sabato 15 febbraio 2014

L'album delle foto







Sembrano innocui ritratti d'epoca.
Se ci si passa sopra con occhio distratto non si fa neanche caso a quel curioso piedistallo che spunta dietro al soggetto in tutte le foto.
Al massimo, uno un po' più sveglio ed attento può registrare qualche piccola incongruenza come un'espressione leggermente vacua, una postura un po' meccanica e rigida.
Insomma, dopo lunga analisi quello che colpisce delle fotografie qua sopra è quello che manca.
Solo che non si riesce a capire compiutamente cos'è, rimane un ché di indefinito fino a quando qualcuno non te lo spiega.
Magari iniziando col dire che il famoso accrocchio seminascosto è questo qui:


 
E quando ti spiega il resto succede che ci rimani di merda: manca la vita, ecco cosa, perché sono foto di morti.
Non morti perchè fotografati più di un secolo fa, morti perché deceduti PRIMA di essere fotografati.

Bambolottoni, per così dire, secondo una macabra moda in auge durante l'epoca vittoriana.
La galleria degli orrori invece è decisamente post vittoriana, Pinterest of course.
Tutto ciò fa pensare alla sequenza di Kentucky fried movie, il film demenziale di Landis, nel quale si vede una famiglia americana che spiega come non emarginare il figlio solo perchè deceduto, ma anzi continuando a coinvolgerlo nelle attività quotidiane (si vede il cadavere variamente decomposto che siede a tavola legato alla sedia, che galleggia in piscina a faccia sotto mentre gli altri sguazzano giulivi, ecc) per non deprimerlo.
Qui le cose sono simili, solo che è la realtà, non un film.
Se, nonostante interi minuti di contemplazione non vi convincete del fatto che trattasi di cadaveri imbellettati è probabile che sia un fatto da ascrivere alla manciata di trasmissioni settimanali di approfondimento politico (di servizio dicono...): Ballarò, Piazzapulita, Virus, Otto e Mezzo, Porta a porta, Servizio Pubblico e tutte le altre che non cito, trasmettono a getto continuo immagini di cadaveri simili, che hanno come significative differenze rispetto ai morti vittoriani solo il gesticolare e l'inutilità del trespolo di sostegno: il progresso permette loro di stare comunque in equilibrio. 
Se vi capita di vedere una fotografia di Enrico Letta degli ultimi due giorni potrete apprezzare inquietanti affinità con le post mortem pictures; stessa espressione vacua, stessa postura incongruente e rigida.
Non cadete in equivoco però, in questo caso è tutto corretto perché l'ex premier è stato assassinato, quindi rientra a pieno diritto.
Anzi, mi meraviglio non compaia ancora nella galleria di Pinterest.
Se invece state scuotendo il capo ripensando al macabro gusto britannico in fatto di fotografie, sappiate che pure da noi l'articolo ebbe la sua stagione.
In un ristorante maremmano, anni fa, m'imbattei con la Dolce in una serie di ritratti appesi di briganti catturati dai Carabinieri alla fine dell'800.
Per utilizzare la cosa come monito per tutti gli altri, i malviventi venivano fotografati nello stesso modo, ricomposti (perchè essendo briganti non è che si costituissero, ci volevano delle belle fucilate per poterli poi fotografare) e piazzati contro qualcosa di stabile, tipo un albero, col moschetto e tutto.




Questo poi è il boss, il Tiburzi, in Maremma lo conoscono tutti (c'han fatto pure un pecorino col suo nome, porcobboia che è una roba...).




Mhhh tutto 'sto parlar di cadaveri m'ha messo appetito...

giovedì 13 febbraio 2014

Ci vuole orecchio

Ho scoperto da non molto che la registrazione di un suono può essere fatta con un microfono binaurale, oltre che con il tradizionale strumento stereofonico.
Non voletemene, sono un semplice.
Mi è venuta la curiosità vedendo questo video di Beck che coverizza un pezzo di Bowie con l'ausilio di un'enormità di strumenti musicali, disposti ad anello intorno a lui.
Mentre mi domandavo quale potesse essere l'effetto di una simile pensata, leggevo che il massimo godimento poteva essere tratto da ascolto & visione (grazie Duca) fatti attraverso una cuffia.
E infatti, ad ascoltarlo senza, il risultato non pare proporzionale allo sforzo profuso, per quanto rispetto al solito si intuisca una certa spazialità sonora.

