venerdì 17 gennaio 2014

Cooli

Da pochi momenti ho terminato la visione di un film dal quale ho appreso in maniera semi traumatica da dove Dario Argento succhiò ispirazione per i suoi storici giallos.
Da qui:



da questo film di Bunuel del 1955.
Il protagonista si carica ascoltando il carrillon materno che scatena in lui psicosi assortite e lo spinge a delinquere (o così crede), esattamente come l'assassina di Profondo Rosso e il suo collega dell'Uccello dalle piume di cristallo (che però allo scopo utilizza un quadro) che delinquono sul serio.
Del resto è noto che al mondo è stato già inventato tutto e quel che si fa è solo reinterpretare.
Ma comunque culi, il tema del post sono i culi e l'influenza di questa parte anatomica nella vita.
A me ne vengono in mente alcuni, se mi metto lì senza sforzarmi, tre culi paradigmatici per così dire:



Questo è il primo, il cosiddetto CULO AGOGNATO, quello che fin da bimbo speravo di poter un giorno smanacciare.
Se il desiderio è stato o no esaudito non è opportuno in questa sede chiarire.




Questo è il secondo, il CULO ANELATO che avrei voluto avere per attirare frotte di fiemmenuzze e che non ho mai nemmeno avvicinato, con il sillogismo scontato che avrete intuito, dotato come sono di infimo deretano flaccido e sovradimensionato.
Non sarebbe stato opportuno chiarire nemmeno questo ma, complice la pioggia, ho necessità di disperarmi e mi autoaccuso.
Aggiungo che trovare l'immagine di un innocente deretano maschile è parecchio complicata in rete, perché occorre schivare tonnellate di fistfucking ed altre pratiche ludiche simili.
Il terzo è un culo diverso, un CULO SPRECATO se così posso dire.
Deriva da questo, quello che definisco un CULO UMILE:


Sì, immagino la sorpresa.
Però è così, la Renault 5 ha segnato una fase dolorosa della mia vita, quella in cui ho messo a fuoco il concetto di desiderio inappagato.
E per questo la ringrazio, quella carriola transalpina, per essere stata palestra, perché poi la vita vera è tutta piena di robe simili, cose volute e mai avute, cose avute e perse, rimpianti, rimorsi, cannoncini e bignè.
L'elemento scatenante quello lassù dicevo, una umile Renault 5 bianca, modello base, senza nemmeno una stronza sigletta T o TL, niente, "5"e via andare.
Ciò significava avere sotto al cofano un ronzino di nemmeno 1000 cm cubici, votato al risparmio e alla longevità, 140 all'ora giù dal Falzarego, 0-100 cronometrato in minuti.
Non ricordo bene, ho tentato di rimuovere, ma dubito avesse nemmeno 50 cavalli ed era l'auto che mio padre, in un accesso di perfidia, comperò a mia madre all'inizio degli '80.
Tutto bene nella mia ignorante pubertà, finché un bel dì, in occasione di un tagliando, fui trascinato  da mia madre alla Filiale Renault della città.
Entrammo col macinino e parcheggiammo dove indicato, io scesi e rimasi sotto choc.
Sarei uscito da lì in piena adolescenza.
Poco distante c'era questa cosa, esattamente così come quella che posto, col cofano alzato in attesa di qualche pezzo di ricambio, la ricordo come fosse ora: l'apparizione




Meraviglia, stupore, suono di campane.
Poi lieve capogiro e asciuttezza delle giovani fauci.
Intuivo fosse una Renault 5 anche quella ma CRISTO, cosa gli era successo, com'era possibile una cattiveria simile partendo dal mansueto asinello di famiglia?
Due posti, motore e trazione posteriore, il turbo a triplicarne la potenza rispetto alla nostra... e quelle prese d'aria... aaaaahhh.
Venni trascinato via a forza, ma il danno era stato fatto, attaccai poco dopo con l'onanismo più sfrenato, chiuso nel cesso con Playboy alternato a Quattroruote (con preoccupazione dei miei).
Troppo giovane io per poterla guidare, troppo vecchia lei quando avrei potuto farlo.
Come una donna incontrata nel momento sbagliato ma per la quale si sente che avrebbe potuto essere il grande amore.
Per lei feci di tutto, addirittura acquistarne una monografia francese che tradussi dizionario alla mano e alla luce di una candela, lungo dolorose notti nelle quali inciampavo nei vocaboli (soupape non è uno zuppone ma una valvola) e capivo che mai l'avrei posseduta.
Non mi sono mai completamente riavuto e le donne della mia vita hanno sempre sofferto nel confronto (scusa Dolce, so che mi capirai).
Per dimenticarla, qualche anno dopo mi gettai nelle braccia di una rossa milanese, una un po' volgare, sempre vestita da troietta anche per andare all'Esselunga, lei:

culi, culi e ancora culi... (con questo culo ci si correva nel Mondiale Turismo 1987)



