come un cane quando vede la palla.
Invariabilmente questi soggetti sporcano più pentole che una mensa per impiattare poi un caghino di pietanza tipo nouvelle cousine (e poi chi lava, boh?).
Il tutto dopo aver stappato una bottiglia di rosso e tirato grandi pacche virili sulla schiena dell'ospite.
Ma una volta la cena non era un'ostacolo da superare alla svelta per trombare?
Una sorta di inevitabile ostacolo che andava affrontato coi muscoli tesi come il cavallo e le parallele nell'ora di ginnastica?
Adesso chi tromba più dopo ore ed ore passate tra supermarket, preparazione e racconti su pasti e ricette altrui?
Ecco giusto ora ho visto uno spot con Favino che è esattamente così... pazzesc (cioè, non che tromba, che cucina in camicia bianca).
Liberatemi da tutto questo cibo! io, che quando confesso di mangiare solo per non crepare vengo guardato con orrore.
Almeno quando mi capiterà di introdurre a tavola un discorso diverso, chessò un po' di politichina, magari cronaca nera, delle volte attualità generica, qualcuno mi cagherà.

sabato 3 maggio 2014

Agenore Fastweb

Sotto i piedi dei milanesi serpeggiano chilometri di fibra ottica.
Questo fascio di spaghetti al dente trasporta i dati per un sacco di cose, ad un sacco di gente che ringrazierebbe per questo miracolo tecnologico.
Lo farebbe se non fosse che a gestire l'affaire non fosse una società che si chiama Fastweb.
Perchè nemmeno la rapidità della trasmissione dati che ti permette di vedere scatenate pelviche su Youporn senza scatti, riesce a far passare in secondo piano la loro inadeguatezza e l'odioso monopolio che ti costringe a dargli retta anziché sfancularli come meritano.
Cheppoi non è detto che lo siano davvero inadeguati, si comportano come tali però, mandando in giro tecnici ed assumendo al call center, pare, solo ed esclusivamente gente che non sa che cazzo stia facendo lì.
Risulta quasi affascinante sentire interpretare in tre o più modi diversi lo stesso problema e addirittura esaltante scoprire come gli abbonati di vecchia data, se non rompono le balle per un adeguamento, paghino di più dei nuovi contratti per il medesimo servizio.
Questo per dire cosa?
Uhm. uhm...
Ah sì, che in una delle loro deliranti iniziative, anni fa, ci fu quella di lanciare un decoder attraverso il quale vedere programmi esclusivi.
Un cimitero per elefanti televisivo ovviamente, con dentro un po' di tutto, tipo il bidone dell'umido: qualche puntata di vecchi show di Vianello, Mina e Carrà, vaghe partite di calcio ritenute significative, cartoni animati sbiaditi e poco altro.
A differenza del bidone non puzzava per fortuna.
Però, normalmente, le cose interessanti sparivano senza lasciare tracce dopo poco, e, tra queste, delle trasmissioni rarissime di lezioni d'arte andate in onda a metà settanta.
Ne ho già parlato nel post "metafisico" a proposito di De Chirico.
Una in particolare mi ipnotizzava attraverso un processo credo simile a quello illustrato nel post del rumore bianco: Agenore Fabbri scolpiva un cavallo nel suo studio di Albisola ed io mi collegavo al pavimento attraverso sottili fili di bava.
Proprio un processo di imbesuimento, che iniziava nel sentire il suono delle mani dello scultore schiaffeggiare la massa di creta adagiata sul tavolo.
Pat, Pat, Pat... eppoi un brivido lungo la schiena quando eseguiva i suoi tipici tagli nella massa (non per nulla lavorò gomito a gomito con Fontana), frit, frit, frit... e l'ossido di rame lucidissimo e l'ingobbio... ahhh.
Per fortuna, anni dopo il filmato, oltretutto in versione extendend, è riapparso sul sito Rai Educational.
Cavallo e cavaliere li trovo bellissimi, Fabbri e l'omone baffuto che lo assiste che lui chiama splendidamente Il Fornaciante, anche.
Tra l'altro Fabbri è anche autore di un simpatico cazzone che da anni è dimenticato in uno slargo del cosiddetto Centro Direzionale che oggi, per tutti i trendsetter col negroni in mano va sotto il nome di Porta Nuova (i primi a dire Piazza Gae li ho già sentiti e mi preparo ad aggredirli verbalmente).
Eccolo qua





