domenica 15 dicembre 2013

Evoluzione Nagaiana

Perchè Charles Darwin sì e Go Nagai no?
La teoria dell'evoluzione enunciata dal primo è stata universalmente accettata, quella proposta dal secondo ha fruttato al suo autore solo il plauso entusiastico dei lettori di manga, ma è rimasta confinata a Devilman.
Questo è Devilman, alias Akira Fudo:


Io, tanto per dire, parteggio di brutto per il giap, non fosse altro perché grazie ai suoi robottoni (il benemerito si è inventato anche i Mazinga e i Goldrake, cioè i miei riferimenti etici di allora insieme a Niki Lauda e Alberto Lupo) la mia infanzia è stata molto migliore di quanto sarebbe stata col solo Darwin.
Insomma siamo sempre al vecchio adagio vox populi, vox dei: s'è scelto Darwin e nemmeno l'avvento di Nagai ha scalfito l'abitudine consolidata.
Mi fa pensare alla Bibbia vs. Scientology.
La gente da un bel pezzo fa cose incredibili, senza fiatare, nel nome di un tizio che cammina sulle acque, che con un pane ed una triglia ne mette a tavola cento, che muore e risorge; però poi sghignazza inorridita se gli si parla di viaggi extracorporei e del malvagio Xenu, dal quale tutti i nostri guai di umani derivano secondo Hubbard.  
Stessa storia svecchiata un po', secondo me, ma di peso identico.
Dato che dopo questo teorema che ho giustamente grassettato finirò all'inferno, è bene che vi spieghi in anteprima cosa ci troverete o luridi peccatori.

Devilman esce in Giappone nel 1972 per l'editore Kodansha e narra le gesta del giovane Akira Fudo, del cui corpo prende possesso il diavolo Amon, per lottare contro i demoni al risveglio da millenaria ibernazione nella forma di Devilman.
Al fatto non è estraneo l'amico Ryu, che si rivelerà poi essere Satana e innamorato di lui.
Questo in estrema sintesi.
E già sarebbe sufficiente visto che, mescolando temi quali la violenza, la paura del diverso, l'esoterismo, l'omosessualità, (in un fumetto nel 1972 cazzo!!!) Nagai dimostra di che pasta fosse fatto: grano duro trafilato al bronzo.
Ma la parte interessante qui, quella che collide con Darwin, è la teoria che sorregge tutta l'impalcatura del manga e che spiega la causa della sovrappopolazione mondiale: perché la specie umana viaggia sui sette miliardi di esemplari e il resto delle creature viventi invece si autoregola?
Perché ogni specie ha un predatore naturale che si incarica di matenere l'equilibrio; tranne una.
Ma in realtà questa è un'anomalia, un macroscopico granello di polvere nell'ingranaggio oliato della natura, perché la specie umana un predatore che la regolava ce l'aveva nell'antichità: i demoni.
I demoni si cibavano di uomini, ma furono messi fuori gioco dall'Era Glaciale che li ibernò, lasciandoci liberi di moltiplicarci senza controllo.
La prova della loro esistenza si può trovare nelle paure istintive che gli uomini ancora conservano, come quella del buio, e che non sono altro che frammenti di memoria trasmessici dai nostri avi preistorici: il timore del nostro predatore.
E nel '72 questo fetente nemico si stava scongelando, riprendendo a fare ciò che per lui era naturale.
Go Nagai l'aveva pensata bene la teoria, fila tutto, poco da dire.
E poi l'aveva disegnata col suo tipico stile scarno, ipercinetico, sceneggiandola col gore e lo splatter che solo i giapponesi potevano permettersi senza censure quarant'anni fa.


A questa vi affezionerete ad esempio, ma alla fine finirà così senza preavviso...
  
Io la serie la lessi tutta negli anni novanta, edita in 14 albi da Granata Press e fu un colpo nello stomaco, perché Nagai fa fuori tutti senza pietà, anche i personaggi principali, e lo fa in modo orrendo senza lesinare particolari, sempre con quel cazzo di tratto semplice semplice ma sempre cupo e presago di tragedia.
La violenza cresce di numero in numero, perché i demoni prendono le sembianze degli uomini per ucciderli, provocando una classica e delatoria caccia alle streghe della quale saranno vittime anche i famigliari del protagonista.