Qui l'Alfa Romeo s'era sbizzarrita.
Un'auto così da "terroni" era difficile realizzarla ma il Biscione, mai domo, ce la fece, ed io sbandai.
Chi comprò allora la 75 Turbo Evoluzione (anche il nome era cattivo) spese un capitale e probabilmente la sbiellò in pista, come il suo blasone imponeva, chi ce l'ha oggi se la tiene stretta perché vale sempre un bel po', nonostante debba stare attento ad usarla, perché se non è più che lucida e perfetta la fermata ad ogni posto di blocco è assicurata.
Con lei riuscii a fare una sveltina a Vallelunga e la trovai inaspettatamente affetta da un turbo lag pernicioso e da una tenuta perfettibile che comunque non incrinò il mio sentimento per lei né la quantità dell'eiaculato.
Lo ricordo ancora con piacere e se l'avessi oggi mi divertirei non poco a far cacare sotto i guidatori attuali che stentano a credere che una volta l'unica elettronica sulle auto stava nella radio (e che l'Alfa era quel che oggi è la Bmw).
Poi, per assonanza acustica col titolo ci sarebbe anche Cooley, che è 'sto qua


uno che guidava una Suzuki gs 1000 preparata da Yoshimura nella primigenia Superbike AMA, moto che non ne voleva sapere di voltare già di serie, chissà con 140 cavalli nei carter come diavolo faceva a farle fare quelle cose lì.
Boh.

Comunque non voglio tediare troppo con questi ricordi motoristici che hanno monopolizzato il post.
Su certe cose il nervo è sempre scoperto e potrei piangere davanti a tutti.
Mollatemi.
D'ora in avanti tornerò ponderato e riflessivo, pregno di argomenti culturali, come il pubblico mi ama e reclama insomma.
Credo.
O forse no.






lunedì 13 gennaio 2014

T'ipnotizzo e mesmerizzo.

Ho copiato e lo confesso.
Il titolo del post mi è stato suggerito da due album dei System of a Down, questi:







uno, Mezmerize, l'ho ascoltato mentre scrivevo quel che state leggendo, l'altro, Hypnotize, no.
Mai frequentati prima, ma sempre apprezzato molto le due copertine di autore a me sconosciuto.
Qualcuno sa chi sia?
Tra l'altro si tratta di due doppi pubblicati nello stesso anno, il 2005: ho sempre provato simpatia per un artista (o artisti nel caso) colto da improvvisa diarrea creativa.
La scusa è buona per permettermi di appoggiarmici e fare perno, introducendo il mesmerismo disperato che le case editrici (ma anche le etichette musicali come pare evidente qui sopra), nella persona dei direttori creativi o di collana o chissà come li chiamano quelli che decidono come sarà una copertina, cercano di operare sui lettori.
Ora, è piuttosto risaputo che in Italia lo sbilanciamento tra la massa grassa di chi scrive e quella magra di chi legge rende il mercato editoriale un mare agitato.
Sul ponte di quei galeoni spazzati dalle tempeste urlano e si dimenano soggetti di ogni tipo, chiamati a far quadrare i conti e tappare falle sempre più grandi nello scafo, con ogni mezzo.
Per evitare o ritardare il più possibile l'affondamento si ricorre al mesmerismo/ipnotismo, cercando di fidelizzare il lettore che, per culo, abbia acquistato e apprezzato già un'opera, preferibilmente una che si è riusciti, battendo sul tempo gli avversari, a far diventare un "caso editoriale".
Ora, io mi chiedo da un po' perché se una cosa si vende ed ha una forma-libro si dica che è "un caso".
Una canzone di successo non è un "caso musicale"ma una "hit", così come un film non è un "caso cinematografico" ma un "campione d'incassi"
Perché?
Perché un libro invece non può essere hitcampionedincassi ma solo "un caso"?
Ovviamente perché si deve per forza etichettare ogni cosa altrimenti ci si spaventa, ma nello specifico penso proprio perché sia l'unico termine sensato: è un caso che un libro si venda, nell'accezione più aleatoria del termine.
Infatti nessuno capisce mai perché ad un certo punto una che scrive storie fantasy come molte altre venda di colpo miliardi di copie oppure che una sciapa storia di sesso per massaie bagnate diventi un testo guida da aver letto per forza pena l'esclusione sociale.

Un altro.
Un "caso editoriale".




















Sia come sia, accade, e quando accade i ceri che vengono accesi nelle segrete stanze degli editori si sprecano e danno il via all'operazione mesmerico-ipnotica: non molliamoli!
Adesso che li abbiamo afferrati non lasciamoli scappare.
Esempio nr.1: il primo titolo è stato ben venduto, cosa ti escogito per cercare di non farti allontanare troppo da me?
Questo:


Bompiani mesmerizza/ipnotizza così...




