Infine, guardando i vari microfoni sparsi qua e là per registrare la performance, li notavo essere delle teste umane (beeeelli, pensavo nella mia povera ignoranza crassa).
Il fatto è che sono fatti in tal guisa per uno scopo preciso, non a cazzo: sono microfoni binaurali appunto, registrano cioè secondo un meccanismo prossimo a quello naturale dell'orecchio umano.
Per raggiungere il risultato vengono quindi posizionati due microfoni nei canali auditivi farlocchi della testina di materiale plastico, rispettando le dimensioni reali per riprodurre assorbimento sonoro e distanze di testa e orecchie vere.


Così facendo i suoni verranno catturati e poi riprodotti automaticamente equalizzati dalla capa e dalle orecchie anziché appiattiti come accade nella registrazione tradizionale, facendo di questa roba il top per l'utilizzo live.  
Nel caso specifico si va oltre, perché anziché due sole orecchie qua ce n'è un profluvio

Quest'affare è sospeso sopra il palco, as you see nel filmato.


orecchie a 360°per un ascolto metafonico.
Io non ho cuffie e non posso sapere com'è l'effetto, ma se qualcuno ci prova e poi riferisce potrei donargli un boero.
Mi sorprende sempre ragionare sul fatto che tutta l'alta fedeltà, quella che sconfina nell'esoterismo a molti zeri, è spasmodicamente tesa a migliorare di uno zic in più l'ascolto, attraverso valvole, circuiti e metallo prezioso per raggiungere... la normalità.
Cioè quello che ascoltiamo ad orecchio nudo.
Un'assurda rincorsa al contrario praticamente, ma se togliessimo l'assurdo dalla vita sarebbe il caso di filare immantinente ad ammazzarci perché non ci sarebbe niente di divertente da fare.
Il pensiero successivo, corrotto da pensieri binaurali, va allora ad altri tipi di ascolto, tipo quello che può fare solo chi cavalca questa, un'altra fantastica assurdità come l'hi-fi esoterico

Ci sarebbe anche una carena, ma nascondeva lo Stradivari a sei cilindri lì sotto.

la Laverda v6 è stata lo strumento musicale più accordato che si sia mai sentito muovere su due ruote.
Questo per me ma, credo, anche per qualcuno di voialtri con le orecchie meno aduse a certi suoni (perchè questi sono suoni e non rumori).
Corse una gara sola, splendida e mostruosa, con le giapponesi a quattro cilindri che tremavano di paura sentendola sibilare sul Mistral del Paul Ricard a 280 all'ora (era il 1978 eh..).
Poi morì subito dopo, schiacciata dall'infame mancanza di denaro, volando nell'olimpo dei miti.
Nel Sol Levante ringraziarono del favore e cercarono di capire come replicare una magia simile: tutto inutile, occorreva essere italiani per riuscirci.
Ma sei in Veneto col binaurale erano molto in gamba, c'è da dire che in Emilia non si scherzava un cazzo sull'argomento.
Le orecchie degli spettatori potevano deliziarsi di questa raffinata esecuzione già negli anni '70 (Concerto Grosso per 12 cilindri), mentre venticinque anni dopo i primi effetti elettronici e gli rpm della Techno producevano memorabili Dj set V12 come questo.
E in Lombardia solo pugnette?
Impossibile, lì c'è pur sempre la Scala e la tradizione va mantenuta, sia dai meneghini del Biscione  qui impegnati in una Cacofonia Parossistica Verdiana, sia dai provincialotti di Cascina Costa che eseguono un Andante con Brio a 3 cilindri.
A me tutta questa lirica binaurale produce questo risultato:


A voi no?