Il tono della serie era così adulto che il cartone animato che ne venne ricavato fu decisamente edulcorato, sia nelle situazioni sia nell'aspetto del protagonista assai meno infernale dell'originale, per non far cagare sotto i ragazzini e permettere loro di dormire almeno otto ore per notte.


Molto più rassicurante messo così...

Rimane a tutt'oggi una delle poche opere a fumetti che mi hanno fatto sollevare la testa emotivamente strapazzato, dopo aver chiuso l'ultimo albo. 
Ne realizzarono anche un lungometraggio nel quale il Devilman effeminato qua sopra si prendeva a mazzate con Mazinga Z, ovviamente un must have per tutti i sognatori.
E poi successivamente altri Oav, che non ho visto e di cui quindi non parlo (strano su internet che qualcuno non parli di qualcosa che non sa, vero?).
Se non l'avete mai fatto è d'obbligo il recupero e la lettura di questa pietra miliare del fumetto mondiale, sennò m'incazzo e non scrivo più niente.

sabato 14 dicembre 2013

Frìcs e formulauàn

Freaks e Tod Browning.
Un film ed il suo regista.
Un film per il quale il suo regista si bruciò la carriera, sarebbe più corretto aggiungere.




Freaks significa letteralmente "scherzi di natura" ed è esattamente ciò che nella pellicola ci viene presentato, una combriccola di fenomeni da circo in un circo, appunto, senza mediazioni pietiste, senza l'amato e stucchevole lieto fine caro agli americani a salvare un malsano triangolo amoroso tra il nano, il forzuto e la bella trapezista.
Eccezionale allegoria della diversità e del timore che questa sempre genera, al netto di tutte le ipocrisie con cui da essa ci facciamo scudo.
Si consideri che la pellicola risale al 1932, che tutti i freaks che vi appaiono sono veri artisti circensi e si traggano le dovute conclusioni sul perché il regista ebbe i suoi guai, tali per cui nessuno, poi, volle finanziare alcunché provenisse dalle sue pensate cinematografiche.
E si consideri anche che la potenza del film fu tale da costringere il regista a tagli di mezz'ora rispetto a quello che oggi comunemente chiameremmo Director's Cut per permettergli di uscire in sala negli Usa (e giusto lì, perché in Inghilterra e Germania fu visto solo negli anni '60, addirittura dieci anni dopo da noi).
Come spesso accade c'è stata poi la rilettura, la rivalutazione, l'osanna (ben dopo la morte del suo artefice) e oggi Freaks è stabilmente inserito nelle 50 pellicole cult del ventesimo secolo.
Nessun onore al coraggio di Browning nel pensarlo e realizzarlo, almeno non nel suo tempo, ché, come già ho detto da un altra parte, tutto ciò che arriva postumo serve ad un cazzo.
Spiace.
Mi punge quindi vaghezza di caricarmi di tutte le intuizioni di Browning e adattarle ad un mio personale Freaks tecnologico applicato alla Formula1.
Che c'entra dite?
Niente.
È la scusa buona per appiccicare un paio di foto di scherzi di natura meccanici, forme molto veloci ma anche molto inusuali, alcune con un lieto fine altre meno.
Rispetto al buon Tod io poi non rischio nessun embargo da Hollywood, quindi procedo sereno.

Il primo fenomano da baraccone qui è francese.
Tutto francese: squadra (Ligier), pilota (Jacques Laffitte), sponsor (Gitanes), motore (Matra).
Ah, la grandeur, peccato che il risultato in quel '75 fu grottesco:


Ligier Js5: la prima f.1 con cabina armadio.


Poco da ridere anche da parte degli italioti, magari ferraristi.
Non è che il cavallino abbia sempre sfornato ciambelle con buco giottesco neh?
Guardate un po' qua:


Ferrai 312 B3 del 1973. La chiamarono "la Spazzaneve"...
Il pilota che si vede in foto è così fuori misura perchè non si tratta di Arturo Merzario, che la guidò all'epoca sua e che era alto 1 e 60, ma del tristo miliardario Usa di turno che se l'è comprata per giocare, indifferente al fatto che essere cresciuto ad hamburger e patatine poteva creargli sia problemi dimensionali che scherno da parte degli spettatori.