Notate qualche similitudine?
Stessi colori, stessa costruzione, stesso stile nel titolo, lungo e finto casuale in realtà frutto di notti insonni di un team di precari sottopagati e sovrasfruttati. 
Il primo si è venduto, ti ci sei trovato bene dentro ed allora io ti arredo anche questa stanza come l'altra, così non ti spaventi, ti accomodi anche qui, smolli quei 15 18 euro di copertina ed io tiro avanti ancora un po'.
Oppure quest'altro esempio, tra l'altro fresco fresco, giacchè "Stoner" di John Williams l'ho appena finito, meritoriamente regalatomi a Natale dalla Dolce perché non sapevo fosse mai esistito e adesso che lo so e l'ho letto e goduto sto meglio di prima.
Ah, dice "William" e non "Casey", chiaro? 
Qui l'editore fa ancora di più: pesca l'autore defunto da un ventennio e pubblica un romanzo del '65 che da un pezzo è fuori catalogo suppongo, almeno qui.
Viene apparecchiato con le entusiatiche recensioni di rito ed evidentemente il disegno funziona (e comunque il libro se lo merita) perché tra breve ne uscirà un altro.
E come decidono di presentarlo allo scaffale?

Fazi mesmerizza-ipnotizza cosà.



















Eccerto.
Stesso discorso di tappezzeria sullo sfondo, stesso mood e vai con dios, sperando zitti zitti, tomi tomi di sfangarla anche stavolta.
Questo giochino potete tranquillamente farlo da soli, magari buttando l'occhio ai vostri libri.
Magari siete stati mesmerizzati anche voi e nemmeno ve ne siete accorti.
Un link illuminante e croccante è questo qui dell'Investigatrice di Copertine sottopostomi dalla Dolce: http://copertinedilibri.wordpress.com/page/6/
Infine, come per mondarmi dai peccati di questo sgangherato universo letterario nostrano, cedo e posto un liberatorio derapone dell'altro Stoner, quello che credevo l'unico fino a poche ore fa, e che invece e solo quello dei due che ha il polso destro esplosivo ( e che ha, fin qui, vissuto una vita leggermente più stimolante dell'altro).

No, non cade, se ve lo state chiedendo.


p.s.
Oh, meno male che ho finito, perché nel frattempo ho capito come mai mi sono sempre privato dei System of a Down...

sabato 11 gennaio 2014

William & Romolo

William Cody nacque in Iowa nel 1848 e morì in Colorado nel 1917.
Tra le due date c'è dentro di tutto, perchè William era un bel fenomeno: capello lungo e baffo a spillo se ne andava cavalcando su e giù per il vecchio West sparando a destra e a manca.
E mica sparava come tutti, no, sparava fanning: grilletto tenuto premuto con l'indice mentre l'altra mano sventaglia sul cane.
Bam bam bam bam! con la colt che sembrava un'automatica.
Era un capo, William, tanto che da lui poi avrebbero copiato tutti, da John Wayne a milioni di bambini con le pistole giocattolo tappinate.
Con le giacche blu combattè la Guerra di Secessione, poi, toltosi l'uniforme e ripreso in mano il fido  Winchester, si mise a tirare ai bisonti per darli da mangiare agli operai della costruenda ferrovia.
Onorò il contratto seccandone più o meno 4000 in un anno e mezzo, sfamando le maestranze e diventando il bersaglio mobile di ogni animalista del 19° secolo, che, potendo, l'avrebbe scalpato più veloce di un Sioux.
Poi, visto che l'idea di spettacolo che da poco Barnum aveva inventato pareva lucrosa, mise in piedi un suo circo, il Wild West Show e cominciò a girarci il mondo.
In quel momento giá più nessuno lo chiamava William Cody da un pezzo: per tutti era Buffalo Bill e aveva smesso i panni di semplice cowboy per assurgere ad incarnazione vivente dell'epopea del Vecchio West.

 
Stile, stile e ancora stile...



Il suo variopinto circo piantò le tende anche in Italia, introducendo i nostri antichi compatrioti, tra l'altro, al pop-corn e allo zucchero filato.
Non c'era poi molto altro da fare e da vedere all'epoca, quindi il Wild West Show con la sua finta Little Big Horn e le sparatorie fu un grande successo.
Eppoi Bill, che scemo non era, incassava dei bei soldi organizzando gare di cavalli e di doma che generalmente taroccava a suo vantaggio, tranne un paio di volte in cui i "caoboi de noantri", i butteri maremmani, gli fecero il culo quadro nonostante i suoi magheggi.
E questo è uno.
L'altro è Romolo Buni.
Senz'altro meno cool perchè non sparava ai bisonti nel west ma faceva il panettiere a Porta Lodovica.
E a Milano lo conoscevano tutti per come tarellava sulla bici.
Un anno prima che le strade dei due si incrociassero, Romolo aveva fatto nascere un detto che in città sarebbe stato utilizzato per un bel pezzo per ridimensionare gli sbruffoni: "molla, Buni".
Per riuscirci gli era toccato piegare gli specialisti francesi all'Arena, unico della pattuglia italiana a non cedere, continuando a mulinare a testa bassa sulla pista finchè, rimasto ormai solo e vincitore, qualcuno dagli spalti non aveva cominciato ad urlargli di fermarsi: "Mola Buni, mola!"
Prima uno, poi due, poi tutti gli spalti: "mola Buni! Mola!"
I francesi, a cui fumavano i coglioni per la batosta, lo soprannominarono le petit diable noir, il "piccolo diavolo nero", perchè era un tappo e in bici vestiva quel colore.