martedì 11 febbraio 2014

Sperequazione della Matre

Arriviamo al mondo senza averne fatto richiesta.
Poi passiamo tutta la vita a sentirci dire che dobbiamo combinare qualcosa, fare così e cosà, perchè è così che si deve fare, prenderci delle responsabilità.
A quest'ultima frase io rispondo: perchè?
Se qualcuno mi portasse, bendato ed alla Scajola, in qualche posto e poi mi dicesse: ecco ora che sei qui devi fare tutta questa lista di cose e prenderti le tue responsabilità io risponderei ma che vuoi? Ma chi ti ha chiesto niente?
Invece non si fa, e tutti corrono dietro a queste responsabilità chiudendosi intorno al collo catene e lucchetti fatti di famiglie, mutui, figli che conducono a gastriti o coliti, calvizie e vene varicose, alitosi e umore umbratile, a deteriorare cioè i rapporti interpersonali rendendo la società una fetida gora, mentre si allenano i pargoli con lo stesso punchin ball che ci ha resi così suonati.
Allora perché si fa?
Ormoni, schizzetti, impulsi elettrici.
Tutta la poesia del mondo non può coprire il fatto che il cuore è solo una pompa molliccia e l'umanità puzza peggio dei pesci al mercato.
Di tutto ciò è artefice la Matre.
Questa figura incombente che ci sforna e ci tormenta per buona parte della vita.
 
Il fumetto è mio, lo cambio a seconda dell'umore.
 
Qualunque cosa faccia la Matre, ella sbaglia.
Se è troppo affettuosa, se lo è troppo poco, se ha un rapporto sano col Compagno Fuco oppure no o se usa il figlio come merce di scambio con ello, tutto questo concorre a far crescere la pianta figliale un po' storta.
A volte molto storta, come testimoniano le casistiche e le campionature di decine di migliaia di serial killer, che diventano tali nei primi sette anni di vita, quando il bambino dovrebbe imparare che cosa significa "amare". 
Non conosco una persona che sia una che non abbia la sua nevrosi, il suo tratto diabolico, il suo demoncello nascosto nel taschino, quindi sono portato a pensare che la Matre, così come l'umanità la prevede sia un sistema sbagliato.
Nella meccanica in questi casi si corre ai ripari: visto che i diesel aspirati fumavano e andavano un cazzo, si pensò di mettergli il turbo, ed ora milioni di automobilisti sono felici e contenti sulle loro Audi, quindi perchè in antropologia no?
Son più scemini? 
Ci vorrebbero LE Matri, versione sovralimentata della usuale figura materna che, è assodato, tanti scempi e massacri ha fin qui provocato.
Uno nasce in condivisione, diciamo, scivola fuori umidamente da una vulva ma subito dopo viene preso in consegna da una mezza dozzina d'altre, ognuna con la propria patologia e il proprio vissuto a diluire picchi e intemperanze delle altre.
Come quando a fine preparazione di un cibo si dice "sale e pepe quanto basta", ad aggiustare.
Sospetto sarebbe meglio.
Logica da Kibbutz?
Rigurgito da figlio dei fiori?
Magari è così, boh.
Non avrò la controprova, però rimangono i milioni di morti sul contachilometri di Hitler che magari potevano essere meno o zero se ad affiancare nell'educazione Frau Klara ci fossero state altre Frau, perchè no anche questa qui

Fraw Bow (Gundam RX-78)


Fatto sta che così non va.
Di sicuro a fare le spese del nuovo regime sarebbe l'industria televisiva e cinematografica, specialmente quella statunitense.
Sono decenni che quelli ci sfrantumano le palle con film e telefilm imperniati solo ed esclusivamente sul concetto protettivo genitore-figlio, sul calore (ustionante, ma non lo dicono) della famiglia.
E basta porco boia.
Voglio un telefilm dove il figlio venga abbandonato da un genitore per il semplice fatto che non gliene importi abbastanza, oppure uno in cui il figlio abbandonato sospiri sì, ma perchè sollevato dall'essersi tolto un peso di dosso.
Dai su, un po' di originalità; devo venire io?
Eppoi c'è il problema della personalizzazione.
Nella Matre che cede al tempo vedo la mia turpe vecchiezza futura, nella sua morte si specchia la mia.
In un sistema policentrico anche questo triste aspetto verrebbe diluito, distribuendo la pena in parti uguali su più soggetti e disinnescandone le derive psicologiche.
Addirittura i decessi potrebbero diventare occasioni di festa, una bella baldorietta in onore di Matre Paola, Rosanna, Luisa (fate voi), tanto cara a tutti gli altri membri il gruppo educatorio ma senza sbracare in pianti alla sicula.
Inoltre siamo talmente in tanti, talmente oltre ogni programmazione naturale da rendere necessaria una revisione, ci vuole un Editor che si occupi di gestire la riproduzione, magari depurando l'atto dalla sacralità beota con cui da secoli la religione l'ammanta
Diciamoci la verità, cari miei, riprodursi è in realtà un atto così elementare, così straordinariamente ordinario in natura da innalzare su di un piano di eccezione chi se ne sottrae, vuoi per deficit fisiologici, vuoi per tare sue personali, da smontare qualunque teorema basato su luoghi comuni tipo "frutto dell'amore, mature responsabilità" e amenità similari.
Ormoni, schizzetti, impulsi elettrici: stop.