Gli inglesi hanno fatto anche loro delle belle porcate, ma in questo caso preferisco ricordare due freaks più affascinanti che repellenti: la Brabham Bt48 e la Tyrrell P34, una del '78 e l'altra del '76,  concretizzazioni pratiche estreme di una primaria necessità: avanzare il più velocemente possibile.
Stesso scopo, strade diametralmente opposte per raggiungerlo:
 
La prima (e ultima) F.1 col ventilatore. La mezzacapa che si vede è di Lauda.
 
La prima (e non ultima) F.1 a sei ruote. Curva e fumacchia Scheckter.


Dai, coi tedeschi è come sparare sulla croce rossa con un ak47... gente che gira con sandalo e calzino bianco cosa poteva partorire nel settore?
Infatti la Kauhsen girò in test privati ma non corse mai, per fortuna, nel 1979.
 
La prima F.1... (F.1?). Credo guidi il nostro Brancatelli, a giudicare dal casco.
  
Concludo poco prima di diventare stucchevole con un freak tutto nostrano.
Non una macchina intera ma solo un pezzo, un motore.
Progettato da un ex ingegnere Ferrari, Claudio Rocchi, che evidentemente indulgeva fin troppo col Lambrusco, aveva la particolarità di essere un 12 cilindri stellare, uno schema conosciuto nel campo dell'aviazione con motori a scoppio e scelto perché, come è intuitivo, permette di accorciare la lunghezza del blocco e poter così giocarci meglio piazzandolo in un telaio dove meglio pare.
Eccolo in tutta la sua stravaganza tecnico morfologica: 

W12 f.1. Capito perché si dice che è "stellare"?

Sembrava l'uovo di Colombo.
Purtroppo anche l'uovo migliore, se non incontra una padella, si spiaccica per terra anziché tramutarsi in frittatina e così 'sto ferro, senza il becco d'un quattrino per lo sviluppo, erogava 150 cavalli meno dei suoi concorrenti in quel lontano 1989.
Hai voglia a rischiare di ammazzarti ad ogni giro se vai a cento all'ora in meno sul dritto...
Ah, per soprammercato si rompeva solo a guardarlo.
Corse, si fa per dire, un paio di sessioni di prova prematuramente interrotte.
Poi venne smontato da dove stava, una vettura che si chiamava Life, e se ne persero le tracce; probabile faccia oggi da fermacarte sulla scrivania di qualche patito della meccanica fine che, analogamente alla pasticceria fine, si mostra agli ospiti solo in rare e particolari occasioni.
Preferibilmente col tè.


p.s.

Un Nuvola Nove in regalo a chi riprodurrà con la bocca il suono che crede possa aver fatto questo motore.

giovedì 12 dicembre 2013

L'uomo che rutta storto

Non lo so, non rompetemi le balle.
Volevo scrivere di pittura metafisica ed invece un equivoco sonoro con la Dolce via skype ha creato il titolo del post.
Che poi tanto sbagliato o fantasioso potrebbe non essere, trattandosi di Giorgio de Chirico.
Avete presente Giorgio de Chirico?
Eccolo qua:
  
 
Uno con una faccia simile è fortemente indiziato di essere stato uno che ruttava storto in effetti e nessuno avrebbe avuto niente da ridire perché quando dipingeva tutti muti.
Non dipingeva canestre di frutta più vere del vero o tagli concettuali e la prospettiva poi se la infilava allegramente su per il culo: faceva di meglio.
Dipingeva una dimensione parallela, metafisica appunto, tanto che l'etichetta di surrealista che Andrè Breton voleva attaccargli mentre de Chirico esponeva in Francia fece incazzare Giorgione, che lo mandò pubblicamente a cagare per fatti loro di artisti, probabilmente ruttando storto. 
BRAFO Giorgio, diglielo ai francesi!
Vi segnalo, qui, la puntata di una trasmissione meritoria degli anni '70 incentrata su de Chirico, parte di un ciclo dedicato agli artisti nell'atto di fare arte pensata e condotta dal pedante Franco Simongini,  per chi volesse vederlo muoversi (poco) e pensare un dipinto.
"Come nasce l'opera d'arte" si intitolava il ciclo, e cadesse il pistolino in Rai a chi non ha ancora deciso di raccoglierla in cofanetto prima che i master si trifolino. 
Ma andiamo avanti: la metafisica appunto.
Oltre la fisica, se ci limitiamo all'etimologia, ma per fortuna qui dentro ce ne fottiamo dell'etimologia, perché l'arte è mettersi davanti a qualcosa e andare altrove senza muoversi.
Voilà, ecco tre esempi del famoso ciclo metafisico delle Piazze d'Italia:














Prima di dire che lo facevate anche voi, mettete l'indice in uno schiaccianoci e premete: il dolore dovrebbe schiarirvi le idee e farvi più saggi.
Certo io sono di parte perché questi rappresentano i miei dipinti d'elezione, in assoluto.
Perchè quel che c'è è quel che manca.
Mi spiego: i tratti somatici caratteristici della città italiana li cogliamo tutti, ma le prospettive
taglienti e soprattutto la luce di un'ora e una stagione imprecisata riempiono le tele di mistero, appunto, metafisico.
Questo per me; ma qui dentro comando io e quindi è così e basta.
Quello che riesce a fare il maestro è togliere l'aria; tutto è sospeso nel tempo e nello spazio ed io è lì che spero di finire dopo morto, in una piazza così, per vedere dove va la bambina col cerchio e per girare l'angolo e scoprire finalmente chi proietta quell'ombra e cosa c'è dietro.
Un paio di cose se vi avessi smosso una curiosità, magari nana magari no.
Se siete di passaggio a Milano (a Milano si è sempre solo di passaggio, a parte qualche prigioniero ben felice d'esserlo) andate nel giardino dietro la Triennale, magari approfittando per l'aperitivo, perché so che siete superficiali.
Avanzate sull'erbetta fino in fondo, stringendo l'agognato beverone e guardatevi quest'opera qui:


Ho scelto volutamente una foto di merda, così andate a vederla dal vivo.


Si chiama "I Bagni Misteriosi" ed è l'unica opera scultorea all'aperto (al mondo) del Giorgione.
Sorseggiate, meditate, sorseggiate: questo è ciò che ci attende di là


p.s.

Considerate inoltre che il tipo intellettual meditabondo ma un po' buttato via ha forte presa sull'altro sesso, o sullo stesso.
Se invece nessuno vi avvicina dopo dieci minuti di osservazione sentitevi liberi/e di ruttare storto come il Maestro.
Avrete comunque imparato qualcosa.




Lavarsi la faccia

Sono le 00:59 e fuori c'è una bella nebbia come ormai raramente se ne vedono a Milano.
Le luci sembrano rossetto sbavato, le auto passano frusciando, figure infagottate e furtive si muovono sui marciapiedi.
Meraviglia.
Due son le cose che mi vengono in mente nelle notti nebbiose: il racconto che ne fa Calvino in Marcovaldo, con lui che sbaglia fermata per colpa della nebbia e scende dal 30 in un luogo misterioso che dovrebbe essere sempre la solita città e invece è un posto sulfureo e silenzioso dove fare strani incontri (ma quella era la nebbia vera di trenta e rotti anni fa, non questo surrogato), ubriacarsi in un'osteria sospesa nella caligine e finire poi sulla pista dell'aereoporto scambiandone le luci per un'autobus e il fatto, per me increscioso, che ora sia sparita e ci abbia tolto la memoria della magia (ma regalato edifici puliti, perchè all'epoca dei nebbioni da smog, stavano una zozzeria).
Comunque volevo scrivere di Gagarin, perché sto spendendo tempo a costruire un testo fantascientifico che forse mi frutterà reddito nel prossimo futuro e quindi mi andava, però sono incocciato nella solita catalessi da massaggio e depongo la tastiera: mi scuserete.
Cioè, spiego: per dormire vado su youtube a cercare video di massaggi senza musica, dove sia udibile il cic e ciàc dell'olio steso tra schiena e mani e in tempo zero il coma mi assale.
Chissà quale parte del mio cervello va fuori uso in questi frangenti. 
Domattina riprendo il discorso, vedremo se la nebbia sarà ancora là fuori.
Ne dubito.
'Notte.