Mai capito se il grido di dolore che s'intuisce scaturisca dall'angoscia del casino edilizio che c'è stato lì negli ultimi quarant'anni o dal fatto che adesso che invece un po' più in là è una figata, a lui tocca stare ancorato lì in mezzo alle sterpaglie.
Mi ricordo che una volta qualche buontempone appose un preservativo alla poderosa minchia del nostro eroe, come in un afflato di condivisione intima e di virile amicizia.
Poi sparì.

mercoledì 30 aprile 2014

L'uovo

Mi sto cimentando nella produzione di un libro illustrato, spinto dalle morbide mani ferree della Dolce.
Si intitola "Uovo".
La copertina sarà tutta nera di tempera pennellata, con sopra un uovo.
Detta così pare semplice, e lo sarà se nessuno lo pubblica, perchè significa che mi sarò limitato a schizzarne le 48 pagine a penna da mandare agli editori, senza poi doverne effettivamente creare le relative 24 tavole a tempera.
Ma dovrà pur girare una volta o l'altra no?
Adesso poi che mi accingo ad affittare il mio loculo monolocale, arioso e luminoso, ad un sassofonista dell'Est per tirare avanti, sento più pressante l'urgenza che la nostra opera ottenga riconoscimenti.
Mica solo per la soddisfa, proprio per l'alimentazione.
Tra un po' esce anche "Annegando Milano"e parallelamente dovrei continuare a stendere "Encefalonight" se solo questa uggiosa infezione intestinale la smettesse di condurmi sulle conosciute vie del cesso con questa frequenza.
Eppoi piove, dato che pare si siano messi d'accordo per fare di Maggio il mese più umido e stronzo dell'anno: fa caldino sì, ma tanto piove, dove vuoi andare?
Quann'ero ggiovane maggio era il mese più bello, pieno di luci, fiori e colori.
Guardalo ora...
Ma basta, stavolta parlo di bici.
La bici è come l'uovo.
Semplicità assoluta, almeno formalmente: sono otto tubi di ferraccio saldati insieme a tenere su due ruote e poco altro.
Il resto lo fai tu, macchina umana, propulsore odoroso, booster in pelle di questo accrocchio secolare.
Ne parlo leggermente infervorato perché tra una manciata di giorni si correrà la terza Gran Garretto, una sgangherata competizione di relitti, dalla Darsena di Milano fino ad un luogo straordinariamente ameno nel nome e nella sostanza: le dighe di Panperduto.
Me la sono inventata io e l'ho pure vinta una volta, barando come lo stronzo che sono ed ottenendone grande soddisfazione.
Se volete partecipare non dovrete fare altro che trovarvi lì dove ho detto alle 9,30 di domenica 11 maggio, ci riconoscerete.
Siamo aperti a tutti (e poi tanto chi passa su 'sto blog probabile non legga nemmeno, quindi sono tranquillo che saremo i soliti scacioni).
Ma la bici dicevo.
Ne ho fatto sempre un uso morigerato lungo la mia vita.
Come tutti da piccolo, giusto per sbucciarmi le ginocchia, poi l'oblio, distratto dal brum brum di moto e auto.
Infine lo stress e chissà cos'altro mi ci hanno riportato sopra, questa volta per faticare.
Perché, lo dico a scanso di equivoci, la bici è la cosa più faticosa che esista.
Si comincia a capire pedalando che l'aria è un fluido viscoso che è maledettamente faticoso fendere, che il vento c'è sempre e sempre in senso opposto, che il freddo è una brutta roba ma anche il caldo non scherza, che quelli che vedi in tv al Giro o al Tour sono martiri veri e si guadagnano tutti i soldi che prendono, dal primo all'ultimo.
In salita poi la faccenda si fa catartica, permette di colloquiare amabilmente coi propri morti chiedendo loro indulgenza per l'imminente trapasso.
La testa si svuota come un mantice, tutto si concentra nel torace, i polmoni stretti come prugne secche e nelle gambe, che bruciano senza pietà mentre gli occhi puntano l'asfalto e osservano la perfetta traiettoria delle gocce di sudore che cadono come pioggia d'aprile.
Questa visione mi ha suggerito l'ascolto di "Notte Rosa " dell'Umberto Tozzi.
Chissà perchè?
Poi l'ascolto davvero e mi accorgo che in un passaggio dice : "sento già che il dolore avanza, respirerò lacrime e aria che mi sbronza...".
Esattamente quel che accade.
La mente fa strani scherzi, specialmente durante una salita in bici.
Poi ci sono i furbi, i fighi, quelli che ne capiscono di più e che si avvantaggiano montando roba leggerissima, in carbonio, allo scopo di salire più rapidi, massimizzare lo sforzo.
Darei loro addosso, da bravo neoproletario quale sono, in altri momenti, ma in questo caso no, perché la bici è democrazia: si soffre e basta, tutti, nello stesso modo.
C'è condivisione, nel dolore si cresce e ci si forgia.
Con l'acciaio, l'alluminio o il carbonio.
Perché lo fai? mi sento chiedere.
Boh.
Una volta arrivato a grattare il fondo del barile fisico entrano in circolo sostanzine che il cervello tiene in serbo per i momenti migliori e tu sei finito, perché di quella sofferenza non riuscirai più a fare a meno.
Eppoi il corpo ringrazia, perché oggettivamente, una volta scansato l'infarto si sta dimmolto meglio.
Infezioni intestinali a parte, ma quelli sono cazzi miei, ahimè.
Sì, ma l'uovo?
Che c'entra l'uovo?
Niente, ma lo puoi fare sodo, alla coque, strapazzato.
Ti pare poco?
E poi ha una forma perfetta, poco da fare, molto più perfetta della tua.
Ci vediamo là.