Tenete presente che tutto questo inutile scritto è stato pensato e battuto da un tipico prodotto di ordinaria famiglia disfunzionale, con Matre fallace seppur volenterosa e padre assente seppur presente.
Vedete quindi che ho ragione?

lunedì 10 febbraio 2014

L' amaro geodetico (pdf regalo)

Sarà il tempo uggioso, sarà la visione di questo


che più che un film è un viaggio circolare nel fallimento e nell'impossibilità di redimersene, sarà che ho subito un sogno in cui grondavo inadeguatezza, questa è una mattinata di grande amarezza.
Niente che non possa essere scacciato con grandi boccate di Estathè allungato, sia chiaro, ma il prologo al lunedì (che poi è un'aggravante non da poco) sa di schifo.
Innanzitutto una comunicazione di servizio alla Dolce che fuori dal cinema se lo chiedeva: sì, il film dei Coen, nonostante la musica folk, sedimentando ha lasciato roba di qualità notevole, crescendo come i germogli della patata americana nel bicchiere.
Cultori delle Grandi Amarezze come me, andate con fiducia a vederlo, magari con degli antidepressivi a portata di mano.

A proposito, si usa ancora mettere il tubero infilzato con due stecchini a germogliare?
C'è stato un momento, non so nemmeno quando, nel quale senza la patata fiorita sul frigorifero eri un paria, mah.
Comunque, sto già meglio, l'aria frizzantina del blog, tutta questa bella gente che legge, affetta da psicosi di ogni tipo, mi mette di buon umore alla fine, eppoi penso a Buckminster Fuller e tutto passa.
Già il fatto di poter avere sul biglietto da visita la definizione "inventore" ti pone su di un piano altro, hai già vinto, ma l'esserlo diventato a pieno titolo al culmine di un periodo di Grandissima Amarezza lo innalza tra gli eroi da fumetto: all'inizio degli anni '30, fallita la sua società di costruzione di prefabbricati, mentre è disoccupato gli muore di polmonite la figlia.
Durante la giustificata deriva alcolica che ne segue valuta l'opzione suicida, ma, invece di farsi fuori, decide di "sperimentare a beneficio dell'umanità".
Da non credere, fa sembrare le origini di Flash accettabili (rovesciamento di prodotti chimici  addosso nell'esatto istante in cui un fulmine lo centra entrando dalla finestra...)