Zzzzz


Buongiorno.
Sono le 9:04 e la nebbia resiste.

Gagarin allora.
Cosa volevo dire stanotte su di lui?
Ah, sì, che inizialmente volevo prendermi una maglietta vista in un negozio di biciclette estreme, colla faccia del cosmonauta dentro il casco, il nome scritto in cirillico e una bella falce e martello.
Solo che la vendevano esclusivamente in rosso e non volevo passare per il comunistone che mai sono stato e mai sarò, quindi ho abbozzato.
Gagarin è stato il primo uomo a farsi un'orbita attorno al pianeta nel '61, chiuso in una tinozza improbabile che solo a vederla si capisce il coraggio, la Soyuz.
Non poteva fare niente se non guardare fuori e sperare che giù non avessero esagerato con la vodka, perché era tutto telecomandato da terra.

Claustrofobia portami via.

Gli americani si presero una strizza tremenda quando appresero la notizia, perché pensavano (oh!) di essere i migliori e invece no,  ma soprattutto vedendo con che attrezzo era andato nello spazio Yuri.
Preventivamente aumentarono anche loro il consumo di vodka, hai visto mai.
Gagarin non tornò più nello spazio e si schiantò in circostanze mai chiarite nel '68 a bordo di un Mig.
Cosa ci rimane di lui, oltre alla maglietta?
Qui niente, a Washington "solo schifo e dolore" (cit.), in Russia parecchio perché è un eroe nazionale.
A Mosca per esempio c'è questo in Piazza Gagarin (e dove sennò?)
 
L'ho messo extra large perché si apprezzino i 40m. d'altezza.

 Grazie alla naturale ricchezza del sottosuolo russo hanno pensato di farlo in titanio, quindi pesa poco ed è coerente con lo scafo della navicella che lassù lo scarrozzò.
Pensate non sia abbastanza per il coraggioso pioniere che rischiò la vita per portare l'umanità tutta nell'era spaziale?
Infatti c'è dell'altro: gli lavano anche la faccia.


Tralalà un bel peeling.








venerdì 6 dicembre 2013

Ciao e poi basta.

Non esistono i libri che ti cambiano la vita.
Chi lo sostiene mente sapendo di farlo (e se non lo sa, allora è un cretino).
A parte la Bibbia con psicotici che hanno avuto genitori bigotti, nessun libro fa altro che regalarti della sana sospensione d'incredulità (quella che al cinema ti permette di berti tutto con soddisfazione senza alzarti a metà del primo tempo o dopo la prima sparatoria) e nient'altro.
Se è scritto particolarmente bene può arrivare a mostrarti una strada diversa, ti prende per mano dando un nome a ciò che vedi, indicandoti qual'è la forma delle nuvole o quello che in quel preciso momento sei più sensibile a recepire ma non altro.
Tra quelli che mi hanno indicato qualcosa c'è David Foster Wallace.
È stato un grande scrittore, un goffo essere umano, un competitivo tennista e, alla fine, un corpo appeso ad una corda scoperto dalla moglie a dondolare nella penombra.
Respect, in ogni caso.
Tra le varie cose che ha scritto c'è Infinite Jest, considerato la vetta della sua produzione, che è un immane balenottero di quasi 1300 pagine, la metà delle quali di note a piè di pagina scritte pure in piccolo.
Viene considerato un dildo per iniziati, perché se spaventa a vedersi, spaventa ancor di più ad affrontarsi per la dedizione che richiede nel penetrare il mondo che ci dipinge attorno e tutto ciò che ci infila dentro, scritto da dio dalla prima all'ultima riga (da Wallace e dal suo Editor ovviamente, considerate sempre questo "irrilevante" aspetto dell'editoria....) non vi mollerà più neppure dopo averlo terminato, se ci arriverete.

                          Non fatevi ingannare dal fuori scala di quest'edizione americana, perché quella nostrana di Einaudi ha uno spessore di ben 7cm. Provate a misurare un libro che vi pare "ponderoso" e capirete.