Il grande prestinaio-ciclista: Non mollare Buni, cazzo!!!
 
E così, un anno dopo, archiviati i francesi e l'Arena, ecco il gran giorno.
Buffalo arriva con il circo e, non pago del solito cinema, organizza una gara cavallo Vs. bicicletta con dei bei soldi in palio.
Tutti declinano, Romolo si presenta.
Maglia nera di qua, ingobbita sul manubrio, cappello da cowboy di là, alto in groppa al cavallo.
Intorno una folla, accorsa al vecchio Trotter a fare il tifo.
Tre ore di gara, vince chi fa più strada.
Buffalo però è un dritto, come abbiamo visto, e le regole le fa lui: il ciclista non può avere cambi, mentre lui ha diritto a dieci cavalli nei box; gli piace vincere facile allo yankee...
Per tre ore il fruscio dei tubolari insegue i tonfi potenti degli zoccoli sulla terra battuta, nel silenzio partecipe della milanesità riunita (almeno così me lo immagino io).
Sbuffano i cavalli, sbuffa Romolo, credo sbuffi anche Buffalo chissà.
Insomma sbuffano tutti, ma alla fine il Piccolo Diavolo Nero è sconfitto, percorre 99 chilometri e sette contro i 102 degli equini.
Ripetono la faccenda nei due giorni successivi ma il risultato non cambia (e te credo) e lo scorretto pistolero se la fila col bottino.




Il Buni che non mollava mai (nonostante gliel'avessero anche chiesto) tornò così ai suoi sfilatini e comunque, fare i 33 e mezzo di media per tre ore, su quella bici e su quel terreno fu un gran bell'andare... provate a chiederlo al vostro panettiere.
Il bovaro dal canto suo non ci riprovò, conscio del fatto che qualcuno avrebbe potuto chiedergli di cambiare un po' le regole e rimase nel mito, lì dove lo incontrò per caso anche De Gregori.
Che poi, infame, quando si trattò di scrivere una canzone su di un ciclista lo fece per Girardengo mica per Romolo Buni.


 P.s.
Ah, qualcuno sostiene che l'americano non fosse il vero Buffalo e che Buni facesse il ragioniere e non le michette, ma per me son solo complottisti, aridi, apoetici stronzi.

P.p.s
 Dategli un po' questa al Buni, poi vediamo al bovaro quanti calci in del cuu...


giovedì 9 gennaio 2014

Effetti della Crisi su di un corpo umano.

Accade una strana cosa su questo blog.
Se date un'occhiata lì a fianco, nella colonna delle etichette, noterete che l'unica parola in maiuscolo è Berlusconi.
Ho provato a controllare e riscriverla in minuscolo ma non c'è niente da fare.
Ho la quasi certezza che il Cav abbia commissionato  a qualche sua Testa di Cuoio un programmino che s'incarichi di evidenziare il suo cognome in situazioni come questa.
Fatta la tara all'ego del soggetto non ci sarebbe nulla di cui stupirsi.
Sappiate comunque che il fatto sfugge alla mia volontà.
Altra cosa che sfugge è lo studio coatto che porto avanti da qualche mese, per ora senza collaborazione alcuna di istituti o università, riguardante gli effetti della crisi su di un corpo umano.
Perché sono stanco morto di sentire quei mutanti mentali ospiti dai vari Floris, Santoro, Gruber raccontare che la crisi c'è, però.
Però che?
La crisi c'è e stop, e la cosa ha delle conseguenze precise, che continuano anche dopo che la trasmissione è finita, a differenza loro che a luci spente tornano ad occuparsi dei 10.000 euro mensili che percepiscono. 
POPULISTA! dite?