Ma chi era Richard Buckminster Fuller a questo punto vi chiederete.
Lui,



qui in versione francobollo, con la testa a forma di cupola geodetica, cioè il nucleo stesso del suo sperimentare e circondato da  alcune delle sue invenzioni.
Sì, ma come si fa a mangiare facendo l'inventore se si parte dallo status di disoccupato in bancarotta?
Semplice, si eredita dalla madre defunta, fortuna questa (i soldi sicuro, la morte della madre non si sa) che gli permette di investire nelle sue idee, tipo la Dymaxion Car, un ravatto a tre ruote lungo sei metri con forma aerodinamica che avrebbe dovuto rappresentare il futuro della locomozione massiva e che invece rimase lì, allo stato prototipale, perché aveva i suoi bravi problemi (e faceva pure cagare, come potete osservare in basso a destra nel francobollo).
Ma lui non si abbatteva mica, quindi giù ad estendere il concetto di DYnamic MAXimum TensiON sulle unità abitative, presentando un modello prefabbricato a torre da consegnarsi dentro due cilindri, messo in tensione da cavi e con gli impianti alimentati dall'energia eolica (la Dymaxion House la vedete nel francobollo a sinistra di fianco all'occhiale di Richard).
Anche qui, nessuno sbocco o successo commerciale.
Gli va meglio con la cupola geodetica, che brevetta nel '54 e che nasce dall'idea di sviluppare nello spazio solidi quali il tetraedro e l'ottaedro, e che non si sa bene a cosa possa servire; lui la pensa come struttura polivalente, leggera e molto stabile sotto cui farci qualcosa (ma non è chiarissimo cosa), quindi diventa un simbolo apprezzato e utilizzato qua e là nell'attesa della scintilla che aspettiamo ancora.

Questa è a Montreal (Expo 1967)
Questa a Milano (temporanea per una Triennale)
Intanto che la gente ci pensa lui ottiene 25 brevetti, una medaglia d'oro dell'American Institute of Architects e alcuni dottorati onorari: mica male per un supereroe da fumetto.
Per quanto mi riguarda il mondo dovrebbe essere popolato da esseri umani come Fuller, inquieti pensatori fuori dagli schemi, apparentemente slegati dalla realtà ma che tracciano una strada che poi  altri possono seguire per avanzare, individuare campi inesplorati e trascinarsi dietro tutti gli altri. 
Il mio personale flirt con BF ebbe luogo secoli fa, mentre stavo ad Architettura a studiare per diventare una delle varie cose che NON sono diventato, progettando per un esame una scaffalatura ispirata ai suoi concetti che battezzai sprezzantemente "SFIDANTE".
Si trattava di una serie di mensole collegate da un filo d'acciaio che nelle intenzioni si sarebbero dovute sistemare e tensionare automaticamente tirando il cavo e chiudendo il sistema.
Sul foglio funzionava ed era bello, leggero e sfidante la gravità, appunto.
Chissà dov'è finito quel progetto, che, mi pare, fu ben accolto dal Professore.
Ovviamente, nel miglior Stile BF, non ebbe nessuno sbocco, nonostante i miei vent'anni mi facessero presagire per esso un brillante futuro commerciale nel quale tutti in casa ne avrebbero avuto uno.
Per chiudere con Buckminster Fuller, c'è la morte, disperatamente poetica anche lei, coerentemente con la sua vita: la moglie è in coma all'ospedale, lui la va a trovare, le stringe la mano e di colpo si alza, sostendendo che la stessa mano s'è mossa, ha stretto la sua.
Gli viene un colpo e muore quasi ai piedi del letto; la consorte lo segue qualche ora più tardi.
Grande.
Applausi.



p.s.
quarto pdf Nuvola Nove regalo.

giovedì 6 febbraio 2014

Mozzarella di bufala.

Ricevo da un corrispondente estero una mail contenente link ad un blog (eeeh?) interessante, perché collegata in qualche modo al tema del post precedente, ZOT!
Il link è a Bloggokin.it , spazio nel quale il tenutario, oggi 6/2, con tutta la buona fede che suppongo lo animi, perora la causa della Storia dell'Arte intesa come materia che sta per essere cancellata dai programmi scolastici.
E sono con lui, perché è semplicemente una barbarie.
Però per perorare meglio si appoggia ad una di quelle leggende metropolitane che la vulgata ama definire bufale, nonostante io mai abbia capito in cosa consista il nesso tra una notizia falsa e la cedevole massa lattiginosa: l'Italia detiene il 60% del patrimonio artistico mondiale.
 