Ma non è questo che mi ha indotto a sistemare Foster Wallace là, sul ripiano buono della cameretta, bensì il ben più umile racconto "Per sempre lassù" contenuto nella raccolta "Brevi interviste con uomini schifosi", che è questa qua:





Bene.
"Per sempre lassù" è il resoconto di un tuffo in piscina da un trampolino, eseguito da un quattordicenne in un'assolata domenica.
O meglio, da eseguirsi, perché in dodici paginette ci viene mostrato tutto il tragitto da terra alla pedana (con quel particolare sul punto di stacco che già di per sè vale il prezzo del biglietto), una sorta di via crucis indotta dalla paura dell'altezza che va aumentando, dalla folla che preme sugli scalini di metallo, dai profumi che si spandono nell'aria.
Durante la lettura si sente l'odore, la massima aspirazione per uno scrittore.
Farvi sentire l'odore.
E poi, alla fine, quando la prosa si fa così vibrante da diffrarsi come un raggio di luce nella poesia tanto che voi non ci capite più niente, quando non è più lettura ma pura sensorialità... puff!
CIAO.
Proprio così, ciao.
Nell'attimo in cui annuncia il salto (metti i piedi nella pelle e scompari), il salto è già finito, e con lui tutto il mondo che per dodici pagine hai abitato, risucchiato in un mulinello lungo quanto un saluto.
Ciao.
Punto e stop, racconto finito, come il telefono che suona libero nell'orecchio dopo una comunicazione importante, quando l'unico altro suono che senti nelle orecchie è quello del tuo battito.
Meraviglia.
Un racconto che acquista potenza pagina dopo pagina, fino a diventare un colosso, viene arrestato in un attimo dalla mano aperta di un neonato, minuscolo, apparentemente indifeso.

Come cazzo gli è venuta non lo so e non lo voglio sapere.
Invidio tutti quelli che non l'hanno ancora letto per quel momento supremo, quello in cui si schianteranno su quel "ciao", minuscolo, semplice, invalicabile.
E poi per un attimo lo odi per tanta capacità, sapendo che mai potrai fare di meglio.
L'odio destinato solo ai più grandi.
La sensazione provata leggendo la spettacolare conclusione di quel racconto è straordinariamente affine a quella che provo osservando quest'immagine qui sotto, trita e ritrita, ormai lisa come un gomito del golf dopo essersi appoggiati per mesi al davanzale :




Ma sempre pregna di significato, direi.
Tanto per ricordarci che i Cinesi non sono solo quelli che ridono sempre anche se li mandi affanculo, o quelli che ti vendono le cose ad un quarto del prezzo (infatti poi si scassano entro la giornata) senza conoscere il significato della parola "fattura"(né in italiano né in mandarino).
Sono predatori con buone maniere, non tutti, non sempre, ma sono anche quelli che fanno una strage e poi fanno finta di niente, anche col mondo intero a guardarli.
E sì, l'immagine è storica, ma anche il fatto che lo studente si sia preso un colpo alla nuca il giorno successivo (come riportato da numerosi fonti) dovrebbe esserlo.
Pensateci, addentando il vostro prossimo involtino primavera, e scusatevi col vostro gatto se l'avete,  perché potreste esservi appena gustati la sua mamma.

mercoledì 4 dicembre 2013

Premature dipartite

Siamo ciò che abbiamo visto da piccoli, fondamentalmente.
Basta un piccolo scarto, un attimo qualsiasi in cui vediamo qualcosa che ci colpisce e da attori diventiamo scienziati o astronauti.
Ovviamente se le condizioni di partenza non ci orientano comunque al lavoro in miniera.
Ma anche lì, mentre spacchiamo la roccia, nell'intimo sapremmo con precisione cosa avremmo voluto: o attori o scienziati o astronauti.
Io, per dire, avevo da piccolo un dirimpettaio salumiere, Angelo Vailati, che per me era solo il salumiere sotto casa e la cosa non mi colpiva particolarmente, se non che odorava sempre di prosciutto.
Infatti non ho fatto il salumiere.
Vailati su Vespa 90ss

Ma se avessi scoperto in tempo il fatto che Angelo Vailati era stato un grande campione di Vespa negli anni sessanta, forse adesso oltre ad apprezzare la mortadella sarei stato un campione di Vespa.
L'ho scoperto troppo tardi.
Frank Zappa invece ascoltò in tempo Ionisation di Edgar Varèse, composizione per percussioni del 1931, per fortuna, perché poi nella vita fece quel che doveva fare.
E ne fece molto, perché è stato un musicista che definire prolifico è molto riduttivo: più di 95 album ufficiali, senza contare miriadi di bootlegs e altra roba strana.
Non sono qui a fare l'apologia di un genio che tutti dovreste conoscere ed ascoltare, perché non ne ha bisogno, ma solo a constatare che oltre alla musica anche il suo baffo+mosca spaccava.