lunedì 14 aprile 2014

Si può fare (ma non so come)

" Io, proprio io sono divenuto capace di rianimare nuovamente la materia inanimata... "  diceva il nonno di questo conosciuto scienziato,



avviato peraltro a seguire le orme di famiglia.
Ma non sono stati gli unici, i Frankenstein, a riuscire a penetrare i segreti della materia.
Altri, con esiti più piacevoli e meno cruenti hanno realizzato l'impossibile.
Mi sono stupito l'altro giorno di non aver mai incensato su questo blog né Robert Sabuda né Stephen Mottram, quindi lo faccio ora, con colpevole ritardo.
Ambedue agiscono nello stesso modo del Barone, però il primo utilizza la carta ed il secondo le marionette, così facendo si risparmiano penose nottate al cimitero con la pala in mano.
Ah, le marionette sono quelle coi fili al contrario dei burattini, che invece si sodomizzano col dito o con la mano per farli muovere; si sappia una volta per tutte.
Del primo posseggo uno dei suoi magici libri pop-up, Alice nel Paese delle Meraviglie e bramo tutti gli altri, da Peter Pan in giù (l'ultimo, appena uscito è La Sirenetta).
Un pop up è, di per sè, un oggetto parecchio magico, con quella capacità misteriosa di far emergere cose dalle semplici pagine di un libro, ma quello che Sabuda fa è altro ancora: è dare vita alla materia inanimata appunto, ma con l'aggiunta della dimensione favolistica.
Aprire le pagine e vederne emergere questa cosa qui