schematizzazione fotografica della premessa di Bloggokin.it
 Ma basta, ma ancora con 'sta cagata?
O tenutario del blog, ma perché non ti fermi a riflettere un attimo sull'enormità della cazzata che stai contribuendo a veicolare, come tanti purtroppo prima di te hanno fatto?
Oltrettutto, supportando un'istanza nobile e motivatissima come la difesa della Cultura nelle scuole con un mucchio di letame fumante, rischi che anche tanta nobiltà alla fine tanfi di merda.
Ora, concentriamoci sulla bufala, gettiamoci come Empedocle a capofitto nel cuore del vulcano: che cazzo mi significa il patrimonio artistico mondiale?
Il numero di vasi, cocci, anelli, spille, diademi sparsi sul territorio?
No, perché così facendo è palmare non se ne detenga il 60% (percentuale che varia spesso questa, dal 40 al 70, a seconda della freschezza della bufala stessa).
Quindi, che si fa per piantare a terra un picchetto cui ancorarci?
Si ricorre all'Unesco, considerando il numero di siti da esso vincolati relativamente all'ambito "artistico".
Non storcete il naso, perché se non si parte da qui, da dati certi, anche la Beozia può vantare primati che non ha, cosa che noi facciamo ad ogni piè sospinto quando siamo all'angolo dialettico.
Dunque, i siti artistici riconosciuti appannaggio dell'Europa erano fino ad un tre/quattro anni fa 372 su 679, che è buono, ma che rappresenta solo un 50% del totale mondiale (ed ho detto EUROPA).
Nell'ultimo lustro le cose non sono cambiate sostanzialmente nelle percentuali, e l'Italia capeggiava la classifica con 43 siti riconosciuti, di un'incollatura su Spagna (40) e Francia (33).
La percentuale reale non raggiunge quindi il 5%, come facilmente verificabile, che è comunque tanto, ma ben distante dal ridicolo 60% che qualche scemo ha sbandierato ad un certo momento e dietro al quale stormi di piccioni si sono accodati.
Chissà perché in un'era di informazione così rapida e capillare è possibile mantenere vive queste leggende totalmente infondate (salvo poi ridere di quelli che parlano dei coccodrilli albini nelle fogne...).
Vorrei un giorno nella vita trovarmi lì, nell'esatto epicentro della cazzata nel suo momento primigenio, fondativo, per il gusto di poter dire ai nipoti IO C'ERO!
Sempre a proposito di bufale, anche se qua si tratta di mozzarelline, mi viene in mente un divertente testo che ho letto anni fa, un'enciclopedico saggio sugli effetti della fisica (quella vera) applicata ai robot giapponesi e all'altalena di Heidi (c'è anche un testo su Star Trek se preferite).



 
La piccola montanara svizzera ad esempio, dondolava felice su di un'altalena nella sigla: nel testo si calcolava con precise formule matematiche che per compiere tali ardite traiettorie la corda avrebbe dovuto essere lunga circa un chilometro, rendendo l'allegra bambina una perfetta testimonial per Red Bull Stratos .
O il pugno atomico dei Mazinga, (l'uno o l'altro, stessa roba) che, se ingegnerizzato con quelle caratteristiche, avrebbe ammazzato seduta stante il pilota per il contraccolpo.
Stessa sorte per il povero Koji Kabuto anche volendo muovere il suo Z un po' più velocemente del semplice strisciare i piedi: il peso e l'altezza di una simile struttura di metallo ne avrebbero frullato i poveri organi interni dopo tre passi.
Tralascio tutto il paragrafo sulle bufale in ambito spaziale, sia perché Goldrake è esistito davvero, sia perché la mia infanzia è sacra e val bene una sospensioncina d'incredulità.
Ma tu, tu blogger di Bloggokin, tu che eri partito così bene, stai più attento dai.
Da quel che mi pare di capire i blog per qualcuno sono importanti, incredibile ma vero, e ciò che si scrive viene spesso preso e ingollato senza un minimo di filtro, quindi si rischia di peggiorare la situazione mettendo in giro più bufale di quanto sia sopportabile.



insomma, se qualcuno vi dice "è vero perchè l'ho letto su Wikipedia...", sapete che c'è solo una cosa da fare per aspirare ad un mondo migliore per i vostri figli:




P.s.
Aggiornamento del giorno dopo (7/2).