Quel che invece qui voglio ricordare di Zappa è una copertina, una tra quelle 95 o più, perchè nata in Italia durante un tour del 1982 dal quale fu tratto un disco dal titolo "The Man from Utopia".
Per motivi vari e poco interessanti capitò che Zappa si sedette al tavolino di un bar romano con una copia di Ranxerox in mano (la stessa edizione che comprai io, tra l'altro).
A spiegargli cosa diceva nei balloon il coatto sintetico vediamo qui sotto Tanino Liberatore, che lo disegnava, e Stefano Tamburini che l'aveva inventato e lo scriveva.


Tamburini cerca un contegno ma pende verso Zappa, che chiede lumi sui testi.

Zappa ce l'ha tolto un cancro, Tamburini un'overdose, Liberatore nessuno e infatti fortunatamente ci delizia ancora con le sue matite.
Tanto piacque a Frank il lavoro di Liberatore e Tamburini da affidare loro il concept della copertina dell'album di cui parlavo sopra.
Il risultato fu il seguente, con Zappa in versione Ranx fronte retro, che scaccia le mosche che lo assediarono durante il concerto al parco Redecesio.




E se Zappa è grande, gli altri due lo sono altrettanto.
Non esagero.
Nel campo del fumetto, tra i '70 e gli '80, dobbiamo a loro e agli altri componenti la redazione del Male, (poi Cannibale poi Frigidaire) se in quel campo l'Italia era l'avanguardia artistica mondiale.
Tamburini-Pazienza-Scòzzari-Liberatore-Mattioli-Mattotti(riserva) dovrebbe essere una formazione da ricordare più della classica Sarti-Burgnich-Facchetti, però non è così.
Infatti siamo italiani, e nel momento supremo questo peserà parecchio sul piatto della bilancia.
Preparatevi, se credete a quell'aldilà.
Il problema è che stando a contatto con quei fuoriclasse, il povero Stefano si sentiva una merda.
Disegnava bene, ma chiaramente spariva al confronto e quindi si difendeva con quello che aveva a disposizione, e quello che aveva era comunque genio.
A parte ideare Ranx che sarebbe sufficiente, quello che considero abbagliante è Snake Agent.
Un ciclo di storie ottenute dalla fotocopiatrice, dentro la quale muovere tavole di vecchi fumetti noir anni '40 per ottenere deformazioni di visi e corpi e suggerire la velocità con la quale 'ste assurde avventure si svolgono (roba tipo: "cara sono a Tokio, prendo l'aereo e sono da te fra tre minuti", "eccomi tesoro, scusami, ma tra un minuto e quaranta ho un appuntamento a Sidney").
Se confessaste al prete di non averlo mai letto, giudico possibile che vi obbligherebbe a dieci pater noster, fate voi.
Per scansare la longa mano clericale affidatevi a ebay o a qualche fumetteria/mercatino dell'usato, vi farà solo bene al cuore.


Capito come?
Quel che dispiace è che la prematura dipartita ci abbia privati di chissà che altro e abbia privato lui del giusto riconoscimento (che è arrivato postumo, e se succedesse a me mi farebbe incazzare dabbestia).
Non solo, probabilmente è morto convinto di non valere molto, a poco più di trent'anni.
Sbagliava, perché qui da noi, spesso, chi non vale molto è straordinariamente longevo.


lunedì 2 dicembre 2013

Alto, moro e spinàceo.

A Milano stanno venendo su dei grattacieli.
L'immagine qui sotto rende l'idea di come sarà tra un po' guardare in quella direzione.