regala un momento di incredulità fanciullesca che chiunque può provare (e per N volte, almeno finchè la carta non si logori).
Io, spesso, apro le pagine e lascio il libro lì appoggiato, come fosse un oggetto di prezioso design, un oggetto d'arte (perchè quello è) guardandolo di tanto in tanto e chiedendomi ogni volta come cazzo faccia a farlo solo ripiegando del cartoncino colorato.
Sfido anche il più arido di voi a non atteggiare la bocca a culo di gallina davanti a questo:




Cercate i pop up di Sabuda nelle migliori librerie e correte a piazzarveli in casa, pronti ad aprirli come scrigni quando vi sentirete parte lesa di questo mondo garrota (eh, capita, capita), stando bene attenti che qualcuno in famiglia non li scambi per "roba da bambini" e li lasci a tiro dell'infante di turno.
Calcinculo!!!
Il bimbo/a va addestrato alla vita, sennò che ci state a fare voi?
I pop up di Robert vanno sfogliati in due, aperti dalla sicura mano di un adulto che guidi la zampetta del piccolo finchè non è sicuro che a quello non vengano i cinque minuti e devasti tutto quanto.
Basta poco per radere al suolo della carta in equilibrio così miracoloso.
Aiutatevi con una cinghia di cuoio per imporre la vostra autorità (oppure una salvietta bagnata).
Quanto a voi, cercate di controllarvi a vostra volta: non so quante volte ho represso l'impulso di scoprire il segreto di Sabuda, prima desiderando di ridurmi per poter entrare nella composizione, poi di smontarla come un orrido orologiaio per svelarne il mistero, ma per fortuna ho sempre resistito.
Eppoi si sa, la magia è come un vago profumo nell'aria; basta un piccolo movimento e scompare, quindi astenetevi dal farlo.
Mottram invece la sua creatura la fa sorgere dal legno, sbozzando personalmente le sue marionette e infondendo loro vita grazie a dei fili invisibili anziché con l'elettricità e l'aiuto di Igor.
I suoi spettacoli teatrali (e immagino anche le innumerevoli masterclass che organizza) fanno impressione, perchè c'è più forza vitale lì sul palco che in platea, tra il pubblico.
Non ci credete?



Ah ecco, adesso vedo che siete dalla mia parte.
Bene.
Visto che nelle sale in questo momento c'è quel pippone di film su Noè con Russell Crowe, mi auguro che se dovesse ricominciare a piovere per un secondo Diluvio Universale, a uomini come Sabuda e Mottram, capaci di farci vedere cose che non immagineremmo di poter vedere, venga riservata una morte indolore; annegare sì come tutti gli altri umani, ma almeno nel Brunello di Montalcino.
  

giovedì 3 aprile 2014

Fumetti di marmo

Se incontro per strada Mario Girotti, quello si volta se lo chiamo così oppure Terence Hill?
Insomma è più vero il nome di battesimo o il nome d'arte?
Uno ce lo troviamo attaccato addosso, scoprendolo quando realizziamo che quel suono ripetuto a macchinetta è quello che ci definirà tutta la vita, l'altro invece lo scegliamo noi.
Quindi è più vero un nome d'arte, fuck alla prepotenza genitoriale e doppio fuck alle convenzioni sceme della società.
Tutto ciò per premettere cosa?
Ma niente, solo che sono caduto vittima di una fascinazione pesante per Adolfo Wildt, scultore milanese muerto da un bel po', facciamo settantacinque anni, che aveva un nome particolare che si era trovato e si era pure tenuto.
Contento lui contenti tutti verrebbe da dire, ma lui contento non fu, giacchè trattasi di un soggetto che fu spesso bersaglio di depressione, caratteristica questa che me lo rende empatico, affine, brotha.
L'ho scoperto una domenica, mentre m'infilavo gratuitamente nella galleria d'Arte Moderna di Milano tanto per tirare sera.
Non pare vero che ci sia un posto dove poter entrare tutte le volte che si vuole a riempirsi gli occhi senza sborsare un ghello.
Invece c'è, e lì ho scoperto Wildt appunto, grazie a questa testa esposta (al primo piano, se interessa):