Mi si avverte che, con buona probabilità, anche la notizia della soppressione dell'insegnamento della Storia dell'Arte è una bufala. In quel caso sarebbe davvero sorprendente che quel blog spari la notizia con enfasi, supportando una bufala con un'altra bufala.
Una matrioska di minchiate.
Evidentemente quelli di Bloggokin mirano a qualche fondo ministeriale.

mercoledì 5 febbraio 2014

ZOT! (pdf regalo)

Piccole sventure fisiologiche mi hanno ultimamente permesso di apprezzare e valutare la curva di potenza del mio declino fisico e mentale.
Comodamente assiso sul trono porcellanato, ho avuto modo di dare una scorsa al vecchio materiale Marvel editato dalla Corno negli anni che furono, quelli del primo boom supereroistico in Italia, dopo lustri (la polvere mi è testimone).
Praticamente illeggibile.
Storie piatte, letta una lette tutte, più schematiche delle istruzioni Ikea e con dialoghi risibili.
Solo quindici anni fa riuscivo ancora a godicchiarne con profitto, fermo restando che all'epoca loro ne ero totalmente risucchiato.
La DC coeva (non il partito) è molto meglio,  per dire, c'è più meraviglia, più cialtroneria manifesta.
Cosa mi è successo?
Ho un brutto male forse?
Sto perdendo il lume della ragione, magari?
No, perché tentando lo stesso esperimento con Paperinik le cose si sono chiarite.
Il supereroe pennuto regge ancora egregiamente, si fa leggere tale e quale ad allora, quindi è la Marvel che viaggiava sul filo ed è poi caduta rovinosamente (per poi rialzarsi alla grande, va detto) sotto i colpi del tempo assassino.

Quindi, ora come allora, diciamo in coro VIVA PAPERINIK!


 La cosa assume un certo valore alla luce della visione del film "Smetto quando voglio", nel quale un gruppo di laureati, gran parte ricercatori universitari, tutti vittime della crisi, dei tagli alle Università e più in generale del modello italico giunto al capolinea, si mettono a produrre e smerciare droga con i relativi annessi e connessi (guadagno, scontro con la concorrenza, ecc.).

 
Sì, il soggetto deve la sua esistenza a Breaking Bad (inchino) ed il regista l'ha detto, ma cammina ottimamente con le proprie esili gambe proprio grazie alla disperante situazione nostrana della quale si ride di gusto in sala, durante, e si piange altrettanto di gusto, dopo.

Parallelamente all'opera di sradicamento e lancio nel vuoto di una generazione ( e forse più) che ci condurrà matematicamente all'implosione sociale nel prossimo ventennio, stiamo coscienziosamente bruciando tutte le riserve di cervello alle quali potremmo aggrapparci per avere una speranza.
Pazienza, basta saperlo ed ora lo sappiamo tutti.
Però, però.
Perché allora non tentare come Paperinik, visto che siamo in ostaggio dei Bassotti?
In giro è pieno di disoccupati, se va bene precari, con discreta manualità e spirito d'avventura (necessario quando l'orizzonte temporale è ad alzo zero come oggi), quindi perché non mettersi a costruire un paio di stivaletti a molla?
Nessuno ha ancora pensato di fare il Paperinik e questo è un grosso limite dei nostri giuovini.
Coglioncelli troppo choosy che aspirano a poltrone dirigenziali e non considerano invece la potenzialità insita in una bella tutina nera, una pistola a raggi e un raid verso le sedi istituzionali a fare strage di burocrati parassiti e sottopancia strapagati.
E se la polizia dovesse ucciderli?
Niente paura, c'è un potenziale esercito di Paperinik là fuori, sarebbero subito rimpiazzati da qualcun altro, magari più d'uno, in un'inarrestabile marea mascherata e purificatrice.
Basta iniziare, per dare il buon esempio e perché il ceppo italico porta in sè la necessità che le cose, quando vanno fatte, siano fatte da altri (salvo poi lamentarsene). 
Letta è appena tornato dagli Emirati dove è andato a mendicare qualche briciola di pane materializzatasi con la "promessa" di investire 500 milioni di euro nel nostro paese.
Forse ha sbagliato arabi, perchè quelli che si sono comprati il Paris St.Germain 500 milioni di euro li spendono per il solo parco giocatori.
 