Ma andate affanculo.
Il mio studio quindi.
Assunto che crisi, etimologicamente parlando significa anche opportunità, preferisco concentrarmi su di un'altro significato assai più prosaico: 


E non intendo il telefilm.
Il primo effetto della crisi sul corpo umano (il mio nello specifico) è il dimagrimento.
Semplicemente perché ad una minore o nulla disponibilità economica si lega indissolubilmente la dimensione della sporta contenente la spesa.
Il pasto tipo si semplifica, si schematizza e, tra una bestemmia e l'altra, si porta via parecchi chili in eccesso, quelli del benessere.
Schiena e ginocchia, una volta che lo stomaco si ricalibra sulle portate inferiori e smette di lamentarsi, gioiscono del carico minore e vi ringraziano.
Possiamo così esprimere l'enunciato del Primo Teorema di Stepleton-Girelli (infettivologi):  la crisi è amica delle articolazioni.
Inoltre proverete l'ebbrezza di rientrare in alcuni indumenti che davate per persi definitivamente.
La ridotta impronta sociale che vi lascerete dietro essendo sprovvisti di denaro allontanerà da voi gli amici dell'ultima ora cementando i legami più veri, consentendovi  inoltre di beneficiare di svariati pasti scroccati grazie alla tenerezza che suscitate.
Questa circostanza sarà però parzialmente vanificata dall'altrettanto evidente calo dell'igiene personale dettata dall'uso parsimonioso di shampoo, saponi e detergenti vari legato anche all'impossibilità di azionare troppo a lungo gli ausili elettrici al riscaldamento dell'acqua, per ovvi motivi di costo.
Da qui il Secondo Teorema: la crisi è amica degli umori forti (potreste raggiungere del nuovo pubblico grazie a ciò, non disperate, c'è chi gode solo se gli cacano in viso, per dire).
La desertificazione del portafoglio induce rapidamente anche alla frequentazione delle oscene botteghe cinesi, dapprima per l'acquisto di vettovaglie, poi anche di derrate alimentari, servizi di taglio capelli e cucito calzini, volendo massaggio ai coglioni e dito nell'ano se proprio ci si sente soli e bersagliati dal destino. 
Da qui, tralasciando la possibilità di imparare un po' di mandarino (cosa che tanto dovremo fare TUTTI tra un po') o contrarre la sifilide, resta valido il Terzo Teorema di Stepleton-Girelli: la crisi è amica dello straniero e del diverso, quindi dell'integrazione. 
E... il sesso?
Quale?
Con tutti 'sti problemi il pene è solo un contrappeso che aiuta a non cadere all'indietro.
Gradirei opinioni in merito da una pari grado femmina: la usa uguale? Meno? Di più? Solo per nascondervi gli ovetti con la cocaina?
In questo caso il Quinto, e per ora, ultimo Teorema, è anche l'unico di segno negativo:
la crisi non è amica del pacco.
La crisi inoltre lascia un sacco di tempo libero.
Che io occupo mirabilmente, devo dire, anche e non solo per portare avanti questo spazio.
E poi posso pensare molto, ad esempio a Bruce Banner.
Anche lui ha i suoi bei problemi, forse anche più grandi dei miei: se s'inquieta diventa Hulk (io vado invece di corpo).
Tutto perchè ha voluto giochicchiare coi raggi gamma, che se si masturbava come chiunque altro non gli succedeva niente.
Ma comunque, Hulk.
E non è mica il solo.
Vi stupite se vi dico che questa faccenda dei raggi gamma l'hanno provata altri quattro? 
C'è chi ne è uscito bene, chi avrà qualche difficoltà coi cappelli e uno un po' più penalizzato, ma in generale è tutta gente sana e propositiva (e tutti devono amare il verde, gli auguro).


Doc Samson
She-Hulk

Abominio


















Il Capo



















Mi sottoporrei volentieri ad una seduta di raggi gamma, per vedere che effetto farebbe su di un corpo già affetto dalla Crisi e perché il verde mi piace fin da quando vidi, bambino, uno zio arrivare sopra questa:



All'epoca sua non c'era nient'altro di così virile, forse la Fender Stratocaster. 
Perchè andava più di tutto quel che circolava, e lo faceva spesso con sopra dei soggetti con quelle facce da anni settanta che oggi vediamo solo sulle foto segnaletiche.
Ceffi con baffi spioventi, basettoni e rayban a goccia.
Niente casco, marmitta 4 in 1 aperta e, quale unica protezione, l'immaginetta di Padre Pio nella tasca dei jeans.
Più la carta d'identità ovviamente, messa nelle mutande, allorché servisse per il riconoscimento della salma.
Chiudo con un fioretto: se mai dovessi uscire da questo stato Critico mi comprerò un Kawasaki Z 900 smarmittato e lo guiderò con una chitarra a tracolla.




martedì 7 gennaio 2014

Ultime ore per l'abete.

L'epifania è il lunedì dell'anno.
Il giorno in cui si raccoglie tutta la depressione per ciò che ti aspetta nel mondo dopo la sbornia orgiastica delle feste e dopo aver riportato l'abete in cantina (se di plastica), o nel cassonetto (se vero e, normalmente, senza radici).
Finisce l'armistizio con gli scazzi quotidiani e cala anche il timido ottimismo artificiosamente inalberato a capodanno (tranquilli, sarà una merda uguale a quella passata).
Niente più filmetti per bambini la sera, niente più cartoni animati in prime time.