L'uomo antico - 1913

Mi fa impazzire.
Questo è fumetto tridimensionale non una scultura marmorea del primo novecento.
Sfugge a tutti canoni classici, con quella definizione didascalica dei capelli che sembrano bucatini cacio e pepe, gli occhioni dalle lunghe ciglia e quell'espressione estatica. Tra l'altro, prendendo informazioni sul Maestro, ho appreso che era un ammiratore del coevo Rodin, che io idolatro, il quale era a sua volta ammiratore di Michelangelo, che io idolatro, in una sorta di losco trenino dell'amore senza però risvolti ghei.
Del resto cosa c'è da dire di uno che si autoritrae così?


maschera del dolore, 1909

Nessuno sconto, nessuna autoindulgenza.
Tutta la sofferenza e la difficoltà di tenere insieme uno straccio di esistenza in questo mondo del put.
In realtà una cosa di Wildt già l'avevo vista e molte volte, ma non ci avevo fatto caso, perchè sono un superficiale e perchè sta in un angolo del cortile della Statale, luogo che frequento unicamente nelle serate del Fuorisalone e che quindi ho sempre affrontato con la mente obnubilata dai bagordi tipici di quei garruli momenti.
Male!
La statua è questa, e non è che non si noti neh...







































... sarà alta più di tre metri (per capirci, la mia testina di vitello gli arriva al ginocchio).
Ed anche qui scappa fuori il genio da tutte le parti: si tratta di scolpire S.Ambrogio, il patrono della città e lui che ti fa?
Un mezzo bullo, tutto atteggiato e con la bocca corrucciata come a dire: "Cazzo vuoi?".
Fantastico.
Questo è un gesso, il bronzo è esposto proprio in S.Ambrogio; se capitaste a tiro di Basilica non perdetevelo, e non vi dico dove sta perchè è più stimolante trovarselo da sé in mezzo alle mille meraviglie di quel luogo.
Quello che fu il maestro di Lucio Fontana e Fausto Melotti scolpiva in un atelier di Corso Garibaldi e produceva molto per committenti tedeschi, perchè il suo primo sostenitore fu il teutonico Herr Rose.
Costui, che vedeva molto molto lontano, gli finanziò l'attività e grazie a ciò noi ora possiamo godere di questa serie di busti che ritraggono personaggi vari ed eventuali: il fatto è che gli venivano così

Un mecenate, Herr Rose
un Papa, Pio Xi

Un Duce, Mussolini

Un maestro, Toscanini

Cioè, poco da inventarsi: questa non è scultura, è un graphic novel del Ventennio passato nel freezer... non c'è un volto, un'espressione meno che disegnata, quasi cinematografica nell'intenzione che si muove nel marmo e che le orbite vuote rendono ineluttabile.
Tarantino facce del genere ad un casting le avrebbe scritturate tutte.
L'ultima chicca, rintracciabile in una via di Milano.
C'era da fare un citofono, compito apparentemente lineare, privo di fantasie, da geometri comunali.
Ma Wildt non è un geometra comunale e quindi fa questo




Grazie, Adolfo.
Questo ardito link mi permette di collegarmi ad altre orecchie dentro le quali bisbigliare in città.
Sono quelle che il duo Urbansolid cementa nottetempo dove capita, coi tipici modi carbonari della Street Art.



E mica solo orecchie come si evince, anche nasi, teste e corpi interi che d'improvviso ti trovi dietro l'angolo di casa.