 Però Premier e leccaculo della stampa strombazzano alla proficua diplomazia... ma vaffanculo và, anzi ZOT! un colpo della pistola a raggi e via Letta, al suo posto un più efficace mucchietto di polvere (peraltro più espressivo e caratterizzante nelle foto ufficiali).

Vada un Paperinik a negoziare, vediamo poi l'Emiro che cosa fa anziché prenderci per il culo.
Certo, mancherebbe un Archimede in armeria a rifornire i giustizieri di tecnologia a buon mercato, accontentiamoci dell'ultimo smartphone, di cui pare i giuovini suindicati non riescano a fare a meno specialmente quando guidano per strada, cercando di uccidere me, innocente fomentatore che si aggiro in bicicletta, anziché qualche politico.
95 volte su 100 quando digito "bicicletta" mi esce "biciletta"... sarà una tara?
Tutto questo pensare al peggio mi ha messo appetito, mi tocca chiudere qui.
Non prima però di avervi donato la terza parte di Nuvola Nove liberamente scaricabile nel suo comodo pdf.





sabato 1 febbraio 2014

Ladri di biciclette



Sono qui per raddrizzare un torto fatto ad attori e maestranze con la mancata pubblicazione dell'ultimo tassello prodotto dalla Naso Film (i campioni dello zero budget, cazzo!).
Me ne ero dimenticato, preso nel gorgo dei debiti, della mancanza di prospettiva, della digestione difficile e me ne scuso.
Ladri di Biciclette è stato girato nel 2009 ed ha vinto anche lui il Premio del Pubblico al festival dei Corti di Le Trottoir, come l'anno precedente aveva fatto Niente Supplementari (che potete sempre guardare, visto che c'è il post).
So che non ci crederete, quindi beccatevi il link alla pagina.
E se pensate che questa prestigiosa doppietta mi abbia fruttato anche un solo centesimo vi assicuro del contrario: quelle cose accadono solo nei film.
Gli interpreti sono il solito Fabio Di Dario già visto negli altri due lavori e Alessandro Leonelli, già segretario di produzione negli altri progetti, elemento dotato di robusta base attoriale nonché indiscusso maestro di vita.
Il completo di pelle nera che indossa non è un abito di scena, lo indossa normalmente, sappiatelo se siete persone che vogliono osare ma non si decidono mai.
La storia, semplice, quella di un ladro che fa il suo mestiere nei confronti di un giovane ciclista che poi, beccandolo in flagranza di reato lo insegue diventando ladro a sua volta.
Segue pistolotto morale finale e scenetta simpatica in coda.
Diciassette minuti, fotogramma più, fotogramma meno.
Dopo averlo scritto scelsi le location in estenuanti giri notturni in bici, durante i quali scoprii quanti angoli interessanti e sostanzialmente sconosciuti ci siano a Milano.
Se qualche Produttore volesse assumermi in questa veste di trovaSet in esterni mi contatti: c'ho del bisogno e grossa crisi.
Poi appare del tutto ovvio che, essendo una produzione targata Naso, il budget dedicato al progetto fu pari a zero: tutta roba prestata, usata, predigerita come tradizione imponeva.
Infatti il suono sembra appiccicato col Bostik, il montaggio traballa qua e là, alcune scene che volli inserire sentendomi Tarkovsky (la lunga sequenza centrale in soggettiva accelerata con la musica classica a sostegno) mi convinsero, rivedendole, che non sarei mai stato Tarkovsky.
Infatti se rivedo Stalker piango, se rivedo Ladri no.
Ma alla fine si fa apprezzare e soprendentemente ne esce una Milano notturna magica e sconosciuta che il pubblico e la critica presenti al concorso dimostrarono di gradire molto.
La domanda più ricorrente fu: - Ma che città è?
Di soddisfazione la risposta: - Questa.
Avrei voluto apprezzassero di più il mio raffinato sottotesto surreale, ma la gente è scema e stronza e non può capire appieno la mia grandezza.
Ovviamente non c'è nessun riferimento al film di De Sica, come qualche saputo col dolcevita a collo alto mi fece notare, ma che colpa ne ho se è la storia di un furto di bicicletta e quello è il titolo che mi è venuto in mente?
Buona visione.