Che poi per me si tratta di una sorta di sindrome da arto mancante, quella che colpisce gli amputati che continuano a sentire prurito laddove non ce ne potrà più essere.
Uguale.
Perchè nonostante da disoccupato io abbia tutto il tempo del mondo a disposizione, la domenica sera ugualmente ho sempre le palle girate, e il 6 gennaio anche.
Specialmente quando, come ora, sto per staccare la spina alle lucine colorate che hanno rallegrato la mia abitazione e la mia esistenza nelle ultime tre settimane.
CHE MERDA!
Domattina, al risveglio delle canoniche nove e mezza, placido e in bolletta, rivedrò la situazione con occhi diversi, ma ora, alle ore 23.30 di 'sta Befana 2014 soffro all'unisono con voi lavoratori per la sveglia di domani mattina.
Per il traffico in cui vi infilerete, per il freddo nel coppino che patirete, per la fila al bar che subirete.
E intanto mi so vedendo "Ghost in the shell", regalatomi dalla Dolce proprio a Natale (Lei è a letto che guarda un Bergman). 
L'ho interrotto perché m'è venuto lo stimolo scrittòrio, ma pare interessante.
È questo qui, la versione 2.0 uscita nel 2008



L'originale è del 1995 e all'epoca spaccò parecchio, in un decennio, quello dei novanta, che non produsse un cazzo di valido in nessun campo tranne il grunge all'inizio, Evangelion e questo a metà, e la ridicola presa per il culo del Millennium Bug alla fine.
Storia tesa di una sezione corazzata della polizia che insegue non so ancora chi per fare non so ancora cosa; appena finito col post, torno a vedere.
Secondo quell'abitudine tutta nipponica di non rispettare la memoria di nulla, qui in questa nuova release ci sono un nuovo audio stereo, nuovi fondali e colori ed un massiccio utilizzo di cg.
Bello è bello, ma non avendo visto l'originale non mi sbilancio.
Il regista, Mamoru Oshii, però è una garanzia.
Se non lo conoscete, recuperate e alla svelta: vi consiglio a bruciapelo due anime bellerrimi come "The skycrawlers"e, per i più sbarazzini, un vecchio lungometraggio di Lamù, "The beatiful dreamer" , che mi ha sempre affascinato con quella sua atmosfera onirica e sospesa e che mi devo decidere a recuperare su di un altro supporto perché la mia vetusta vhs non so più come fare a guardarla essendomi esploso il vcr anni e anni fa.





No fear! Urusei Yatsura è il nome originale della serie.




 Va bè, in ogni caso, tornando al primo anime, dopo dieci minuti, durante un inseguimento vedo che la polizia utilizza questa macchina qui



solo un po' modificata, grigia e senza biscione sul cofano.
È l'Alfa sz dell'89, una delle più fascinose Alfa mai fatte (e in Alfa ne hanno fatte tante).
A me allora faceva cacare.
Oggi anche, ma sono più possibilista.
Ai giapponesi piaceva evidentemente e non solo a loro.
Ne tirarono un migliaio e andarono via tutte prima ancora di aver finito di assemblarle.
Trazione posteriore, tre litri e 6 cilindri, andava una mazza ma la colpa fu del management che col motore a quattrovalvole pronto alla commercializzazione preferì montare il vecchio duevalvole ormai bolso nonostante una costosa preparazione corsaiola.
Le genialate che a Torino non hanno mai smesso di perpetrare ai danni di Arese (quando ancora c'era).
La storia del suo aspetto estetico è simpatica: furono messi in competizione il Centro Stile Fiat e Zagato, che svilupparono il design fino a presentare i rispettivi modelli 1:1.
Vinse Zagato e il risultato lo vediamo, ma la proposta interna non venne accantonata.
Presa paro paro, solo lucidata qua e là e verniciata in un color rosso rubino metallizzato, venne esposta al Salone dell'Auto di Torino nel '91 quale concept col nome di Proteo.





Di lei, oltre al colore in listino (appunto il rosso Proteo) che era tanto piaciuto, venne derivato un fortunato modello, la Gtv, nel '94.





In Alfa sono particolarmente bravi con i colori evidentemente.
Il numero riuscito con quel bel rosso, lo replicarono verniciando in un bellissimo azzurro cangiante la concept Nuvola (fantasiosi, anche questo colore infatti venne battezzato azzurro nuvola) nel '96.



A differenza della Proteo, ahimè, qui sopravvisse solo il colore, che io volevo utilizzare per verniciarmi una bicicletta salvo scoprire che per la sua formulazione "micallizzata" costava uno sproposito.
Tutto ciò per non pensare all'angoscia che mi attanaglia a vedere dopo venti giorni l'angolino occupato dall'albero di natale buio e triste.
Torno a finire l'anime, tanto domattina la sveglia è biologica.


giovedì 2 gennaio 2014

Ultimo venne l'ununoctio.