Avessi soldi e spazio gli commissionerei un'installazione permanente, da quell'illuminato che sono visitabile a richiesta e ad orari a me graditi, ma ho solo pezze al culo tripla xl e mi limito a lurkare.
Peccato che oggi, 2014, tutto quello che viene lasciato a tiro di mani umane debba finire praticamente distrutto nel giro di pochissimo.
Ma perchè la gente oggi non si mette le mani nel culo (che tra l'altro d'inverno starebbero pure calde)?




martedì 1 aprile 2014

Bologna la Dotta, la Grassa, la Trolley

Sono reduce dalla mia prima Fiera Mondiale per l'Editoria dei Ragazzi di Bologna, che avrà anche un nome più condensato di questo ma che adesso non ricordo.
Comunque quello è.
La manifestazione fa sì che ai tradizionali aggettivi attribuiti alla città emiliana ce ne sia un altro legato al mezzo più trascinato dalla gente in quei cinque giorni: il trolley.
Il trolley è una geniale invenzione, un sistema di spostamento su ruote applicato ad una valigia.
Ne deriva un oggetto difficilmente governabile, che procede nell'assordante rumore delle sue ruotine di plastica dura su due sole di esse, alla Holer Togni direi quasi, non appena incontri un dislivello, una malformazione, una buca nel terreno.
A Bologna ho trovato il talento.
Ce n'è davvero tanto in giro, ma qui lo puoi vedere concentrato.
Questa parete per esempio mi ha impressionato:



Perchè è solo UNA di una serie di pareti uguali a questa, centinaia di mq messi a disposizione di chi vuole proporsi ad un editore con il suo lavoro (prevalentemente illustratori, ma anche qualche autore o team creativo).
E sono tutte robe splendide, che poi, dato che vige la necessità di doversi far notare in mezzo ad una moltitudine, puntano su effetti sempre più sorprendenti: teste in cartone tridimensionali, baldacchini con luci a led, mani di plastilina che porgono biglietti da visita... tutto attaccato in parete.
Un tazebao occidentale, una fiera del bestiame.
Immaginatevi TUTTE le pareti del vostro appartamento tappezzate come quella lì sopra e fatevi due conti sulla sproporzione tra offerta e possibilità effettiva di pubblicazione da parte delle Case Editrici.
Noi, io e la Dolce, che portiamo in giro la nostra fittizia società dentro i nostri trolley, la APPENA NALLO, siamo fiduciosi di riuscire a sopravanzarne qualcuno e magari meritarci la pubblicazione di un illustrato.
Magari più d'uno, magari tre, dieci, cento.
E poi andare a prenotare la Ferrari.
Magari prima della Ferrari aspettiamo un po'.
Perchè questa piccola fiducia? Perchè siamo scemi, altrimenti non staremmo insieme.
Però rimane negli occhi la capacità artistica di tanta gente che era lì, da tutto il mondo, letteralmente, con la sua cartelletta in mano, piena di sogni e di colori.
Li metterei tutti in Parlamento, tutti, nessuno escluso, al posto di chi c'è ora.
Intanto io procedo con il romanzo che so attendete come la tredicesima: Annegando Milano.
Abbiate un po' di pazienza, sto aspettando che l'editore mi comunichi la stampa della copertina e la data di uscita in libreria ed ebook e poi mi darò gioiosamente in pasto a voi, o lettori delle mie brame.
Lasciatemi vivere, non tediatemi, fate respirare... e ricordatevi sempre che qui c'è del bisogno.
Nel frattempo, dato che sto nel mio periodo funky, vi segnalo un vecchio gruppo sempre valido per chi come me sente attrazione verso le basette folte e i baffi a manubrio sopra giacche di pelle nera:






















I Black Merda sono un discreto sentire, direi quasi un vecchio classico misconosciuto.
Per chi non lo sapesse, Merda è il risultato della contrazione di Murder pronunciato da un americano (murda, mudda... merda).