 
Mi si è detto che l'anello è fuori moda: mi chiudo in uno sdegnoso silenzio.
Edifici di 150, 180, 200, millemila metri (quello alto un miglio sognato da Wright però ancora nessuno l'ha realizzato).
E chi andrà ad occuparli si sentirà senz'altro un po' speciale, lì nel grattacielo tutto storto e tecnologico.
Ma pensa a chi va a finire ai piani bassi.

- Stai nel grattacielo?
- Sì.
- Bello! Com'è il panorama?
- Mah... non so... sono al terzo piano...

Capito il dramma?
C'è pieno  di frustrati in giro per il mondo che la mattina o la sera entrano in un grattacielo ma si fermano ai piani bassi, sotto a quello che nella casa popolare stende le mutande sul filo.
O quelli che vedono passare una banda musicale fuori dalla finestra della cucina, ma stanno usando un frullatore e quindi quel che sentono è solo il frullatore e non la musica.
La vità è bella perché riserva sempre questi momenti di somma ironia, se siete in grado di riconoscerli ed apprezzarli.
Come Nanof per esempio.
Oreste Fernando Nannetti era in grado di farlo in quanto dotato di una sensibilità diversa che filtrava le banalità quotidiane per noi così importanti e gli permetteva di abbeverarsi alla fonte delle cose.
Ospite per quasi tutta la sua vita di ospedali psichiatrici (prevalentemente a Volterra, ottimo posto per essere internato aggiungo) Nanof si definiva in molti modi: colonnello astrale, scassinatore nucleare, alto moro e spinàceo (sic).
Era un grande Nanof, talmente grande da essere ricordato come graffitista, pittore, scrittore di fantascienza sperimentale.
Durante la degenza non smise mai di tracciare segni e graffiti sulle pareti dell'istituto servendosi della fibbia dei pantaloni, più di duecento metri di storie incredibili, disegni di macchine e robot, messaggi cifrati dall'altrove che qualche illuminato provvide a testimoniare per tutti e per sempre (un ex infermiere, sembra, dopo che la legge Basaglia pose fine alla stagione dei manicomi nel '73).

Particolare di uno dei graffiti. Tutto ciò copre più di 200 metri di parete.

Lo Studio Azzurro lo ha raccontato in un documentario dell'85, "L'osservatorio nucleare del Signor Nanof" che Feltrinelli mi pare abbia incluso in una raccolta di loro corti, qualche tempo fa.
Inutile dire che merita ogni attenzione vogliate dedicargli; del resto uno che scrive frasi come:"grafico metrico mobile della mortalità ospedaliera 10% per radiazioni magnetiche teletrasmesse 40% per malattie varie trasmesse o provocate 50% per odi e rancori personali provocati o trasmessi" è accostabile per libertà espressiva ad un futurista come Marinetti, ad un cutupparo come Burroughs, ad un beat come Kerouac.
Solo che questi stavano fuori dal manicomio. 
Del resto spesso, anzi molto spesso, il genio è secreto da anime disturbate, quasi che il disturbo stesso sia un prerequisito, un amplificatore di capacità, uno sciroppo rosa contro il virus della vita quotidiana.
Non mi tirerete dentro una discussione sul tema del genio e della sua natura.
Gente molto migliore di me l'ha già fatto ampiamente.
L'unico contributo che avrete dal MaschioPlastico sull'argomento è puramente istintivo (e visuale), non esaustivo e soprattutto personale.
Cè un dipinto di James Ensor che mi è sempre piaciuto molto perché dà una visione della vita immediata e folgorante.
È questo qui, e si intitola "Cristo entra a Bruxelles".

James Ensor, Cristo entra a Bruxelles 1889



Là nella massa c'è Cristo, si nota dopo un po', ma c'è.
Tra nani, puttane e impiegati del catasto, soldati e gentildonne, porta in giro l'aureola senza che a nessuno apparentemente gliene freghi molto.
Perché infatti siamo tutti particelle di un tutto, con lo stesso peso e lo stesso consumo di ossigeno, una gran baraonda in perenne corsa verso il boh.
Ma qualcuno è Cristo, anche se non lo vediamo e non ce ne frega niente, e lui riesce a scrutare per un attimo nelle feritoie, dietro gli angoli, sotto il tappeto.
Il genio è quell'attimo per me e mi piace pensare che anche Nanof l'avrebbe dipinto così.