Domanda a bruciapelo: quanto indietro riuscite ad andare con la memoria?
È un giochino che fa andare sempre ai matti la Dolce, che nello specifico esercizio ha una gittata assai più breve della mia.
E voi invece?
Boh, non lo saprò mai, visto che la perfida logica dei blog è che uno parli e parli e parli e nessuno mai risponda, quindi amen.
Io arretro giù giù fino ad un punto imprecisato dei miei quattro anni.
Non chiedetemi perché il cervello tenga da parte alcune scene, alcuni video nel suo hard disc e ne butti altri nel cestino: è così e ce lo teniamo.
Il mio punto imprecisato è quello in cui io, quattrenne appunto, mi trovo sul balcone di un albergo ligure in periodo tardo invernale a spalmare marmellata su due fette di pan carrè.
Ho provveduto poi faticosamente a verificare con la Matre come e perché fossimo lì (lei non lo ricordava), in ogni caso la memoria balenga mi permette di visualizzare il colore smortino della prima fetta (verosimilmente albicocca) e quello più scuro sulla seconda (penso mirtilli o fragola) e quasi quasi di risentirne il sapore.
Inoltre indossavo un berretto lanoso con pon pon e golfino di mediopeso, perché sento il frescolino nonostante il sole.
Questo ed il flash di me che guardo (in bianco e nero) una puntata di Ufo alla tv e poi, causa febbre, mi trovo visitato dal medico si battono per la palma di frammento menmonico più antico nella mia mente annebbiata.
L'idrogeno del mio cervello se volete, cioè il primo elemento.
Mentre l'ultimo è proprio il misterioso ununoctio di cui vi stavate chiedendo il significato, numero atomico 118.
La Dolce mi ha appena comunicato che parlando al telefono col cugino disturbato ha appreso che il ferro è l'ultimo elemento prodotto prima che una stella collassi.
Poi ce ne sono altri, ma il poetico momento fondativo di quell'elemento, normalmente poco considerato, (quel ferraccio... ) lo eleva invece ben sopra ai suoi più quotati e scontati colleghi, tipo l'oro ed il platino o l'argento addirittura.
Perché la Dolce ed il cugino finiscano a parlare della tavola periodica anziché di banalità come tutti mi è ignoto.
Inoltre l'ignoranza crassa che coltivo nel campo specifico credo mi schermerà da ogni possibile critica possiate muovermi, tanto non è di chimica né di fisica che voglio parlare, bensì di Zaffiro & Acciaio.


Tutte le anomalie verranno regolate dalle forze che controllano ogni dimensione. Ovunque ci sia vita non verranno usati elementi transuranici pesanti. Sono disponibili pesi atomici medi: Oro, Piombo, Rame, Giaietto, Diamante, Radio, Zaffiro, Argento e Acciaio. Sono stati assegnati Zaffiro e Acciaio


Tutto ciò è legato al discorso dei recuperi mnemonici fuori tempo, perché una caratteristica che mi contraddistingue è l'essere schiavo del tentativo di ritrovare l'antica magia del momento ripescato.
Va da sè che, fuori contesto com'è, di magia come la ricordavo non se ne parla più e quindi, a recupero terminato, la delusione è sempre vasta, condannandomi ad una vita in affannosa malinconia di qualcosa che, se c'è stato, adesso è giustamente scomparso.
Fossi nato semplice Ultrà vivrei senz'altro una vita più semplice: cibo, cacca, figa, Inter.
Che felicità.

Abbasso i luoghi comuni: Il tifoso al centro sta declamando dei versi del Vate.
 
Invece no ed allora ho un imponente archivio audio-video-cartaceo che riempie tutta una stanza con reperti tra i più disparati: tutti gli sceneggiati giallo/thriller anni '70, le serie fantascientifiche, i libri, i modellini, che a spolverare tutto divento scemo (e infatti ho smesso).
Zaffiro e Acciaio dunque, una serie inglese in 34 (brevissimi) episodi che passò sulla Rai in tempo perché la notassi ed imprimessi là nello spazio di cervelletto di cui parlavo sopra.
Sorprendentemente però, il recupero è stato del tutto soddisfacente, perché la serie è davvero grande.
Si tratta di due agenti con strani poteri, inviati non si sa bene da chi a rattoppare anomalie del tessuto spaziotemporale (a volte con l'aiuto di altri agenti con altri pesi atomici) che si muovono entro scenografie semplicissime, al limite dello spoglio e del banale, producendo per giustapposizione tese atmosfere stranianti e misteriose.
Capita magari che due, tre puntate passino con loro che si scambiano di posto in due stanze disadorne, al massimo con una pendola nell'angolo, facendo cose strambe e dicendone di ancora più strambe.
Sicuramente alla produzione costava poco, sfortunatamente quando si confeziona un prodotto che obbliga il pubblico a mettere in moto (anche al minimo neh, ma è già sufficiente) un paio di rotelle nel cervello, l'audience si riduce drammaticamente.
E infatti si chiuse lì, sparendo nel suo misterioso limbo.
Non ho voglia di star qui a discettarne ad oltranza, vedetevelo, ora che col TuTubo si può accedere a tutto, non come prima che per cercare qualcosa occorreva essere dei piccoli Sherlock, oppure procuratevi come ho fatto io il cofanetto dvd pubblicato da non ricordo più chi.
Se amate una fantascienza inconsueta ed un minimo cerebrale (e inquietante) mi ringrazierete.
Tanto io non lo saprò mai.



p.s.
Ah, se vi state chiedendo come si presenti l'ununoctio o in cosa possa essere contenuto, non chiedetelo a me. Anche io sto guardando sotto ai vari oggetti che ho in casa per vedere se oltre al dannato Made in China ci sia qualche altra indicazione rivelatrice.
UN Nuvola Nove gratisss a chi me lo dirà (facendosi riconoscere).

p.p.s.

Sì sì, il titolo del post è rubato al Calvino di "Ultimo venne il corvo", non rompete le palle: mi autodenuncio sempre se del caso.

L'uomo col cazzo di teak






Nel contenitore c'è esattamente ciò che pensate.
Un pene.
Tra l'altro di grossa cilindrata visto che dichiara oltre 33 centimetri.
E, devo dire, mi ha fatto sudare per essere trovato in rete in un'immagine senza una donna che lo guarda da vicino, così che possa scriverne senza essere accusato di maschilismo.
Verificate.
Comunque, ciò che manca nella foto è Rasputin che al suo membro è stato attaccato fino alla morte, avvenuta per mano di nobili russi incazzati per giuste cause, che vedremo.
Se c'è qualcuno che pensa alla cremazione, consideri magari di lasciare anche lui un ricordo in barattolo ai parenti: non verrà dimenticato.
Grigorij Efimovic  era un monaco nato in Siberia e non si lavava quasi mai, lascivo e gozzovigliatore da cui "Rasputin" che significa proprio questo.
Preso da furore estatico-religioso mollò la moglie e i sette figli e prese a girovagare per le Russie tutte, avvolto nella sua lurida tunica e nell'altrettanto lurida barba predicando e trombando.
Sì, perché grazie al proprio carisma (ed al proprio listello di teak), il Rasputin andava sostenendo che per liberare le donne dal peccato era necessario penetrarle con forza (immagino per un principio speculare allo stappare una bottiglia) e il bello era che queste si concedevano a mazzi al magnetico affabulatore/stappatore.
Il fatto che non salvasse dal peccato con lo stesso sistema anche gli uomini, conferma la grande astuzia dell'individuo.
E infatti...



Rasputin è quello sopra. Le affinità di pensiero riguardo i rapporti con la popolazione femminile potrebbero generare legittimi dubbi






 






























... Ebbe il bacio della fortuna stampato in fronte allorché la sua fama raggiunse le ingenue orecchie degli ultimi rappresentanti della dinastia degli zar, i Romanov.
Curata con gran colpo di culo ed in modo totalmente casuale l'emofilia del principino Alekseij, divenne subitaneamente protetto di corte, consigliere personale dello zar per gli affari politici e scopatore a largo raggio.
Infatti oltre ad "operare" in un suo studiolo personale che pare fosse arredato da un solo divano sfondato dall'uso, ammaliò anche la zarina cretina Alessandra coi suoi occhi da matto e i poteri soprannaturali attribuitigli dal popolo (nonché col futuro contenuto del barattolone suppongo).
Persino il marito becco, lo zar Nicola II, non faceva una mossa senza un parere del monaco.
Se si pensa alla Rivoluzione Russa che pose fine alla monarchia zarista, non si può proprio biasimare il popolo che aveva a che fare con simili deficienti.
Che altro avrebbero dovuto fare?
In piena Prima Guerra Mondiale il Rasputin prendeva decisioni politiche senza saperne una mazza (esattamente come Silvio) influenzando zar e zarina, e, ovviamente, combinando enormi casini che poi pagava il popolo (la circolarità delle vicende umane a volte mi disturba).
Per ammazzarlo, nel 1917, dovetterlo invitarlo ad una cena trappola nel palazzetto di un nobile alla quale lui si presentò con l'usuale tunica unta, cercando prima di avvelenarlo, quindi sparandogli e poi, visto che non moriva ancora, strangolandolo.
Tra quel momento e la sepoltura qualcuno si prese il famoso souvenir che da allora è sempre lì in mostra a S.Pietroburgo.

Notevole l'influenza dello zozzone (sosteneva di cambiarsi la biancheria ogni sei mesi) sulla cultura occidentale: 25 film e mezza dozzina di pezzi musicali sono tanta roba (qui vi linko il contributo fondamentale di Boney M.) ma l'onore di uno speciale Superquark è tutt'altra cosa: Piero Angela Rulez!